Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 20 e il 24 febbraio 2023

Le Corti d'Appello, nel corso di questa settimana, si occupano di servitù di passaggio, dichiarazione di adottabilità di minori, contratti di somministrazione, cognome del minore e, infine, di ripetibilità della retribuzione corrisposta in esecuzione di una sentenza non definitiva.
I Tribunali, da parte loro, trattano il demansionamento, il rendiconto nel condominio, la responsabilità da contatto sociale, la prescrizione nel mutuo e, infine, la Convenzione Card nel sistema dei sinistri stradali.


SERVITÙ
Servitù di passaggio - Interclusione di un fondo – Accertamento
(Cc, articoli 1051, 1052)
Precisa la Corte d'Appello di Roma che, sebbene, di norma, l'indagine diretta ad accertare l'interclusione di un fondo, ai fini della costituzione di una servitù di passaggio ai sensi dell'articolo 1051 c.c., postuli la considerazione di questo nella sua unitarietà, il concreto stato dei luoghi è suscettibile di diversa valutazione allorché le unità di cui si compone il bene siano distinte ed autonome per l'impossibilità di porle in comunicazione fra loro oppure quando, pur sussistendo astrattamente tale possibilità di comunicazione che farebbe venire meno l'interclusione che caratterizza una soltanto di dette unità, la sua concreta realizzazione implichi l'esecuzione di opere che comportino eccessivo dispendio o disagio, non rilevando che quello stato sia la conseguenza di ostacoli naturali ovvero del fatto dello stesso proprietario del bene, in quanto, nell'ipotesi in cui la trasformazione dei luoghi determinante l'interclusione sia stata effettuata da colui che chiede la costituzione della servitù, devono nondimeno riconoscersi sussistenti le condizioni di cui alla citata norma, se la trasformazione stessa è stata operata avendo di mira il conveniente uso del fondo.
Ancora evidenzia la Corte adita come gli elementi necessari per l'accoglimento delle domande ex articolo 1051 c.c. e 1052 c.c. sono diversi, posto che l'articolo 1051 c.c. tende a tutelare soltanto l'interesse del fondo dominante, mentre l'articolo 1052 c.c. mira a tutelare un effettivo interesse della collettività, perchè il passaggio richiesto può essere concesso dal Giudice solo qualora accerti che la domanda risponde alle esigenze dell'agricoltura o dell'industria.
Con la precisazione che la domanda di costituzione coattiva di servitù di passaggio deve essere contestualmente proposta nei confronti dei proprietari di tutti i fondi che si frappongono all'accesso alla pubblica via, poiché solo con la costituzione del passaggio nella sua interezza si realizza la funzione propria del diritto riconosciuto al proprietario del fondo intercluso dall'articolo 1051 c.c.; ne consegue che, in mancanza, la domanda va respinta, perché diretta a far valere un diritto inesistente, restando esclusa la possibilità di integrare il contraddittorio rispetto ai proprietari pretermessi.
Corte di Appello di Roma, sezione VIII - II Coll., sentenza 20 febbraio 2023 n. 1273

