Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 6 e il 10 marzo 2023

di Giuseppe Cassano


Le Corti d’Appello, nel corso di questa settimana, si occupano di misure di contrasto alla ludopatia, di sinistri stradali causati da un veicolo “pirata”, di abuso di posizione dominante, di responsabilità dell’ esercente un’attività pericolosa e, infine, di contratto di sale and lease back. I Tribunali, da parte loro, affrontano le materia della responsabilità dell’intermediario finanziario, delle attribuzioni patrimoniali tra conviventi more uxorio, della tutela delle persone prive di autonomia, del contratto di ormeggio e, infine, del diritto di autore in riferimento ad un format televisivo.

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GIOCHI E SCOMMESSE
Ludopatia - Misura di contrasto - Esercizi pubblici - Apparecchi connessi a internet.
(Dl 25 marzo 2010 n. 40; Dl 13 settembre 2012 n. 158, articolo 7)
La Corte d’Appello di Cagliari è chiamata a pronunciarsi sull’operatività del divieto di cui all’art. 7, comma 3-quater, D.L. n. 158/2012, norma che sanziona la messa a disposizione, presso qualsiasi pubblico esercizio, di apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentano ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco messe a disposizione dai concessionari on-line, da soggetti autorizzati all'esercizio dei giochi a distanza, ovvero da soggetti privi di qualsiasi titolo concessorio o autorizzatorio rilasciato dalle competenti autorità.  Osserva,  a tal fine, la Corte che la messa a disposizione di una piattaforma, aperta alla libera navigazione da parte degli utenti, non può, da sola, imputare alcuna responsabilità a carico dell’esercente l’attività, il quale non è in grado di impedire in anticipo, e in maniera assoluta, la navigazione verso i siti di gioco, né ha titolo per “filtrare” i contenuti o tanto meno per interrompere l’utilizzo della postazione internet con cui si fruisce di contenuti perfettamente leciti. Non si può, in definitiva, imputare all’esercente la sola messa a disposizione di terminali internet che non impediscano la navigazione su internet e, quindi, anche verso siti di gioco in maniera del tutto occasionale. Invero, non vi è alcun divieto, nell’ordinamento giuridico, di utilizzare una postazione pubblica di accesso ad internet per collegarsi ad una piattaforma di gioco, poiché i vincoli di cui (prima) al D.L. n. 40/2010 e (poi) al D.L. n. 158/2012 riguardano, evidentemente, postazioni collegate in modo permanente alla piattaforma del concessionario, non potendosi sottacere, peraltro, che l’attuale disciplina della riservatezza dei dati personali impedisce all’esercente di controllare l’attività̀ del cliente durante la navigazione su internet.Non solo. La previsione di cui al citato art. 7 c. 3 quater implica l’accertamento in concreto della sussistenza dell’elemento soggettivo in capo all’esercente: in base ai principi generali, è necessario raggiungere una prova piena e tranquillizzante del fatto che, dal contesto delle circostanze, emerga la specifica finalità di consentire la connessione a siti di gioco.
Corte di Appello di Campobasso, 6 marzo 2023 n. 82

