Professione e Mercato

Il caso di penale sulle condizioni di applicabilità della aggravante della minorata difesa

Una sentenza del 2020 della Cassazione è l'occasione per tentare di dare una soluzione a una questione controversa

di Patrizia Cianni

 

CIVILE/ RESPONSABILITA’ CIVILE – DANNI DA FUMO ATTIVO

 

TITOLO

Sulla risarcibilità del danno da fumo attivo

di Patrizia Cianni

 

IL QUESITO

Tizio, fumatore da oltre un trentennio di circa due pacchetti di sigarette al giorno, affetto da neoplasia epidermide al polmone, ha citato dinanzi al Tribunale l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato.

Nel prosieguo del giudizio, però, l’uomo è deceduto ed i suoi eredi hanno avviato, in ragione dell’eccezione di difetto di legittimazione sollevata dalla convenuta, anche un nuovo giudizio avverso l’Azienda Autonoma Monopoli di Stato.

Il Tribunale, riunite le due cause e disposta consulenza tecnica d’ufficio relativamente ai soli aspetti eziologici della neoplasia dell’uomo e alla possibilità, per lo stesso, di smettere di fumare, ha rigettato la domanda risarcitoria.

Successivamente anche la Corte d’appello adita dagli eredi di Tizio ha confermato la decisione del giudice di primo grado.

Il candidato, assunte le vesti del legale della convenuta Azienda Autonoma Monopoli di Stato, delinei la sua difesa per il controricorso dinanzi la Corte di Cassazione.

 

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Gli strumenti per lo svolgimento

 

LO SCHEMA PER LA DISCUSSIONE DEL QUESITO

 

A – LE NOZIONI TEORICHE

 

1) Inquadramento generale

La Corte di Cassazione, Sez. III civ., con la sentenza 21 gennaio 2020, n. 1165, ha distinto tra causalità materiale quale nesso tra il comportamento e l’evento da cui discende, a monte, la responsabilità (artt. 40, 41 c. p.) e causalità giuridica quale nesso che, collegando l’evento al danno, consente l’imputazione delle singole conseguenze dannose delimitando, a valle, i confini della responsabilità (artt. 1223, 1225, 1227 c. 2, c.c.).

Invero, la Suprema Corte ha affermato che prima va accertata la causalità materiale e successivamente quella giuridica ossia prima l’illecito e poi il danno; dall’accertamento della causalità materiale emerge il danno-evento (evento lesivo) mentre dall’accertamento della causalità giuridica emerge il danno conseguenza (conseguenze risarcibili).

Secondo l’art. 1227 c. c. se il soggetto ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito in proporzione alla gravità della colpa e all’entità delle conseguenze (comma 1) ed alcun risarcimento è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza (comma 2).

La fattispecie del danno da fumo attivo può rientrare nell’art. 2043 c. c. o nell’art. 2050 c. c. o ancora nel codice del consumo; in ogni caso, a prescindere dalla sussunzione del caso, «la condotta del fumatore, libera e pienamente consapevole dei rischi associati al fumo di sigarette, è da ritenersi causa da sola sufficiente a produrre l’evento dannoso» per cui è insussistente o, quantomeno, interrotto il nesso di causalità fra l’attività di produzione e l’attività di vendita di sigarette (da una parte) e il danno lamentato (dall’altra).

Considerata la produzione e vendita di sigarette esercizio di attività pericolosa di cui all’art. 2050 c. c. l’esercente tale attività è tenuto al risarcimento se non prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno (prova liberatoria) ma la prova liberatoria è irrilevante in caso di difetto di nesso causale in quanto la condotta del fumatore è tale da interrompere il nesso causale tra il consumo di sigarette e il tumore ai polmoni.

 

2) Le questioni di diritto sostanziale

A) Il nesso causale e la sua composizione dicotomica tra causalità materiale e giuridica  

Il pensiero umano di “causa” è stato sempre molto variabile e a volte contraddittorio, trattandosi di un concetto pluridisciplinare, connotato da una elevata complessità terminologica e concettuale.

Nell’ordinamento interno il nesso causale, seppur affermato quale elemento costitutivo di qualsiasi fattispecie di responsabilità civile e penale, non trova esauriente definizione sia sul piano civilistico che su quello penalistico per cui notevoli sono gli sforzi giurisprudenziali e dottrinali compiuti volti ad individuarne una definizione in mancanza di norme che ne forniscano una esaustiva qualificazione limitandosi a discorrere in maniera generica di “rapporto causale ed eziologico intercorrente tra la condotta e l’evento”.

