Famiglia

Famiglia e successioni: il punto sulla giurisprudenza dei giudici di merito

La selezione delle pronunce di merito in materia di diritto di famiglia e delle successioni 2022

di Valeria Cianciolo

Si segnalano in questa sede i depositi della giurisprudenza di merito in materia di diritto di famiglia e delle successioni 2022. Le pronunce in particolare, si sono soffermate sulle seguenti tematiche o questioni:
Divorzio - Valore degli sms in sede di divorzio
Divorzio – Principio di bigenitorialità e richieste del minore
Successione – Il Curatore del fallimento è legittimato ad impugnare la rinunzia all'azione ex articolo 524 c.c.
Interdizione e amministrazione di sostegno – Ambiti di applicazione
Successione, testamento e rappresentazione – Il testatore può escludere l'operatività della rappresentazione

Riconoscimenti di paternità e cognome del minore - Il cognome paterno non prevale su quello materno
Sottrazione di minore - La sottrazione internazionale di minore giustifica la decadenza della responsabilità genitoriale

1. DIVORZIO - Nel processo civile gli sms e le mail hanno piena efficacia di prova
(Cc articolo 2712;legge 898/1970, articolo 3 n. 2 lettera f))
Lo "short message service" ("SMS") contiene la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti ed è riconducibile nell'ambito dell'articolo 2712 c.c., con la conseguenza che forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesti la conformità ai fatti o alle cose medesime. Tuttavia, l'eventuale disconoscimento di tale conformità non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata previsto dall'articolo 215 c.p.c., comma 2 , poiché, mentre, nel secondo caso, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo della stessa, la scrittura non può essere utilizzata, nel primo non può escludersi che il giudice possa accertare la rispondenza all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni.
Per l'articolo 2712 c.c., la contestazione esclude il pieno valore probatorio della riproduzione meccanica, ove abbia per oggetto il rapporto di corrispondenza fra la realtà storica e la riproduzione meccanica (la conformità dei dati ai fatti ed alle cose rappresentate). Ove la contestazione (con questo specifico contenuto) vi sia stata, la riproduzione, pur perdendo il suo pieno valore probatorio, conserva tuttavia il minor valore di un semplice elemento di prova, che può essere integrato da ulteriori elementi. L'accertamento della sussistenza e del contenuto della contestazione, avendo per oggetto fatti materiali, è funzione del giudice di merito; e, ove sia esente da vizi logici, in sede di legittimità è insindacabile.
Tribunale Savona, sentenza 8 aprile 2022, n. 306 – Pres. Rel. Atzeni

2. DIVORZIO – Il principio di bigenitorialità va rispettato anche se vi è alta conflittualità (Cc articoli 337-ter e 337- quater)
Il criterio dell'affidamento condiviso è derogabile solo laddove tale affidamento sia contrario agli interessi dei minori. Si tratta di una valutazione demandata alla discrezionalità dell'organo giudicante che deve attuare l'interesse prevalente del soggetto meritevole di tutela in quanto incapace. L'affidamento ad un solo genitore è previsto dall'articolo 337-quater c.c. alla stregua di una situazione eccezionale e postula non solo un giudizio in positivo nei riguardi del genitore affidatario, ma anche un corrispondente giudizio negativo nei confronti del genitore non affidatario; valutazioni, queste, da compiersi in relazione alle capacità educative ed al possesso di qualità tali da rendere i genitori idonee figure di riferimento, nell'interesse superiore del minore ad un sereno ed equilibrato sviluppo psico-fisico.
(Nel caso in esame, la madre ha mostrato una concreta e fattiva collaborazione nella gestione dei minori rendendosi disponibile, anche al fine di supplire le mancanze nella capacità di accudimento concreto del padre. Il Giudice ha poi preso atto della volontà della figlia di potersi trasferire a vivere presso la madre. La minore ha espresso al Giudice il proprio desiderio di potersi trasferire a casa della mamma, ferma la sua assoluta volontà di continuare a vedere il padre, cui si dichiara comunque molto legata).
Tribunale Novara, sentenza 5 aprile 2022, n. 185 – Pres. Lamanna, Giud. Rel. Zanin