RESPONSABILITÀ E RISARCIMENTO  

Sinistri stradali - Veicolo non identificato - Risarcimento danni - Onere della prova. (Dlgs 7 settembre 2005 n. 209, articolo 289)
Secondo l’adita Corte d’Appello di Bari quando il danneggiato promuova una richiesta di risarcimento danni nei confronti del Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, sul presupposto che il sinistro stradale sia stato cagionato da veicolo (o natante) non identificato, ha l'onere di provare sia che il sinistro si è verificato per condotta dolosa, o colposa, del conducente dell’altro veicolo (o natante), sia che questo è rimasto sconosciuto. Trattasi di un onere probatorio che deve essere assolto dal danneggiato in maniera particolarmente rigorosa, in quanto il convenuto non ha strumenti per interloquire rispetto a un fatto asseritamente verificatosi secondo le modalità indicate dall'attore: si giustifica così perché spetta alla vittima fornire adeguata dimostrazione dell'evento lesivo subito e dell'imputabilità dello stesso alla condotta colposa, o dolosa, del conducente rimasto sconosciuto. D’altronde il sistema risarcitorio posto a carico del Fondo di Garanzia non vale a rimpiazzare, ma solo a completare gli strumenti di tutela esperibili dai danneggiati da sinistro stradale per il ristoro del pregiudizio subito, non consentendo una surrogazione incondizionata del medesimo Fondo nella posizione del responsabile né, per l’effetto, uno “scaricamento” sulla Compagnia designata dal Fondo di oneri riparatori che avrebbero potuto essere facilmente pretesi nei confronti di chi sarebbe stato individuabile mediante ordinaria accortezza. Perciò può essere qualificato come “veicolo non identificato”, tale da giustificare una domanda ex art. 283, I, lett. a). D.Lgs. n. 209/2005, solo quello rimasto ignoto nonostante che la vittima abbia tenuto una condotta di usuale ed esigibile diligenza nel corso dell’intera vicenda. In particolare, l’omessa denuncia all'Autorità Giudiziaria del sinistro cagionato dal veicolo non identificato pur non costituendo, di per sé, elemento preclusivo della risarcibilità del danno nei confronti del Fondo di Garanzia, tuttavia integra una circostanza che, unitamente alle altre risultanze istruttorie, merita di essere adeguatamente e criticamente valutata.
• Corte di appello di Bari, sezione III, 7 marzo 2023 n. 363

CONCORRENZA
Concorrenza sleale - Abuso di posizione dominante.
(Costituzione, articolo 41; Legge 18 giugno 1998 n. 192, articolo 9)
La Corte d’Appello di Brescia è chiamata ad esprimersi in merito alla asserita  violazione della normativa sulla concorrenza sleale con riferimento all’abuso di posizione dominante. Osserva così in sentenza che tale figura di abuso non può ravvisarsi in ogni atto di concorrenza svolto da un’impresa asseritamente dominante nei confronti di tutte le altre operanti nello stesso settore. Nel tentativo di conciliare la libertà di iniziativa economica costituzionalmente garantita (art. 41) e la tutela degli imprenditori da condotte che possano porsi in contrasto con l’utilità sociale, è stata emanata la L. n. 192/1998 che traccia i limiti entro i quali tali condotte possano ritenersi illegittime (e che, all’art. 9, vieta l’abuso di dipendenza economica instaurata tra una ed altra impresa, fra le quali intercorra un rapporto contrattuale). È alla stregua di tali disposizioni – sottolinea ancora l’adito Collegio giudicante - che si è stabilito di fare ricorso al concetto di “squilibrio” stigmatizzando la condotta di chi rifiuta di vendere o comprare, impone condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie o, ancora, interrompe arbitrariamente le relazioni commerciali in atto.  Si richiama così la necessità di tracciare il confine tra il comportamento “lecito”, anche se gravoso per la controparte, e quello “vietato”, e ciò avendo riguardo della liceità dell’interesse in vista del quale il comportamento è stato tenuto. Ove si persegua un risultato lecito attraverso mezzi legittimi non vi è alcun abuso. A tal fine deve indagarsi non già se sussista una situazione di mero squilibrio, o asimmetria, di diritti, o obblighi, ma se lo stesso sia “eccessivo” e, in particolare, se l’altro contraente fosse realmente privo di alternative economiche sul mercato. Occorre poi verificare se vi sia una condotta contraria a buona fede che vada oltre l’attuazione della lecita iniziativa concorrenziale.
• Corte di appello di Brescia, sezione I, 8 marzo 2023 n. 396

RESPONSABILITÀ E RISARCIMENTO
Esercente attività pericolosa - Danni cagionati a terzi - Risarcimento. (Cc, articoli 2050, 2051 e 2052)

