Penale

Corruzione, ammessa la sospensione della pena

A patto che gli sia stata riconosciuta l’attenuante, articolo 323 bis del Codice penale, dell’«essersi efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite

di Giovanni Negri

Sospensione della pena ammessa anche nei confronti di chi è stato condannato per corruzione. A patto che gli sia stata riconosciuta l’attenuante, articolo 323 bis del Codice penale, dell’«essersi efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite». Il Gip di Milano, con ordinanza del 13 maggio, investito della questione come giudice dell’esecuzione, apre al riconoscimento di misure alternative alla detenzione. E questo malgrado la condanna ricevuta per corruzione e dopo che al caso è stata applicata le proverbiale legge Spazzacorrotti, la n. 3 del 2019, con la quale si è allungato l’elenco dei reati previsti dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, comprendendo, tra i casi di sostanziale esclusione dall’accesso alle misure alternative in mancanza di collaborazione, i principali reati contro la pubblica amministrazione.

Questi ultimi sono andati così ad aggiungersi ai reati originariamente previsti, criminalità organizzata e terrorismo, confermando la progressiva estensione della rigidità del trattamento sanzionatorio: via via sono stati infatti inseriti altri delitti, come alcuni reati di traffico di stupefacenti, di pedopornografia, omicidio, rapina aggravata, violenza sessuale.

L’ordinanza si concentra in particolare sulle ultime misure contro la corruzione con le quali è stata espressa «la necessità di non consentire l’accesso alle misure alternative se non a fronte della collaborazione con la giustizia, sulla scorta di un modello di legislazione premiale già sperimentato in relazione ad altri settori (criminalità organizzata in primis) nei quali si poneva la necessità di spezzare la cosiddetta catena di solidarietà che lega i correi (nel caso di specie corrotto e corruttore et similia)».

Il Gip di Milano però introduce una distinzione destinata a fare la differenza, e mai esplorata dalla giurisprudenza della Cassazione, tra la collaborazione prevista dall’ordinamento penitenziario per tutti gli altri reati compresi tra quelli ostativi, e la collaborazione richiesta dalla Spazzacorrotti. Quest’ultima infatti è una specifica circostanza attenuante dei reati contro la pubblica amministrazione, riconosciuta dunque in sede di cognizione, con la condanna e non dopo di questa. Sarà quindi dalla semplice lettura della condanna che ne potrà essere verificata l’esistenza, senza alcun margine di valutazione da parte del Pubblico ministero prima, che nel caso milanese si era opposto alla sospensione, e del Giudice dell’esecuzione poi.

Corrobora poi questa poi posizione, si sottolinea nella pronuncia, anche una considerazione complessiva del sistema sanzionatorio dei delitti contro la pubblica amministrazione. In questo senso l’interpretazione che supporta la sospensione dell’ordine di esecuzione appare al Gip quella più esatta. Se infatti l’intenzione del legislatore del 2019 è quello di spezzare il patto corruttivo, spingendo uno dei contraenti a tradirlo in cambio di un importante sconto di pena, questo obiettivo rischierebbe di restare «del tutto ipotetico» se non accompagnato da un regime penitenziario più favorevole.

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