Penale

Il profitto nel reato di dichiarazione fraudolenta

Appare evidente secondo la Cassazione che il profitto consiste proprio nella imposta che non è stata versata all'Erario (ma neppure pagata all'emittente la fattura falsa per quanto è dato capire) e questo in ragione della contabilizzazione negli appositi registri della fattura oggettivamente falsa.

di Paolo Comuzzi

Con la sentenza 36207/2021 la Corte di Cassazione prende in esame il tema del profitto del reato nell'ambito della fattispecie preveduta e punita dalla normativa penale tributaria (precisamente ci troviamo nell'ambito di quella fattispecie che viene qualificata come dichiarazione fraudolenta).

In maggior dettaglio diciamo che viene portato alla attenzione dei supremi giudici un ricorso avverso un provvedimento di sequestro preventivo emesso in ragione del fatto che è stata perseguita la fattispecie preveduta nell'art. 2 d. Igs. 74 del 2000, fattispecie che si configura nel caso di specie "… perché Cooperativa Agricola S. Eugenio a.r.l. al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti… " faceva quanto segue: a) procedeva a registrare negli appositi libri i documenti emessi da diverse società (e da considerare come fatture false) e quindi b) non esitava a farne uso nella dichiarazione prevista dalla normativa in tema di IVA.

Diciamo onestamente che i punti di contestazione circa il provvedimento, adottato dal giudice competente e quindi confermato dal Tribunale di Salerno in sede di riesame, che sono portati alla attenzione della Corte di Cassazione sono certamente numerosi e tutti meriterebbero qualche considerazione ma noi ci limitiamo ad evidenziare uno di questi punti di contestazione.

Per quanto ci concerne in questa sede il tema che ci interessa è quello per cui l'imputato asserisce che il sequestro sarebbe affetto da una violazione di legge in quanto "…. La somma sequestrata risulta pari all'IVA evasa. Il profitto del reato non può consistere nell'importo dell'IVA evasa ma solo del guadagno, con la detrazione delle spese e di altri importi. Per l'evasione dell'IVA il reato configurabile sarebbe diverso da quello contestato …".

In merito a questa contestazione la Corte di Cassazione risponde senza indugio alcuno e con grande chiarezza asserisce che "…Nel caso in esame in relazione all'art 2, d. Igs. 74 del 2000 non possono essere considerati eventuali costi e il profitto del reato consiste nell'imposta utilizzata per il risparmio di spesa (portata in detrazione senza averla pagata): "In tema di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, i costi relativi alle stesse non sono mai deducibili, con la conseguenza che la loro indicazione in dichiarazione configura una finalità di evasione e realizza un corrispondente profitto senza che rilevi in senso contrario la circostanza che, pur avendo sostenuto tali costi nei confronti del soggetto fittiziamente interposto, il destinatario della fattura sia tenuto a corrispondere nuovamente l'Iva al soggetto che ha realmente fornito la prestazione, quale normale conseguenza di ogni interposizione fittizia. (Sez. 3 -, Sentenza n. 29977 del 12/02/2019 Cc. -dep. 09/07/2019 - Rv. 276289 - 01) …".

Appare evidente secondo la Cassazione che il profitto consiste proprio nella imposta che non è stata versata all'Erario (ma neppure pagata all'emittente la fattura falsa per quanto è dato capire) e questo in ragione della contabilizzazione negli appositi registri della fattura oggettivamente falsa.

La conclusione che traspare dalla decisione qui commentata è che questa somma portata in detrazione ma non pagata al soggetto che ha emesso la falsa fattura sarebbe da considerare come il profitto del reato e quindi è questa la somma che deve essere oggetto del sequestro come ha correttamente determinato la decisione appellata che pertanto viene confermata dalla Corte di Cassazione.

*a cura dell'avv. Paolo Comuzzi, Dottore Commercialista – Revisore contabile

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