Sottolinea in sentenza la Corte d’Appello di Cagliari che il gestore della linea elettrica, in quanto esercente attività pericolosa, a norma dell’art. 2050 c.c., è responsabile per il danno cagionato ad altri nello svolgimento dell’attività, se non provi di avere adottato tutte le misure idonee ad evitarlo. La responsabilità di cui alla citata disposizione codicistica rientra nelle figure di responsabilità oggettiva, vale a dire in quelle forme di responsabilità che prescindono dalla colpa del responsabile. Nella scelta delle misure idonee ad evitare il danno, l’esercente l’attività pericolosa dispone di un certo margine di discrezionalità, da esercitare facendo uso della normale prudenza e tenendo conto dello sviluppo della tecnica e delle condizioni pratiche in cui si svolge l’attività. Siffatta discrezionalità, peraltro, viene meno quando è la legge ad imporre l’obbligo di adottare talune misure. Pertanto, la presunzione di responsabilità opera nei confronti dell’esercente l’attività pericolosa che abbia adottato misure diverse da quelle prescritte da norme legislative (o regolamentari), senza che vi sia alcuna possibilità, in tal caso, di valutarne l’idoneità. Sennonché, pur versandosi in ipotesi di presunzione di responsabilità e non di presunzione di colpa, essa pur sempre presuppone il previo accertamento dell’esistenza del nesso eziologico — la prova del quale incombe al danneggiato — tra l’esercizio dell’attività e l’evento dannoso, non potendo il soggetto agente essere investito da una presunzione di responsabilità rispetto ad un evento che non è ad esso riconducibile. Ne consegue che, anche nell’ipotesi in cui l’esercente dell’attività pericolosa non abbia adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, realizzando quindi una situazione astrattamente idonea a fondare una sua responsabilità ex art. 2050 c.c., la causa efficiente sopravvenuta, che da sola sia stata idonea a causare l’evento, recide il nesso eziologico che si sarebbe innestato tra l’attività pericolosa stessa, esercitata in assenza di misure di cautela idonee, e l’evento, costituendo invece causa concorrente, se l’evento dannoso si ricolleghi eziologicamente ad entrambe le cause (cioè all’attività pericolosa in assenza di idonee cautele, ed alla causa sopravvenuta).
• Corte di appello di Cagliari, 8 marzo 2023 n. 91

LEASING
Contratto di sale and lease back - Divieto di patto commissorio - Elusione - Prova. 
(Cc, articolo 2744)
Il contratto di sale and lease back, osserva in sentenza la Corte d’Appello di Napoli, si configura come una operazione negoziale complessa, frequentemente applicata nella pratica degli affari poiché risponde all’esigenza degli operatori economici di ottenere, con immediatezza, liquidità mediante l’alienazione di un bene strumentale - di norma funzionale ad un determinato assetto produttivo – conservandone l’uso con la facoltà di riacquistarne la proprietà al termine del rapporto. Tale operazione è caratterizzata da uno schema negoziale tipico nel cui ambito il trasferimento in proprietà del bene all’impresa di leasing rappresenta il necessario presupposto per la concessione del bene in “locazione finanziaria” e non è quindi propedeutico per sua natura, e nel suo fisiologico operare, ad uno scopo di garanzia, né tantomeno alla fraudolenta elusione del divieto posto dall’art. 2744 c.c.. Pertanto, pur ammettendo che anche il lease and sale back, come qualsiasi altro contratto, possa essere impiegato per scopi illeciti e fraudolenti (e, in particolare, ai fini della violazione o elusione del divieto del patto commissorio), tuttavia sottolinea la Corte adita che tale ultima ipotesi si realizza solo se per le circostanze del caso concreto (difficoltà economiche dell’impresa venditrice, legittimanti il sospetto di un approfittamento della sua condizione di debolezza; sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall’acquirente che confermi la validità di tale sospetto), l’operazione si atteggi in modo da perseguire un risultato confliggente con il divieto sancito dall’art. 2744 c.c. Nel contratto di sale and lease back, la vendita ha solo scopo di “leasing” e non di garanzia perché, nella configurazione socialmente tipica del rapporto, costituisce solo il presupposto necessario della locazione finanziaria inserendosi nella operazione economica secondo la funzione specifica di questa, che è quella di procurare all’imprenditore, nel quadro di un determinato disegno economico di potenziamento dei fattori produttivi, liquidità immediata mediante l’alienazione di un suo bene strumentale, conservandone l’uso con facoltà di riacquistarne la proprietà al termine del rapporto. La violazione del patto commissorio, attraverso una tale operazione contrattuale, deve essere accertata in concreto, con una indagine tipicamente di fatto, non sussistendo in re ipsa.
• Corte di appello di Napoli, sezione VII, 8 marzo 2023, n. 1037


