Amministrativo

Non è elusiva la fusione che «evita» la Robin tax

di Luca Miele

La Commissione tributaria provinciale del Lazio, con due sentenze del 29 maggio 2017, si è pronunciata sul “nuovo” abuso del diritto affermando che l’amministrazione finanziaria non ha soddisfatto l’onere probatorio a suo carico mentre il contribuente ha dimostrato che le operazioni poste in essere rispondono altresì a valide ragioni extrafiscali.

La vicenda

Il caso, piuttosto complesso, ha origine nel 2008 quando la società «X» (del gruppo «X») acquista dalla società «Y» (del gruppo «Y») le partecipazioni nelle società «A» e «B» che detengono alcune centrali elettriche. Le società «A» e «B» svolgono esclusivamente l’attività di produzione di energia elettrica e sono pertanto soggette alla maggiorazione Ires (RHT), mentre la società «X» non è soggetta alla maggiorazione.

Nel 2009 la società «B» viene scissa parzialmente in altre due società «C» e «D» (ognuna delle quali detiene una centrale). Per effetto della scissione le società che pagano RHT sono quattro: «A», «B» e le due beneficiarie neocostituite dalla scissione «C» e «D».

Nel 2010 viene effettuata la prima fusione e la società «A» è incorporata in «X». Per effetto della fusione, X non paga RHT (avendo ricavi da servizi prevalenti rispetto a quelli di vendita di energia elettrica). Nel 2011 viene effettuata la seconda fusione e le società «B», «C» e «D» sono incorporate in «X». Per effetto della fusione, X (avendo ricavi prevalenti da servizi) non paga RHT.

La sequenza negoziale

Il primo elemento di contestazione ha riguardato la sequenza delle operazioni.

L’ufficio finanziario ha infatti sostenuto la «circolarità» della sequenza negoziale e, quindi, la presenza di elusione. «Circolarità» che, invece, a parere dei giudici, non è ravvisabile, in quanto la Società «X» era titolare di (due) partecipazioni nel 2008, mentre a seguito delle operazioni di fusione del 2010 e del 2011 risultata essere titolare (direttamente) di complessi aziendali.

Peraltro, se la «X» avesse acquistato sin dal 2008 i rami di azienda (invece di partecipazioni) non avrebbe mai pagato RHT.

Le ragioni extrafiscali

Il secondo elemento di contestazione riguarda la sussistenza delle valide ragioni extrafiscali a base delle operazioni di fusione. La Dre ha sostenuto che da alcune lettere rinvenute dai verificatori fosse possibile evincere il disegno elusivo volto esclusivamente a evitare la RHT. Secondo i giudici, invece, nella corrispondenza complessivamente analizzata non era individuabile un disegno elusivo al solo fine di aggirare la cosiddetta Robin Hood Tax ma la sussistenza di valide ragioni extrafiscali. In tal senso, viene anche attribuita rilevanza al conseguimento, post fusioni, di una semplificazione nella struttura del gruppo e di un significativo risparmio di costi amministrativi legati al collegio sindacale, alla revisione contabile, ai sistemi operativi, alle ore/uomo delle funzioni amministrative.

Il vantaggio tributario

La sentenza si sofferma anche sulla mancata prova del conseguimento del vantaggio fiscale “tout court”. Infatti, a seguito della fusione (nel 2012), «X» ha venduto alcuni rami di azienda relativi alle centrali conseguendo delle plusvalenze tassabili ai fini Ires al 27,5%. Diversamente, in assenza delle fusioni, «X» avrebbe potuto beneficiare del regime Pex, tassando solo all’1,375%. Il differente carico di imposta tra Pex e tassazione piena della cessione dei rami, ha ulteriormente convinto i giudici circa la mancanza di prova, da parte della Dre, di un vantaggio fiscale (sia esso debito o indebito).

Infine, i giudici affermano che «in ogni caso non è del tutto irrilevante la circostanza che l’avviso di accertamento è intervenuto successivamente alla declaratoria di incostituzionalità delle norme sulla RHT, ritenute contrarie all’ordinamento». Come a dire: è pur vero che la sentenza della Corte ha efficacia ex nunc, ma discutere di aggiramento di una norma abrogata in quanto illegittima costituzionalmente è pur sempre «anomalo».

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