Civile

Equa riparazione, la temerarietà della lite aperta anche a una valutazione successiva del giudice

Lo ha ribadito la Sezione II della Cassazione con la sentenza 19935/2022

di Mario Finocchiaro

L'ipotesi di abuso del processo di cui alla legge n. 89 del 2001, articolo 2, comma 2-quinquies, lettera a) e b), non esaurisce l'incidenza della temerarietà della lite sul diritto all'equa riparazione, essendo consentito al giudice di pervenire a tale giudizio in base al proprio apprezzamento e, pertanto, il giudice del procedimento ex lege n. 89 del 2001, può valutare - e poteva farlo anche nella previgente disciplina - anche ipotesi di temerarietà che per qualunque ragione nel processo presupposto non abbiano condotto ad una pronuncia di condanna ai sensi dell'articolo 96 Cpc. Questo il principio espresso dalla Sezione II della Cassazione con la sentenza 21 giugno 2022 n. 19935.

I precedenti
Per utili riferimenti cfr., Cassazione, ordinanza 14 gennaio 2019, n. 595, in motivazione, ove la precisazione (come nella pronunzia ora in rassegna) che l'abuso del processo per effetto della temerarietà della lite osta al riconoscimento dell'equo indennizzo anche in mancanza di un provvedimento di condanna ai sensi dell'articolo 96 Cpc, in quanto l'elencazione contenuta [nel ] comma 2-quinquies non ha carattere tassativo.
Ivi, in particolare, altresì, il rilievo che milita a favore di tale affermazione, innanzi tutto, l'assenza di elementi d'indole letterale idonei a supporre che l'indennizzo, fermo il danno (presunto o accertato), sia ammesso in ogni altra ipotesi diversa da quelle elencate dalla norma; in secondo luogo, la lettera f) del comma 2-quinquies citato lascia intendere che il legislatore, tipizzate alcune ipotesi di abuso (nelle lettera da a) ad e), abbia voluto lasciare aperta la possibilità di individuarne altre di pari livello. La tipizzazione delle ipotesi di cui al comma 2-quinquies cit. reagisce sulla fattispecie concreta attraverso il vincolo che pone all'interprete: in particolare, va osservato che detta norma sottrae al giudice, in presenza di una condanna ai sensi dell'articolo 96 Cpc, ogni possibilità di apprezzare il caso specifico, di guisa che il diritto all'indennizzo è senz'altro escluso; correlativamente, l'assenza di un provvedimento di condanna per responsabilità aggravata restituisce al giudice il potere di valutare la condotta tenuta dalla parte nel processo presupposto e di pervenire se del caso ad un giudizio di temerarietà della lite non formulato dal giudice di quella causa. L'inesistenza nel giudizio presupposto di una condanna per responsabilità aggravata ben può dipendere, infatti, da fattori del tutto accidentali, quali l'assenza di domanda o il difetto di prova del danno, nelle ipotesi dei primi due commi dell'articolo 96 Cpc, ovvero il mancato esercizio del potere officioso ma discrezionale che il terzo comma di detta norma assegna al giudice. In questi casi nulla autorizza a ritenere che la parte soccombente non abbia agito o resistito in giudizio con la consapevolezza del proprio torto: semplicemente, non vi è stato alcun accertamento al riguardo. Del resto sarebbe del tutto illogico sopprimere nel procedimento d'equa riparazione ogni altro rilievo della mala fede processuale (non già esclusa, ma) non valutata nel giudizio presupposto, vincolando il giudice ad un giudizio di non temerarietà della lite non altrimenti motivato e motivabile. Se ne deve, quindi, concludere che l'ipotesi di abuso del processo di cui alle lettere a) e b) del comma 2-quinquies dell'articolo 2 della legge n. 89 del 2001, non esaurisce l'incidenza della temerarietà della lite sul diritto all'equa riparazione, essendo consentito al giudice di pervenire a tale giudizio in base al proprio apprezzamento e, pertanto, il giudice del procedimento ex lege n. 89 del 2001 può valutare - e poteva farlo anche nella previgente disciplina - anche ipotesi di temerarietà che per qualunque ragione nel processo presupposto non abbiano consolidato il principio secondo cui il diritto all'equa riparazione di cui alla legge n. 89 del 2001, articolo 2, compete a tutte le parti del processo, indipendentemente dall'esito del giudizio presupposto, deve tuttavia osservarsi che il paterna da ritardo nella definizione del processo è da escludersi allorché la parte rimasta soccombente, consapevole dell'inconsistenza delle proprie istanze, abbia proposto una lite temeraria, difettando in questi casi la stessa condizione soggettiva di incertezza e, dunque, elidendosi il presupposto dello stato di disagio e sofferenza. Peraltro, una situazione soggettiva scevra da ogni ansia derivante dall'incertezza dell'esito della lite può essere originaria o sopravvenuta, secondo che la consapevolezza del proprio torto da parte dell'attore preesista alla causa ovvero intervenga nel corso di questa, per effetto di circostanze nuove che rendano manifesto il futuro esito negativo del giudizio.
Sempre nel senso della pronunzia ora in rassegna (e della giurisprudenza ricordata sopra) e, in particolare per l'affermazione che il giudice del procedimento ex lege n. 89 del 2001 può valutare anche ipotesi di temerarietà che per qualunque ragione nel processo presupposto non abbiano condotto ad una pronuncia di condanna ai sensi dell'articolo 96, altresì, Cassazione, ordinanze 26 maggio 2020, n. 9762; 13 ottobre 2017, n. 24190 (che ricava tale facoltà, per il giudice dell'equa riparazione, dalla lettera f) stesso articolo 2, comma 2-quinquies cit., che attribuisce carattere ostativo ad ogni altra ipotesi di abuso dei poteri processuali e ove l'ulteriore precisazione che tale valutazione non è soggetta al sindacato di legittimità motivazionale, per effetto dei limiti introdotti dal nuovo testo dell'articolo 360, n. 5, Cpc, né, ove svolta d'ufficio, è censurabile in cassazione per pretesa violazione dell'articolo 112 Cpc, essendo, al contrario, doverosa, in quanto relativa ad un requisito negativo dell'esistenza del diritto) e 5 maggio 2016, n. 9100 (che sottolinea, come le altre decisioni richiamate, da un lato, che l'elenco di cui all'articolo 2, comma 2-quinquies, legge n. 89 del 2001 non è tassativo, dall'altro, che tale regola è applicabile anche anteriormente alle modifiche di cui alla legge n. 208 del 2015.