CREDITO E RISPARMIO
Intermediario finanziario – Responsabilità – Illecito del promotore finanziario
. (Cc, articolo 2049; Dlgs 24 febbraio 1998, n. 58)
Osserva il Tribunale di Milano come l’art. 31, III, D.Lgs. n. 58/1998 (T.U. in materia di intermediazione finanziaria) ponga a carico dell'intermediario la responsabilità solidale per i danni arrecati a terzi dal consulente finanziario nello svolgimento delle incombenze affidategli, anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale. Il fondamento di questa responsabilità deve essere ravvisato nel rilievo che l'agire del promotore finanziario è uno degli strumenti dei quali l'intermediario si avvale nell'organizzazione della propria impresa, traendone benefici ai quali è ragionevole far corrispondere i rischi, in ossequio al principio ubi commoda ibi et incommoda. Presupposto della responsabilità dell'intermediario è la sussistenza di una connessione tra l'esercizio delle mansioni affidate al promotore finanziario e il danno da questi arrecato all'investitore, che si inquadra nell'ampio significato del nesso di "occasionalità necessaria", con ciò evidenziandosi la relazione di continuità tra la norma speciale contenuta nel citato Testo Unico e la disposizione generale sulla responsabilità dei preponenti di cui all'art. 2049 c.c.. La normativa di riferimento esclude, nella sostanza, che il comportamento doloso del preposto interrompa il nesso causale fra l'esercizio delle incombenze ed il danno, ancorché tale comportamento costituisca reato e rivesta, quindi, particolare gravità. Ancora, ai fini della configurabilità del nesso di occasionalità necessaria, va verificato se l’evento lesivo sia stato reso possibile o anche solo agevolato dall’incombenza svolta dal collaboratore, non rilevando se l’ausiliario abbia operato oltre i limiti del proprio incarico o addirittura oltre la volontà del preponente. Tale nesso (di occasionalità necessaria) può essere interrotto dalla condotta del danneggiato solo qualora sia per lui chiaramente percepibile che la condotta del preposto si ponga in assenza o al di fuori del rapporto con l’intermediario ovvero sia consapevolmente coinvolto nell’elusione della disciplina legale posta in essere dal preposto. In altre parole, tale interruzione di ha quando il danneggiato ponga in essere una condotta agevolatrice che presenti connotati di anomalia, vale a dire di collusione o quantomeno di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore.
Tribunale di Milano, sezione VI, 7 marzo 2023 n. 1797

FAMIGLIA E MINORI

Conviventi more uxorio - Attribuzioni patrimoniali - Obbligazioni naturali. (Costituzione, articolo 2; Cc, articoli 2034, 2041)
Con la sentenza in esame il Tribunale di Modena si sofferma sulle attribuzioni patrimoniali nella famiglia di fatto. La convivenza che si concretizza in una unione di fatto, quale formazione sociale rilevante ex art. 2 Cost., è caratterizzata da doveri di natura morale e sociale, di ciascun convivente nei confronti dell'altro, che si esprimono anche nei rapporti di natura patrimoniale e che si configurano come adempimento di un'obbligazione naturale ex art. 2034 c.c. ove siano rispettati i principi di proporzionalità ed adeguatezza. Si sottolinea così, da parte dell’adito Tribunale, come un'attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio si configuri quale adempimento di un'obbligazione naturale allorchè la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all'entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens. A monte vi è la considerazione secondo cui l'azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicchè non è dato invocare la mancanza o l'ingiustizia della causa qualora l'arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell'adempimento di un'obbligazione naturale. È, pertanto, possibile configurare l'ingiustizia dell'arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell'altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza - il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto - e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza. Dunque, affinché trovi applicazione la disposizione di cui all’art. 2041 c.c., occorre accertare che la spesa sia stata sostenuta senza spirito di liberalità, in vista di un progetto di vita comune, e che, effettuando l’esborso, il convivente non aveva intenzione di adempiere ad alcuna obbligazione naturale. Con la precisazione che l'indennizzo per ingiustificato arricchimento va commisurato alla minore somma fra diminuzione patrimoniale (depauperatio) e arricchimento (locupletatio) che costituisce il limite invalicabile dell'attribuzione.
• Tribunale di Modena, sezione I, 7 marzo 2023 n. 383