3. SUCCESSIONE – Il curatore del fallimento è legittimato ad impugnare la rinunzia all'azione ex articolo 524 c.c. (Cc articoli 524, 557, 564, 2900 e 2901; legge fallimentare, articolo 43 e 66)
Il principio di coerenza del sistema normativo e quello di eguaglianza di cui all'articolo 3 Cost. impongono di riconoscere ai creditori - od al curatore del fallimento – del legittimario pretermesso che abbia rinunziato all'azione di riduzione la possibilità di tutelare le loro ragioni - o, rispettivamente, le ragioni della massa dei creditori concorrenti nel fallimento del legittimario pretermesso - utilizzando, direttamente od analogicamente, lo speciale rimedio di cui all'articolo 524 c.c. e chiedendo quindi, contestualmente o successivamente, la riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie lesive della quota di riserva spettante per legge al debitore, surrogandosi a quest'ultimo, nel caso dei creditori, o direttamente, nel caso del curatore del fallimento.
Il Curatore del fallimento è legittimato ad impugnare la rinunzia all'azione ex articolo 524 c.c. al fine di soddisfare, almeno in parte, i diritti della massa con la reintegra della quota di legittima.
NOTA
Nel caso in esame, la curatela fallimentare conveniva il genero beneficiario del lascito e i soci legittimari chiedendo che fosse accertata la violazione della legittima dei soci falliti e, di conseguenza dichiarata l'inefficacia, ai sensi del combinato disposto dell'articolo 524 c.c. e dell'articolo 66 l.fall., o in subordine, dell'articolo 2901 c.c. della rinuncia all'azione di riduzione in quanto lesiva dei diritti della massa dei creditori del fallimento. Inoltre, chiedeva la riduzione della quota d'eredità disposta a favore del genero e la conseguente reintegrazione della legittima riservata ai legittimari soci falliti, e, per l'effetto, la condanna del genero a restituire alla curatela i 2/3 del valore dei beni ricevuti in eredità.
L'articolo 524 c.c. afferma che "Se taluno rinunzia, benché senza frode, a un'eredità con danno dei suoi creditori, questi possono farsi autorizzare ad accettare l'eredità in nome e luogo del rinunziante, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti."
La ratio sottesa a tale norma consiste nel fatto che poiché la rinunzia all'eredità può recare pregiudizio ai creditori del rinunziante, i quali non possono giovarsi del maggior patrimonio del loro debitore, essi possono farsi autorizzare ad accettare l'eredità in nome e in luogo del rinunziante al fine di soddisfarsi sui beni ereditari.
Il fatto è che il codice civile non si occupa specificamente dei creditori del legittimario e, d'altronde, l'articolo 557, comma 1, c.c. prevede che "La riduzione delle donazioni e delle disposizioni lesive della porzione di legittima non può essere domandata che dai legittimari e dai loro eredi o aventi causa". Ciò induce ad escludere che l'azione di riduzione possa essere esercitata direttamente dai creditori dei legittimari.
Secondo l'opinione prevalente, (cfr. Santoro Passarelli, Dei legittimari, in Comm. D'Amelio, Firenze, 1941, 316; ID., Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1989, 318; Pino, La tutela del legittimario, Padova, 1954, 168 ss.), l'azione di riduzione può essere inoltre esercitata in via surrogatoria (articolo 2900) dai creditori del legittimario. Nonostante, parte della dottrina, nella nozione di «aventi causa» di cui all'articolo 557 c.c. includa soltanto i cessionari dei diritti del legittimario e non anche i suoi creditori è, tuttavia, riconosciuta a questi ultimi la possibilità di agire in via surrogatoria ex articolo 2900 c.c. per la tutela delle loro ragioni, sul presupposto che la legittima sia un diritto di natura patrimoniale. In linea di principio, infatti, tutte le azioni di contenuto patrimoniale (fatta eccezione per le azioni relative ad uno status) possono essere esperite in via surrogatoria, e ciò sia per il significato testuale e logico dell'articolo 2900 c.c., sia per le finalità dell'azione surrogatoria, diretta ad assicurare nel modo più ampio l'integrità della garanzia patrimoniale del debitore.
Il punto è un altro. Sia per i creditori che per il curatore del fallimento del legittimario è problematico invece opporsi alla rinunzia del debitore ad esercitare l'azione di riduzione.
Si tratta di fenomeni diversi.
D'altro canto, la stessa Corte di Cassazione nel 2016 (Cass. Civ. sent. 22 febbraio 2016, n. 3389; in senso conforme, Cass. Civ. sent. 29 luglio 2008, n. 20562), ha affermato che: "La rinuncia all'azione di riduzione da parte del legittimario totalmente pretermesso diverge, sul piano funzionale e strutturale, dalla rinuncia all'eredità, non potendo il riservatario essere chiamato all'eredità prima dell'accoglimento dell'azione di riduzione volta a rimuovere l'efficacia delle disposizioni testamentarie lesive dei suoi diritti, sicché il creditore del legittimario totalmente pretermesso che intenda esperire l'azione ex art. 524 c.c., deve previamente impugnare la rinunzia di costui all'azione di riduzione".
Le fattispecie in esame sono, invece, distinte sul piano strutturale e funzionale e in rapporto di successione logica, e il creditore non può surrogarsi nell'accettazione dell'eredità, in nome e in luogo del suo debitore, se prima non rende inefficace la rinuncia all'azione di riduzione posta in essere dal debitore stesso, in qualità di legittimario totalmente pretermesso (Cassazione, sentenza n. 20562 del 2008, cit.). La previa e vittoriosa impugnazione della rinuncia all'azione di riduzione, che elimina l'efficacia delle disposizioni testamentarie lesive dei diritti del legittimario pretermesso, consente poi al creditore di surrogarsi al chiamato all'eredità e accettare in nome e in luogo del predetto.
La Corte d'Appello di Napoli Sezione V, sent. 12 gennaio 2018 ha affermato che il principio di coerenza del sistema normativo e quello di uguaglianza di cui all'articolo 3 Cost. impongono di trattare in maniera uguale situazioni sostanzialmente analoghe: e così, da un lato, il legittimario pretermesso che rinunzi all'azione di riduzione, ha con ciò dismesso il diritto di ottenere la quota di eredità ad egli riservata per legge, così come il legittimario semplicemente leso, che abbia rinunziato all'eredità, sta abdicando anche, direttamente o indirettamente, ad agire in riduzione avverso le donazioni o disposizioni testamentarie lesive della pars bonorum destinata per legge; dall'altro, i creditori del legittimario (leso o pretermesso) che rinunzi all'azione di riduzione subiscono, sostanzialmente, lo stesso pregiudizio che deriva dalla rinunzia ad un'eredità attiva verso la quale il debitore sia stato già chiamato, ovvero il definitivo venir meno della possibilità (attuale o mediata dalla preventiva necessità di agire in riduzione) di ampliare il patrimonio su cui soddisfare le proprie pretese. Conclude, pertanto, la Corte nel senso dell'applicazione analogica dello strumento di cui all'articolo 524 c.c., attraverso cui il generico creditore (ovvero, nel caso di specie, il curatore del fallimento) può aggredire esecutivamente i beni che siano stati oggetto di atti dispositivi lesivi della quota di riserva, e che invece avrebbero fatto parte del complesso ereditario, e segnatamente del patrimonio dell'erede, ove questi avesse agito in riduzione.