MINORI
Minori - Dichiarazione di adottabilità – Extrema ratio
(Legge 184/1983, articoli 1, 8)
In sentenza afferma l'adita Corte d'Appello di Bari come la dichiarazione di adottabilità di un minore costituisca extrema ratio, fondata sull'accertamento dell'irreversibile irrecuperabilità della capacità genitoriale, in presenza di fatti gravi, indicativi in modo certo dello stato di abbandono, morale e materiale, a norma dell'articolo 8 della legge n. 188/1983, che devono essere dimostrati in concreto, senza dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale, non basati su precisi elementi di fatto.
Il rigore, nella verifica dei presupposti per la dichiarazione di adottabilità, deriva dal principio, espresso dall'articolo 1 L. n. 184 cit., secondo cui il minore ha il prioritario diritto di rimanere nel nucleo familiare anche allargato di origine, quale tessuto connettivo della sua identità.
Trattasi, tuttavia, di diritto dalla natura non assoluta, ma bilanciabile, che impone un esame approfondito, completo e attuale delle condizioni di criticità dei genitori e dei familiari entro il quarto grado, disponibili a prendersi cura del minore, e delle loro capacità di recupero e cambiamento, ove sostenute da interventi di supporto adeguati anche al contesto socio-culturale di riferimento.
Non solo. Aggiunge la Corte come il prioritario diritto dei minori a crescere nell'ambito della loro famiglia d'origine non esclude la pronuncia della dichiarazione di adottabilità anche quando, nonostante l'impegno profuso dal genitore per superare le proprie difficoltà personali e genitoriali, permanga tuttavia la sua incapacità di elaborare un progetto di vita credibile per i figli e non risulti possibile prevedere con certezza l'adeguato recupero delle capacità genitoriali in tempi compatibili con l'esigenza dei minori di poter conseguire una equilibrata crescita psico-fisica.
Quanto al ruolo dei genitori nel procedimento per la dichiarazione di adottabilità di un minore, essi sono parti necessarie obbligatoriamente assistite da un difensore.
Resta inteso che la posizione processuale di ciascuno di essi è, in quanto tale, potenzialmente diversa da quella dell'altro, in ragione del diverso ruolo parentale rivestito e delle dinamiche relazionali tra loro esistenti, ragion per cui il Giudice, se chiamato a designare il difensore d'ufficio, non può scegliere un unico avvocato per entrambi, ma ne deve indicare uno per ciascuno.
Corte di Appello di Bari, sezione civile minori, sentenza 22 febbraio 2023 n. 276

CONTRATTI
Contratti di somministrazione – Consumi – Contatore - Contestazione
(Cc, articolo 1559, 1560, 2697; Cpc, articolo 115)
La Corte d'Appello di Cagliari è adita in materia di contratti di somministrazione in cui la periodicità, o la continuità, delle prestazioni si pongono come elementi essenziali del contratto stesso, in funzione di un fabbisogno del somministrato, sicché ogni singola prestazione è distinta e autonoma rispetto alle altre.
Ai sensi degli articoli 1559 s.s. c.c. le parti, attraverso contratto di somministrazione, delineano l'assetto negoziale in virtù del quale il somministrante assume l'obbligo al soddisfacimento di un interesse durevole e continuativo della controparte e, in virtù di tale adempimento, acquisisce il diritto a ricevere il corrispettivo.
Ai sensi dell'articolo 1560 c.c., qualora l'entità della somministrazione non sia predeterminata, essa si intende corrispondente al normale fabbisogno della parte somministrata, e quest'ultima, in virtù del carattere sinallagmatico del rapporto, è tenuta al pagamento per intero della quantità corrispondente al fabbisogno.
In sentenza, in particolare, la Corte d'Appello di Cagliari, osserva come la rilevazione dei consumi mediante contatore sia assistita da una mera presunzione semplice di veridicità, sicché, in caso di contestazione, grava sul somministrante l'onere di provare che il contatore era perfettamente funzionante, mentre il fruitore deve dimostrare che l'eccessività dei consumi è dovuta a fattori esterni al suo controllo e che non avrebbe potuto evitare con un'attenta custodia dell'impianto, ovvero di aver diligentemente vigilato affinché eventuali intrusioni di terzi non potessero alterare il normale funzionamento del misuratore o determinare un incremento dei consumi.
Ed allora può affermarsi, in punto di diritto, il principio per cui, in materia di somministrazione, in conformità agli articoli 115 c.p.c. e 2697 c.c. e al principio della vicinanza della prova, le bollette sono in linea di massima idonee a fornire la prova dei consumi esposti, salva l'ipotesi di contestazione dell'utente; in caso di contestazione dei consumi esposti nella bolletta, è onere del preteso creditore fornire prova del quantum della merce somministrata e, segnatamente, la corrispondenza tra i consumi esposti in bolletta e quelli risultanti dal contatore correttamente funzionante.
Corte di Appello di Cagliari, sez. dist. Sassari, sentenza 22 febbraio 2023 n. 68