Invero, nel codice penale l’art. 40 fissa l’equivalenza fra il non fare e cagionare ed il successivo art. 41 si occupa, con apparente salto logico, dell’interruzione del nesso di causalità senza però fornirne alcuna definizione.

In ambito civilistico il referente normativo è rappresentato dall’art. 2043 c. c. che indica tra i requisiti fondanti la responsabilità extra-contrattuale o aquiliana proprio il nesso causale, facilmente desumibile dall’assunto secondo cui “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno ” (in piena osservanza del principio del “neminem laedere”) ed elencando i criteri di attribuzione del fatto illecito, conferisce un ruolo centrale al nesso e/o rapporto eziologico di causalità per cui descrive il rapporto fra fatto doloso, colposo e danno in termini di cagionare senza nessuna ulteriore specificazione.

Il concetto di causa si dilata in una composizione dicotomica tra causalità materiale e casualità giuridica: la prima che regola, secondo parametri naturalistici, l’accertamento della responsabilità in capo a un determinato soggetto collegando l’evento al danno (l’an del risarcimento) e la seconda che disciplina l’estensione  della responsabilità precedentemente accertata, collegando il danno ai pregiudizi economici risarcibili (il quantum del risarcimento).

La causalità materiale si esprime negli artt. 40 e 41 c. p., che ha accolto la teoria condizionalistica o della equivalenza delle cause  nel senso che “la condotta è causa dell’evento se senza di essa l’evento non si sarebbe verificato; la condotta non è causa dell’evento se, senza di essa, si sarebbe comunque verificato” e del giudizio controfattuale o procedimento di eliminazione mentale nel senso che si cancella o si aggiunge mentalmente, con atto del pensiero, la condotta che si suppone causale e ci si chiede se l’ evento si sarebbe verificato ugualmente.

Inoltre, secondo la Suprema Corte, “i principi generali che regolano la casualità di fatto sono anche in materia civile quelli delineati dagli  artt. 40 e 41 c.p., e della regolarità  causale in assenza di altre norme nell’ordinamento in tema di nesso eziologico integrando i principi di tipo logico e conformi ad massime di esperienza” (Corte Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 581).

Le cause da prendere in considerazione nella valutazione del nesso di causalità materiale, sono quelle riconducibili ad un comportamento umano e, tra queste, in particolare quelle caratterizzate da un coefficiente soggettivo doloso e colposo.

La causalità giuridica, invece, si manifesta nell’art. 1223 c. c., il quale prevede che devono essere risarciti solamente i danni sono conseguenza “immediata e diretta”, per cui il legislatore  cerca di adeguare l’ammontare del risarcimento a quello dei danni effettivamente subiti dal danneggiato per impedire locupletazioni; l’interpretazione giurisprudenziale di tale norma ha selezionato il “danno risarcibile” attraverso i criteri di normalità e prevedibilità, cosi comprendendo nel risarcimento anche i danni i indiretti e mediati, purché effetto normale dell’evento lesivo aquiliano, per cui secondo la teoria di causalità adeguata sono da escludersi i danni verificati per intervento di cause e circostanze estranee al comportamento dell’obbligato.

L’art. 1127 c. c., invece, delimita l’area del danno giuridicamente risarcibile: il comma 1 disciplina il concorso di colpa del danneggiato nella produzione del fatto dannoso e pertanto rileva sotto il profilo dell’accertamento materiale della responsabilità, ovvero regolando l’ipotesi in cui il fatto colposo del danneggiato interviene a spezzare il collegamento tra il comportamento del soggetto agente ed evento.

Sul punto le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno statuito che l’art. 1227 c. c. non è espressione del principio di auto responsabilità ma un corollario del principio di causalità, per cui il danneggiante non può farsi carico di quella parte di danno che non è a lui causalmente imputabile; dunque, la colpa di cui all’art. 1227 c. c., viene intesa non nel senso di criterio di imputazione del fatto ma come requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato (Corte Cass., Sez. Un., 21 novembre 2011, n. 24406).

Il comma 2 dell’art. 1127 c. c., invece, rileva ai fini della determinazione del danno risarcibile e sancisce che: “il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”; secondo la giurisprudenza di legittimità tale previsione presuppone che sia già prodotto l’evento dannoso e riguarda l’ipotesi  di conseguenze ulteriori dalla lesione iniziale, e quindi rapportabili ad unica causa efficiente ma evitabile dal creditore danneggiato, previsione che introduce il criterio di evitabilità (Corte Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 576; Corte Cass., 16 ottobre 2007, n. 21619).

Si può dunque concludere che il nesso di causalità rimane uno degli argomenti più discussi e meno e che l’illecito civile ha una struttura diversa da quello penale, dove occorre accertare se la condotta umana abbia prodotto l’evento che costituisce il fatto-reato.