Tribunale Pavia, sezione III, sentenza 3 febbraio 2022 - Giudice Rocchetti

4. INTERDIZIONE E AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO – La misura dell'AdS quale strumento di maggiore idoneità per la persona fragile (Cc articoli 414 e 423)
L'ambito di applicazione degli istituti dell'interdizione e dell'amministrazione di sostegno deve essere individuato avendo riguardo non già al diverso grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, in ipotesi più intenso per l'interdizione, ma alla maggiore idoneità dell'amministrazione di sostegno ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa.
Tribunale Torino, sezione VII, sentenza 19 gennaio 2022, n. 202 – Pres. Giannone, Giud. Rel. Levrino

5. SUCCESSIONE, TESTAMENTO E RAPPRESENTAZIONE – Il testatore può escludere l'operatività della rappresentazione (Cc articoli 467, comma 2; 587, comma 1)
Tenuto conto della naturale attenzione alla volontà del testatore (voluta testantis magis spectanda est), Il testatore può escludere espressamente l'operatività della rappresentazione nei riguardi di eredi non legittimari.
La clausola di esclusione dell'operatività della rappresentazione è una forma di diseredazione implicita.
E' ammissibile la disposizione testamentaria volta alla esclusione dalla successione legittima di un successibile ex lege (naturalmente non legittimario), anche in mancanza della positiva attribuzione dei beni, e cioè la disposizione meramente negativa, diretta a paralizzare, in sede di successione intestata, la chiamata all'eredità di uno dei soggetti designati dalla legge.