MINORI
Minori – Cognome - Attribuzione
(Cc, articolo 262)
La Corte d'Appello di Messina afferma in sentenza il principio di diritto a tenore del quale, in tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlio nato fuori dal matrimonio e riconosciuto non contestualmente dai genitori, i criteri di individuazione del cognome del minore si pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa quale proiezione della sua personalità sociale, avente copertura costituzionale assoluta.
La scelta, anche officiosa, del Giudice è ampiamente discrezionale e deve avere riguardo al modo più conveniente di individuare il minore in relazione all'ambiente in cui è cresciuto fino al momento del successivo riconoscimento, non potendo essere condizionata dall'esigenza di equiparare il risultato a quello derivante dalle diverse regole, non richiamate dall'articolo 262 c.c., che presiedono all'attribuzione del cognome al figlio nato nel matrimonio.
Il Giudice è investito del potere-dovere di decidere su ognuna delle possibilità previste dall'articolo 262 c.c., avendo riguardo, quale criterio di riferimento, unicamente all'interesse del minore e con esclusione di qualsiasi automaticità, che non riguarda né la prima attribuzione, non essendo configurabile una regola di prevalenza del criterio prior in tempore, né il patronimico, per il quale non sussiste alcun favor nel nostro ordinamento.
Ed allora, in tema di minori, è legittima, in ipotesi di secondo riconoscimento da parte del padre, l'attribuzione del patronimico, in aggiunta al cognome della madre, purchè non gli arrechi pregiudizio in ragione della cattiva reputazione del padre e purché non ne sia lesivo dell'identità personale, ove questa si sia definitivamente consolidata con l'uso del solo matronimico nella trama dei rapporti personali e sociali.
Quanto innanzi perchè il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali della persona e ciò che rileva non è l'esigenza di rendere la posizione del figlio nato fuori dal matrimonio quanto più simile possibile a quella del figlio di coppia coniugata, quanto piuttosto quella di garantire l'interesse del figlio a conservare il cognome originario se questo sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale in una determinata comunità.
Corte di Appello di Messina, sezione I, sentenza 22 febbraio 2023 n. 150

LAVORO
Reintegrazione del lavoratore licenziato – Importi erogati dal datore di lavoro – Ripetibilità
(Legge 300/1970, articolo 18; legge 108/1990, articolo 1)
La Corte d'Appello di Roma muove dal principio di diritto per cui quando un lavoratore esegue la sentenza - esecutiva, ma non definitiva - a lui favorevole lo fa a proprio rischio e pericolo, sicché, ove venga poi dimostrata la legittimità della condotta datoriale (nella specie, di recesso), eventuali effetti irreversibili derivati dalla provvisoria ricostituzione del rapporto di lavoro resteranno a suo carico.
La ripetibilità della retribuzione corrisposta in tale situazione è un principio consolidato nel senso che tutti gli importi erogati dal datore di lavoro in esecuzione della sentenza che ordina la reintegrazione del lavoratore licenziato, anche per il periodo successivo alla data di detta decisione, costituiscono, ai sensi della legge n. 300/1970, articolo 18 (nel nuovo testo introdotto dalla legge n. 108/1990) risarcimento del danno derivante dall'illegittimo licenziamento e, come tali, sono interamente ripetibili a seguito della sentenza di riforma in appello che escluda con effetto immediato l'illecito e l'obbligo di risarcimento.
Il contratto di lavoro, d'altronde, è un contratto a prestazioni corrispettive in cui l'erogazione del trattamento economico, in mancanza di lavoro, costituisce un'eccezione, che deve essere oggetto di espressa previsione di legge o di contratto.
In difetto di un'espressa previsione in tal senso, la mancanza della prestazione lavorativa esclude il diritto alla retribuzione, al contempo determinando a carico del datore di lavoro, che ne sia responsabile, l'obbligo di risarcire i danni, eventualmente commisurati alle mancate retribuzioni.
E la qualificazione in termini risarcitori delle erogazioni patrimoniali a carico del datore di lavoro, come conseguenza dell'obbligo di ripristino del posto di lavoro illegittimamente perduto, risulta influenzata in maniera decisiva dalle modifiche introdotte dalla (richiamata) legge n. 108/1990, articolo 1, alla legge n. 300/1970, articolo 18, che ha unificato quanto dovuto per i periodi anteriore e posteriore alla sentenza che dispone la reintegrazione sotto il comune denominatore dell'obbligo risarcitorio, con la conseguente detraibilità dell'aliunde perceptum.
Corte di Appello di Roma, sezione lavoro, sentenza 22 febbraio 2023 n. 612