In ambito di responsabilità civile, invece, tale verifica è insufficiente, poiché occorre accertare anche se da quella lesione sono derivate conseguenze pregiudizievoli in quanto la lesione dell’interesse protetto non costituisce il danno, ma la causa del danno per cui occorre sostanzialmente accertare due nessi di causalità: quello tra la condotta illecita e la lesione dell’interesse e quello, successivo, tra la lesione dell’interesse e il danno risarcibile.

La prima verifica attiene alla causalità materiale e trova disciplina negli artt. 40 e 41 c. p., mentre la seconda riguarda la causalità giuridica e si fonda sull’art. 1223 c. c.; la causalità materiale o causalità fondativa è quella che fonda la responsabilità, mentre la causalità giuridica è quella descrittiva della responsabilità per cui ove ricorra la prima è possibile parlare di illecito, mentre ove sussista anche la seconda è configurabile anche il danno e per l’accertamento dell’obbligo risarcitorio è necessario il positivo accertamento di entrambi i profili che riguardano la condotta, la lesione e il danno.

Per la causalità materiale, in ambito civilistico e sul piano della prova, opera il criterio della preponderanza dell’evidenza ovvero del “più probabile che non” (Corte Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 581) inteso sotto il profilo della probabilità anche logica, oltre che statistica.

Per la causalità giuridica, che riguarda il rapporto dell'interesse leso dal fatto illecito e le conseguenze pregiudizievoli che ne sono derivate, occorre fare riferimento alla regola stabilita dall’ art. 1223 c.c. quale filtro che consente il risarcimento dei soli danni che siano conseguenza immediata e diretta dell’illecito, da valutare sulla base dei medesimi parametri della preponderanza dell’evidenza.

 

B) La causa prossima di rilievo

Le Sezioni Unite della Suprema Corte con la sentenza n. 581/2008 hanno tracciato i diversi criteri da seguire in tema di causalità, a seconda che si tratti di processo penale nonché di processo civile sul presupposto che ciò che sostanzialmente varia è la regola di natura probatoria.

In sede civile regna la regola del “più probabile che non”, detta anche regola della “preponderanza dell’evidenza” mentre nel processo penale vige il principio secondo cui la prova deve rispondere alla regola “oltre il ragionevole dubbio”; tale discrimine trova la sua ragione giustificatrice nel diverso ruolo che i valori assumono nei rispettivi processi in quanto in ambito civile le parti sono titolari di valori/beni di pari entità, con una equivalenza degli stessi mentre in ambito penale è necessaria la presenza di una accusa e di una difesa, essendo i valori in gioco diametralmente opposti.

Ne consegue che in ambito civilistico il nesso di causalità va funzionalmente connesso al principio per cui deve essere vagliata la rispondenza delle conseguenze derivanti dall’atto posto in essere, alla stregua di una relazione probabilistica concreta tra condotta ed evento dannoso per cui il tema del nesso causale in sede civile diviene la misura della relazione concreta di tipo probabilistico tra comportamento e fatto, sempre che non sia intervenuto un nuovo fatto che abbia influito autonomamente sulla regolarità causale e rispetto al quale il soggetto non aveva il dovere o la possibilità di agire.

Con la sentenza n. 1165/2021 la Corte di Cassazione ha ribadito il proprio orientamento in materia di danni da fumo attivo non ritenendo provato il nesso eziologico tra il carcinoma polmonare e il consumo abituale di sigarette per cui ha reputato la condotta del fumatore causa del danno patito dallo stesso e dai congiunti, quale scelta autonoma e volontaria di continuare a fumare, nonostante i danni alla salute, causa del pregiudizio patito ed ascrivibile a lui solo.

Invero, già con la sentenza n. 11272/2018 i giudici di legittimità avevano escluso il nesso causale in applicazione del principio della “causa prossima di rilievo” ossia del libero atto di volizione di un soggetto capace di agire e che sceglie di fumare nonostante le conseguenze nocive per la salute per cui se difetta la causalità materiale è superflua qualsiasi indagine in ordine alla colpa e la scelta autonoma e volontaria di continuare a fumare, nonostante i danni alla salute, rappresenta una causa da sola sufficiente a cagionare il danno.

La condotta del soggetto fumatore, libera e pienamente consapevole dei rischi associati al fumo di sigarette, è da ritenersi causa da sola sufficiente a produrre l’evento dannoso per cui determina l’inesistenza e/o l’interruzione del nesso di causalità giuridica fra le attività di produzione e vendita di sigarette e il danno lamentato, nonché la risarcibilità dello stesso, ai sensi dell’art. 1227 c. c., comma 2.