NOTA
La successione per rappresentazione consente che determinati soggetti (cosiddetti rappresentanti) vengano all'eredità subentrando nel luogo e nel grado del loro ascendente (cosiddetto rappresentato) che non possa o non voglia accettare.
La clausola impugnata escludeva l'operatività della rappresentazione in relazione al legato di somma di denaro disposto in favore della sorella del de cuius: in tal modo, il testatore impediva ai nipoti di beneficiare del lascito qualora la legataria non avesse voluto o potuto acquistare il legato (come poi accaduto, per la premorienza della sorella al fratello).
Il rispetto dell'autonomia testamentaria prevale su qualsiasi altro aspetto: d'altro canto, questa porta alla prevalenza della sostituzione sulla rappresentazione per il caso che il primo chiamato non venga alla successione (articolo 688). il testatore, dunque, nominando non solo il proprio erede, ma anche la persona del sostituito, impedisce che la devoluzione del suo patrimonio, in mancanza del primo chiamato, avvenga secondo i criteri di legge.
Non si constano precedenti sul punto.

Tribunale di Verona, ordinanza 26 gennaio 2022 – Giud. Vaccari

6. RICONOSCIMENTO DI PATERNITÀ E COGNOME DEL MINORE - Il cognome paterno non prevale su quello materno (Cc articoli 147, 148, 262, 337 ter e 337 septies)
L'evoluzione culturale, sociale e giuridica degli ultimi tempi attribuisce pari dignità ad entrambe "le figure genitoriali, superando una visione tradizionalista della famiglia incentrata sul ruolo superiore del padre e sulla maggiore valenza del cognome paterno e tesa a garantire non certo l'interesse del genitore che, egoisticamente con l'attribuzione del suo cognome vuole rivendicare una proprietà sul figlio, ma quello del minore a sentirsi se stesso e a essere identificato nel contesto delle relazioni sociali."
In tema di minori, è legittimo, in ipotesi di secondo riconoscimento da parte del padre, l'attribuzione del patronimico in aggiunta al cognome della madre, purché non gli arrechi pregiudizio in ragione della cattiva reputazione del padre e purché non sia lesivo della sua identità personale, ove questa si sia definitivamente consolidata con l'uso del solo matronimico nella trama dei rapporti personali e sociali.
In tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlio naturale riconosciuto non contestualmente dai genitori, il giudice è investito ex articolo 262, commi 2 e 3, c.c. del potere-dovere di decidere su ognuna delle possibilità previste dalla disposizione in parola avendo riguardo, quale criterio di riferimento, unicamente all'interesse del minore e con esclusione di qualsiasi automaticità, che non riguarda né la prima attribuzione (essendo inconfigurabile una regola di prevalenza del criterio del "prior in tempore"), né il patronimico (per il quale parimenti non sussiste alcun "favor" in sé).
Corte d'Appello di Milano, Sezione V e V.G., sentenza 24 marzo 2022 - Pres. Laurenzi, Cons. Rel. Pizzi

7. SOTTRAZIONE INTERNAZIONALE DI MINORE E DECADENZA DALLA RESPONSABILITÀ GENITORIALE - La sottrazione internazionale di minore giustifica la decadenza della responsabilità genitoriale (Cc articolo 151; Cpc, articoli 96 e 709-ter ; Regolamento CE 2201/2003, articolo 3 ; Convenzione de l'Aja del 1980, articolo 13 b)
Sebbene si riconosca che la decadenza di un genitore dalla responsabilità genitoriale, sia misura estrema che recide ineluttabilmente ogni rapporto, giuridico, morale ed affettivo, con il figlio, essa è legittima qualora la condotta (in questo caso materna) abbia assunto una consistenza, anche in termini temporali tali da sopprimere completamente i legami del figlio (nel caso di specie, con il padre).
Le misure sanzionatorie previste dall'articolo 709-ter c.p.c. e, in particolare, la condanna al pagamento di sanzione amministrativa pecuniaria, sono suscettibili di essere applicate nei confronti del genitore responsabile di gravi inadempienze e di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento"; esse, tuttavia, non presuppongono l'accertamento in concreto di un pregiudizio subito dal minore, poiché l'uso della congiunzione disgiuntiva "od" evidenzia che l'avere ostacolato il corretto svolgimento delle prescrizioni giudiziali è un fatto che giustifica di per sé l'irrogazione della condanna, coerentemente con la funzione deterrente e sanzionatoria intrinseca alla norma richiamata.
La condanna ex articolo 96, comma 3, c.p.c., applicabile d'ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex articolo 96, commi 1 e 2, c.p.c. e con queste cumulabile, volta - con finalità deflattive del contenzioso - alla repressione dell'abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di "abuso del processo", quale l'aver agito o resistito pretestuosamente.
Corte d'Appello di Milano, Sezioni V e V.G., sentenza 6 aprile 2022 - Pres. Rel. Pizzi

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