STATUS E CAPACITÀ
Persone prive di autonomia - Interdizione - Amministrazione di sostegno. (Cc, articolo 414; Legge  9 gennaio 2004 n. 6)

Precisa il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere come il “nuovo” art. 414 c.c. (“persone che possono essere interdette”) sottintenda l’eliminazione del carattere obbligatorio della misura, la cui applicazione è subordinata ad una condizione di abituale infermità di mente che renda il maggiore di età o il minore emancipato incapace di provvedere ai propri interessi, ove tale misura sia necessaria per assicurare la loro adeguata protezione. Tale misura costituisce l’extrema ratio di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia: la disciplina ex L. n. 6/2004 affida al Giudice il compito di individuare l’istituto che garantisca la tutela più adeguata, limitando la capacità del soggetto nella minore misura possibile, e ricorrendo all’interdizione solo se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare tale protezione. L’istituto dell’interdizione ha dunque carattere residuale, avendo inteso il Legislatore riservarlo – in considerazione della gravità degli effetti che da essa derivano – a quelle ipotesi in cui nessuna efficacia protettiva sortirebbe una diversa misura. Il criterio per applicare l’una o l’altra delle misure di protezione non è rappresentato dalla gravità o dalla natura dell’infermità psichica, bensì dalla funzionalità di una misura piuttosto che un’altra al soddisfacimento degli interessi da tutelare. Ad un'attività minima, estremamente semplice, e tale da non rischiare di pregiudicare gli interessi del soggetto - vuoi per la scarsa consistenza del patrimonio disponibile, vuoi per la semplicità delle operazioni da svolgere (attinenti, ad esempio, alla gestione ordinaria del reddito da pensione), e per l'attitudine del soggetto di non porre in discussione risultati dell'attività di sostegno nei suoi confronti - corrisponderà l'amministrazione di sostegno mentre si potrà ricorrere all'interdizione quando si tratta di gestire un'attività di una certa complessità, da svolgere in una molteplicità di direzioni, ovvero nei casi in cui appaia necessario impedire al soggetto da tutelare di compiere atti pregiudizievoli per sé, eventualmente anche in considerazione della permanenza di un minimum di vita di relazione che porti detto soggetto ad avere contatti con l'esterno.
• Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sezione I, 7 marzo 2023 n. 906