 

3) Le questioni di diritto processuale

Si tratta di redigere un controricorso dinanzi alla Corte di Cassazione basandosi sulla circostanza che il nesso causale va escluso in applicazione del principio della “causa prossima di rilievo” che consiste nel libero atto di volizione dell’uomo, dotato di capacità di agire, che sceglie di fumare nonostante le conseguenze nocive per la salute; ne consegue che se difetta la causalità materiale è superflua qualsiasi indagine in ordine alla colpa.

B – LA SOLUZIONE DEL CASO

 

La soluzione del caso si rinviene nella seguente decisione: Corte di cassazione, sezione III civile, sentenza 21 gennaio 2020, n. 1165.

  Riferimenti normativi: artt. 1223,1227, 2043, 2050 c. c..

 

D. Il candidato, assunte le vesti del legale della convenuta Azienda Autonoma Monopoli di Stato, delinei la sua difesa per il controricorso dinanzi la Corte di Cassazione.

 

R. - A) La questione di diritto:

“Nell'accertamento della responsabilità civile il primo presupposto da verificare è l’esistenza del nesso eziologico tra quello che s’assume essere il comportamento potenzialmente dannoso ed il danno che si assume esserne derivato, sicché, verificato che il nesso non sussiste non ha più rilevanza né l’accertamento di un’eventuale colpa, né l’accertamento di una eventuale responsabilità cd. speciale”.

Il nesso causale va escluso in applicazione del principio della “causa prossima di rilievo” che consiste nel libero atto di volizione del soggetto capace di agire che sceglie di fumare nonostante le conseguenze nocive per la salute: se difetta la causalità materiale è superflua qualsiasi indagine in ordine alla colpa.

Nel caso di danno da fumo attivo la condotta del fumatore, libera e pienamente consapevole dei rischi associati al fumo di sigarette, è da ritenersi causa da sola sufficiente a produrre l’evento dannoso per cui è insussistente (o, quantomeno, interrotto) il nesso di causalità fra l’attività di produzione e l’attività di vendita di sigarette (da una parte) e il danno lamentato (dall’altra).

Invero, con riferimento all’esercizio di attività pericolosa di cui all’art. 2050 c. c., in cui si può far rientrare la produzione e vendita di sigarette, il soggetto che esercita tale attività è tenuto al risarcimento se non prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno (prova liberatoria) ma la prova liberatoria è irrilevante se la condotta del fumatore appare tale da interrompere il nesso causale tra il consumo di sigarette e il tumore ai polmoni.

Va specificato che l’art. 2050 c.c. fa riferimento alla nozione di attività pericolosa quale quella che presenti una notevole potenzialità di danno a terzi mentre è irrilevante che un’attività normalmente innocua diventi pericolosa per la condotta di chi ha eserciti; nel caso di specie non è pacifico se l’attività di lavorazione del tabacco possa considerarsi attività pericolosa in quanto la sigaretta non è pericolosa di per sé, mentre lo è il suo uso o abuso (in senso contrario Corte Cass., n. 26516/2009 circa le sigarette “light”) .

Per questi i motivi la Suprema Corte ha individuato nella condotta del fumatore la causa esclusiva del danno patito da lui e dai congiunti in quanto fumatore incallito, ossia dalla più giovane età ed in quantità smodata (oltre 2 pacchetti al giorno) ed incurante delle raccomandazioni del medico curante di astenersi dal fumo.

Il nesso di causalità va escluso sia in quanto la circostanza che il fumo nuoce alla salute è un fatto socialmente notorio per cui chi lo fa non può poi pretendere il risarcimento del danno dal produttore e/o dai Monopoli di Stato, sia in applicazione del c.d. principio della “causa prossima di rilievo”, atteso che la scelta di fumare è libera, consapevole ed autonoma, assunta da soggetto dotato di capacità di agire, nonostante la risaputa nocività del fumo  e che la nicotina non annulla la capacità di autodeterminazione del soggetto, “costringendolo” a fumare smodatamente senza possibilità di smettere.

Nel caso in esame vi è un comportamento da ritenersi da solo sufficiente a causare l’evento secondo le regole generali in tema di nesso di causalità ex art. 41, comma 2, c. p. e la vittima (il fumatore incallito), usando l’ordinaria diligenza, avrebbe potuto evitare quella condizione di dipendenza fisica e psicologica irreversibile da fumo che integra l’ipotesi del fatto proprio del danneggiato idoneo a determinare l’evento dannoso, per cui si tratta di un giusto richiamo dell’art. 1227 c. c. che regola il concorso colposo del creditore.

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