LAVORO
Rapporto di lavoro subordinato – Demansionamento – Danno professionale
(Cc, articoli 1218, 1226, 2103)
Osserva il Giudice del Lavoro di Bari che la scelta datoriale della rotazione delle proprie risorse umane è discrezionale, e non sindacabile in via giudiziale, ove non comporti un demansionamento per i destinatari, atteso che tale scelta aziendale può comportare un mutamento di mansioni solo se il provvedimento di nuova destinazione comporti l'assegnazione di mansioni superiori e/o omogenee rispetto a quelle svolte sino a quel momento.
In tema di mobilità orizzontale, puntualizza ancora l'adito Giudice, l'interesse alla dignità e libertà del lavoratore è tutelato esclusivamente attraverso il criterio dell'equivalenza professionale e, pertanto, l'esercizio dello ius variandi del datore di lavoro incontra quest'unico limite. Solo se il provvedimento di modificazione non sia rispettoso del criterio dell'equivalenza professionale si ha una lesione della dignità del lavoratore.
In tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo.
Quando il lavoratore allega un demansionamento riconducibile ad inesatto adempimento dell'obbligo gravante sul datore di lavoro ex articolo 2103 c.c. su quest'ultimo grava l'onere di provarne l'esatto adempimento o attraverso la prova della mancanza, in concreto, di un demansionamento, o attraverso la prova della sua giustificazione per il legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali (dimostrando l'inesistenza, all'interno del compendio aziendale, di altro posto di lavoro disponibile, equiparabile al grado di professionalità in precedenza raggiunto dal lavoratore) o disciplinari oppure, ex articolo 1218 c.c., per impossibilità della prestazione derivante da una causa a sé non imputabile.
Quando vi sia demansionamento allora è configurabile a carico del lavoratore un danno, costituito da un impoverimento delle sue capacità per il mancato esercizio quotidiano del diritto di elevare la sua professionalità lavorando, sicché per la liquidazione del danno è ammissibile, nell'ambito di una valutazione necessariamente equitativa, il ricorso al parametro della retribuzione (articolo 1226 c.c.).
Tribunale di Bari, sezione lavoro, sentenza 20 febbraio 2023 n. 525

CONDOMINIO
Condominio negli edifici – Rendiconto - Impugnazione
(Cc, articoli 1130, 1418, 1713; Cpc, articolo 267)
Secondo il Tribunale di Bergamo, adito in materia di condominio, l'impugnazione del rendiconto deve sempre essere sorretta da un interesse ad agire, concreto e attuale.
In particolare, l'amministratore del condominio correttamente adempie ai suoi doveri procedendo con la rendicontazione in favore dei condomini (da equipararsi ai mandanti) e garantendo ai medesimi di visionare i documenti di riferimento e comunicando come esercitare tale diritto.
Il rendimento del conto, sotto forma di "bilancio consuntivo condominiale", funge, contemporaneamente, da atto riepilogativo della situazione finanziaria del condominio e da elemento di un vero e proprio negozio con funzione ricognitiva della situazione preesistente, cioè dell'esecuzione del mandato, e costitutiva di un'attuale obbligazione diretta a definire un regolamento d'interessi collegato con il preesistente rapporto gestorio.
Sotto il primo aspetto, la deliberazione assembleare di approvazione ha un valore non già direttamente negoziale, ma, semplicemente, ricognitivo e conformativo, mentre, sotto il secondo aspetto, costituisce approvazione del rendiconto, reso dal mandatario amministratore, del proprio operato gestorio.
E, pertanto, la deliberazione può soltanto essere impugnata dai condòmini non consenzienti per ragioni non già di merito, ma solo di legittimità, restando esclusa una diversa forma di invalidazione ex articolo 1418 c.c., fatti, comunque, salvi i diritti nelle more acquisiti dai terzi.
L'approvazione del rendiconto, che il mandatario amministratore è tenuto a rendere ai sensi degli articoli 1130, n. 10, e 1713 c.c., pur senza ricorrere necessariamente alla procedura prevista dall'articolo 267 c.p.c., si riferisce a tutto l'operato dello stesso per l'esercizio in questione (ovvero per il singolo periodo di prestazione in cui quell'operato possa frazionarsi), come previsto dall'incarico, e comporta (salvo il caso che, all'atto dell'approvazione, il mandante - o, meglio, l'assemblea dei mandanti - abbia formulato espresse riserve per quei diritti non attinenti alle partite contabili enucleate nel conto) che il conseguente regolamento negoziale acquisti valore ed effetto di esclusiva disciplina definitoria di tutti i rapporti derivanti dall'esecuzione del mandato.
Tribunale di Bergamo, sezione IV, sentenza 21 febbraio 2023, n. 364