CONTRATTI

Contratto di ormeggio - Natura giuridica – Doveri delle parti. (Cc, articoli 1218 e 1768)
Il Tribunale di Napoli qualifica, in sentenza,  il contratto di ormeggio (che non trova una sua specifica regolamentazione né nel codice civile, né nel codice della navigazione) come un contratto atipico, nel quale confluiscono prestazioni di per sè riconducibili a differenti schemi contrattuali tipici, quali la locazione (per quanto concerne la messa a disposizione di un tratto di molo o banchina e dello spazio acqueo riservato), il deposito (per quanto riguarda l'obbligo di custodia del bene), il comodato, la somministrazione (si pensi alla fornitura di acqua e di energia elettrica), etc.. In particolare, l’accostamento tra tale fattispecie contrattuale e il contratto di deposito riposa sulla considerazione del fatto che, solitamente, le parti prevedono a carico del gestore del porto (o approdo turistico) l'obbligo di custodia dell'unità da diporto. Talvolta, anzi, le due figure contrattuali (ormeggio e deposito) si assimilano tra loro, lasciando così emergere la nuova fattispecie contrattuale dell'ormeggio-deposito. Con la precisazione che il contratto di ormeggio non può essere assunto ipso iure nella categoria del contratto di deposito, potendo avere ad oggetto la semplice messa a disposizione ed utilizzazione delle strutture portuali ovvero estendersi alla custodia dell'imbarcazione: nel primo caso, lo stesso è assimilabile alla locazione e, solo nel secondo, al deposito, da cui discende l'obbligo di custodire il natante e di restituirlo nello stato in cui è stato consegnato. Con riferimento al contratto di ormeggio con obbligo di custodia, in caso di avaria, deterioramento o distruzione della imbarcazione, il concessionario dell'ormeggio non si libera della responsabilità ex recepto provando di avere usato nella custodia della res la diligenza del buon padre di famiglia prescritta dall'art. 1768 c.c., ma deve provare a mente dell'art. 1218 c.c. che l'inadempimento sia derivato da causa a lui non imputabile. Con l'avvertenza che ove il concessionario dell'ormeggio si renda conto (o debba rendersi conto) della necessità di uno sforzo maggiore rispetto a quello ordinario, egli è tenuto a prestarlo, versando altrimenti in colpa cosciente, ancorché abbia custodito il bene con la diligenza del buon padre di famiglia.
Tribunale di  Napoli, sezione XII, 8 marzo 2023 n. 2495

DIRITTO D’AUTORE
Programma televisivo - Format - Diritto di autore.
(Legge 22 aprile 1941 n. 633; Bollettino ufficiale SIAE n. 66/1994)
Secondo il Tribunale di Roma, in tema di diritto di autore relativo a programmi televisivi, ai fini della configurabilità di un'opera dell'ingegno, pur potendosi prescindere da una assoluta novità e originalità di essa e nell'ambito di un concetto giuridico di creatività comunque soggettivo, è necessario, con riferimento al "format", cioè all'idea base di programma quale modello da ripetere anche da altre emittenti o in altre occasioni ed in assenza di una definizione normativa, avere riguardo alla nozione risultante dal bollettino ufficiale della SIAE n. 66/1994, secondo cui l'opera, ai fini della prescritta tutela, deve presentare, come elementi qualificanti, delle articolazioni sequenziali e tematiche, costituite da un titolo, un canovaccio (o struttura narrativa di base), un apparato scenico e personaggi fissi, così realizzando una struttura esplicativa ripetibile del programma (L. n. 633/1941). La figura del format di un programma televisivo, la quale sembra adattarsi meglio a spettacoli d’intrattenimento che non ad opere destinate ad avere un vero e proprio sviluppo narrativo, richiede in tal caso una struttura programmatica dotata di un grado minimo di elaborazione creativa, il che postula l'individuazione iniziale almeno degli elementi strutturali di detta vicenda, e quindi della sua ambientazione nel tempo e nello spazio, dei personaggi principali, del loro carattere e del filo conduttore della narrazione, con l'ulteriore conseguenza che, in mancanza di tali elementi, non è possibile invocare la tutela afferente alle opere dell'ingegno, perché si è in presenza di un'ideazione ancora così vaga e generica da esser paragonabile ad una scatola vuota, priva di qualsiasi utilizzabilità mercantile e carente dei requisiti di creatività ed individualità indispensabili per la configurabilità stessa di un'opera dell'ingegno. E cioè a dire, il format di un programma televisivo è tutelabile quale opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore quando presenti uno schema di programma, un canovaccio delineato nei suoi tratti essenziali, generalmente destinato ad una produzione televisiva seriale, come risultante da una sintetica descrizione; al contrario, non è tutelabile come opera dell’ingegno una descrizione assolutamente generica e sommaria dei contenuti del programma, senza previsione concreta dello svolgimento dello stesso.
Tribunale di Roma, sezione XVII imprese, 8 marzo 2023 n. 3833

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