RESPONSABILITÀ E RISARCIMENTO
Responsabilità contrattuale - Contatto sociale – Dovere di solidarietà
(Cost., articolo 2; Cc, articoli 1173, 1174, 1175, 1375; legge 241/1990, articolo 1)
Osserva in sentenza il Tribunale di Brescia come si possa incorrere in responsabilità contrattuale ex lege anche in ragione del solo contatto sociale, poiché a questo si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire la tutela degli interessi che si manifestano, e sono esposti a pericolo, in occasione del contatto stesso.
Tale responsabilità presuppone l'inadempimento di uno specifico obbligo giuridico già preesistente e volontariamente assunto nei confronti di un determinato soggetto (o di una determinata cerchia di soggetti).
Le obbligazioni derivanti dalla violazione di specifiche norme o principi giuridici preesistenti ricadono nella categoria degli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell'ordinamento giuridico.
Si configura, quindi, un contatto sociale qualificato, idoneo a produrre obbligazioni ex articolo 1173 c.c., allorquando sia ravvisabile una relazione, volontariamente instauratasi, tra due soggetti determinati che, in ragione della speciale qualità di uno di essi, sia idonea ad ingenerare nell'altro un affidamento circa l'adempimento di obblighi di protezione ed informazione, in ossequio al dovere di solidarietà sociale ex articolo 2 Cost..
E così da tale relazione discendono, per il professionista, non già obblighi di prestazione ex articolo 1174 c.c., bensì obblighi di buona fede, di protezione nonché di informazione ex articolo 1175 e 1375 c.c.
Il tema del contatto sociale assume una particolare dimensione nella responsabilità civile della P.A. per lesione degli interessi legittimi: tale responsabilità si ritiene non essere del tutto coincidente con quella aquiliana, sussistendo anche profili (sul piano probatorio) assimilabili a quelli della responsabilità contrattuale, in considerazione dell'interesse giuridicamente protetto al giusto procedimento amministrativo, che richiede il rispetto dei parametri dell'azione amministrativa di cui all'articolo 1 L. n. 241/1990.
Si parla, a riguardo, di "contatto sociale qualificato" o di "responsabilità da contatto", implicante appunto il corretto sviluppo dell'iter procedimentale e la legittima emanazione del provvedimento finale, salvo l'errore scusabile.
Tribunale di Brescia, sezione V, sentenza 22 febbraio 2023 n. 412

CONTRATTI
Contratto di mutuo – Prescrizione – Prescrizione decennale
(Cc, articolo 2948)
Il Tribunale di Roma si sofferma in sentenza sulla prescrizione del credito nel contratto di mutuo precisando che la rateizzazione dell'unico debito in più versamenti periodici di un determinato importo non determina il frazionamento del debito stesso in distinti rapporti obbligatori.
Per tali versamenti, e per i relativi interessi, non può dunque trovare applicazione l'articolo 2948 c.c., sulla prescrizione quinquennale degli adempimenti periodici di singole obbligazioni autonome e indipendenti, che opera con riguardo ai debiti che devono essere soddisfatti periodicamente ad anno, o in termini più brevi. Essa
riguarda prestazioni che maturano con il decorso del tempo e che, pertanto, divengono esigibili solo alle scadenze convenute, giacché costituiscono il corrispettivo della controprestazione resa per i periodi ai quali i singoli pagamenti si riferiscono; detta prescrizione si giustifica, quindi, sia in ragione della continuità del rapporto che richiede e consente un accertamento in tempi relativamente brevi dell'avvenuta esecuzione delle singole prestazioni, sia perché l'eventuale prescrizione di una singola prestazione non pregiudica il diritto all'adempimento delle rimanenti, per le quali la prescrizione non sia compiuta.
La prescrizione quinquennale non si applica, quindi, ai ratei di mutuo o di finanziamento ed ai relativi interessi, non trattandosi di prestazioni periodiche dovute ad un'unica causa continuativa, bensì degli adempimenti parziali e frazionati nel corso del tempo dell'unico debito derivante dal medesimo contratto e caratterizzati da un'unica causa debendi.
Ed allora il dies a quo, sempre in tema di prescrizione, coincide, unicamente, con la data di scadenza dell'ultima rata prevista dal piano di ammortamento del contratto.
Infatti, trattandosi di contratto di mutuo, e quindi di contratto di durata, in cui l'obbligo di restituzione del capitale è differito nel tempo, i singoli ratei non costituiscono autonome e distinte obbligazioni, bensì l'adempimento frazionato di un'unica obbligazione.
Ne consegue che la prescrizione decennale non può che decorrere dalla scadenza dell'ultimo rateo previsto nel piano di ammortamento e, perciò, dal giorno successivo alla data di scadenza per il pagamento dell'ultima rata del mutuo.
Tribunale di Roma, sezione XVII, sentenza 22 febbraio 2023 n. 3039

CIRCOLAZIONE STRADALE
Sinistri stradali - Procedura di indennizzo diretto – Convenzione Card
(Dpr 18 luglio 2006, n. 254, articolo13; Cpc, articolo 77)
Adito in materia di sinistri stradali sottolinea il Tribunale di Torino come la convenzione CARD (Convenzione tra assicuratori per il risarcimento diretto) sia un accordo stipulato tra agenzie assicuratrici al fine di gestire il sistema del risarcimento diretto del danno che trova una specifica disciplina nell'articolo13 Dpr n. 254/2006.
In particolare, la convenzione CARD riveste un ruolo rilevante in relazione alla procedura di risarcimento diretto, trattandosi di un accordo al quale aderiscono obbligatoriamente le imprese assicuratrici con sede legale in Italia allo scopo di definire le regole di cooperazione tra di essere in ordine alla organizzazione ed alla gestione del sistema di risarcimento diretto, e ai rimborsi ed alle compensazioni conseguenti ai risarcimenti operati.
L'impresa assicuratrice aderente a tale convenzione assume una duplice veste: è definita "gestionaria", quando risarcisce il danneggiato in tutto o in parte per conto dell'impresa assicuratrice del veicolo civilmente responsabile del sinistro; è, invece, definita "debitrice" nell'ipotesi in cui i danni provocati dal proprio assicurato responsabile vengono risarciti per suo conto dall'impresa del danneggiato.
La gestionaria si impegna a compiere ogni attività necessaria alla gestione del sinistro ed alla liquidazione del danno in forza di un mandato irrevocabile, conferito da ciascuna impresa alle altre al momento dell'adesione alla convenzione CARD, che attribuisce alla gestionaria sia la rappresentanza sostanziale, sia quella processuale della debitrice.
La norma processuale in forza della quale si costituisce la compagnia gestionaria in nome e per conto della debitrice va individuata nell'articolo 77 c.p.c., espressamente richiamata dall'articolo 1 bis CARD in virtù del quale le imprese firmatarie si attribuiscono reciprocamente il potere di rappresentanza sostanziale e, quindi, legittimamente, anche quella processuale in merito ai sinistri per i quali è prevista la procedura di indennizzo diretto. La mandataria deve dunque ritenersi legittimata a resistere all'azione proposta dal danneggiato in nome e per conto della debitrice, facendo valere tutte le eccezioni relative al rapporto risarcitorio dedotto in giudizio.
Tribunale di Torino, sezione IV, sentenza 22 febbraio 2023 n. 801

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