La lite temeraria
In tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, la circostanza che la causa di merito sia configurabile come lite temeraria o che la parte abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il diritto all'equa riparazione, costituendo circostanze di abuso del processo e derogando alla regola secondo cui il diritto all'indennizzo è indipendente dall'esito del processo presupposto (articolo 2, l. 24 marzo 2001, n. 89), deve essere provata dall'amministrazione resistente, anche con presunzioni, in modo che possa ritenersi accertata la assoluta consapevolezza dell'infondatezza della pretesa; l'amministrazione non è tuttavia tenuta a dedurre formalmente le predette circostanze, non trattandosi di eccezione in senso stretto, per la quale la legge richiede espressamente che sia soltanto la parte a rilevare i fatti impeditivi; conseguentemente, se gli elementi rilevanti ai fini della prova di tali circostanze sono stati comunque ritualmente acquisiti al processo o attengono al notorio, gli stessi entrano a far parte del materiale probatorio che il giudice può liberamente valutare, Cassazione, ordinanza 9 aprile 2010, n. 8513.
Sulla questione specifica, sempre in argomento, si è affermato, altresì, in sede di legittimità:
- ai sensi dell'articolo 2, legge 24 marzo 2001, n. 89, non può escludersi il pregiudizio non patrimoniale normalmente conseguente al protrarsi del giudizio oltre la durata ragionevole, invocando l'univoco orientamento giurisprudenziale contrario alla tesi sulla quale si basa la domanda giudiziale, questo non costituendo elemento sufficiente per presumere, quale fattispecie di abuso del processo perseguito dalla parte soccombente, l'insussistenza della incertezza sull'esito del giudizio e, quindi, del disagio per il protrarsi irragionevole della sua definizione, Cassazione, sentenza 6 settembre 2012, n. 14978;
- il diritto all'equa riparazione di cui all'articolo 2, legge 89 del 2001 spetta a tutte le parti del processo indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, a meno che non ricorrano situazioni costituenti abuso del processo - come quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui all'articolo 2 cit. - della cui prova è onerata l'amministrazione, Cassazione, sentenze 9 gennaio 2012, n. 35 e 23 dicembre 2011, n. 28592 (ove la precisazione che al fine della dimostrazione della esistenza di una lite temeraria non è sufficiente, la deduzione che la domanda della parte poteva dirsi infondata per effetto di una sentenza della corte costituzionale, resa con riguardo a una richiesta di riconoscimento dell'indennità piena, prevista dall'articolo 4, comma 3, legge n. 724 del 1994, per l'esercizio della professione medica in relazione alla sentenza della corte costituzionale n. 330 del 1999;

Abuso del diritto di difesa
- il diritto all'equa riparazione prescinde dall'esito del giudizio irragionevolmente protrattosi nel tempo, e quindi compete anche quando la durata eccessiva abbia determinato l'estinzione del reato per prescrizione (dovendosi escludere che quest'ultima valga di per sé ad elidere gli effetti negativi del protrarsi eccessivo del processo, in via di compensatio lucri cum damno), salvo che l'effetto estintivo del reato derivi dall'utilizzo, da parte dell'imputato sottoposto a procedimento penale, di tecniche dilatorie o di strategie sconfinanti nell'abuso del diritto di difesa, Cassazione, sentenza 18 novembre 2010, n. 23339 (Nella stessa ottica, oltre Cassazione, sentenza 15 aprile 2005, n. 7808, in Giustizia civile, 2006, I, p. 1818, Cassazione, sentenza 2 agosto 2006, n.17552, ove la precisazione che del resto, la definizione del processo penale per estinzione del reato non necessariamente corrisponde all'interesse dell'imputato, tenuto conto della esigenza morale del soggetto sottoposto a procedimento penale di vedere affermata in modo pieno ed inequivocabile la propria estraneità al reato contestatogli, e Cassazione, sentenza 5 novembre 2002, n. 15449, in Guida al diritto, 2002, fasc. 45, p. 56, con nota di De Paola G.);
- non è sufficiente, al fine di escludere il diritto all'equa riparazione, la deduzione che la domanda della parte - nella specie di richiesta di riconoscimento di un trattamento pensionistico - sia stata dichiarata manifestamente infondata, Cassazione, sentenza 26 aprile 2010, n. 9938;

Esito del giudizio
- in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, la circostanza che la causa di merito abbia avuto esito negativo, sia pure prevedibile, è irrilevante ai fini del riconoscimento del danno non patrimoniale, giacché l'esito favorevole della lite non condiziona il diritto alla ragionevole durata del processo, né incide di per sé sulla pretesa indennitaria della parte che abbia dovuto sopportare l'eccessiva durata della causa, salvo che essa si sia resa responsabile di lite temeraria o, comunque, di un vero e proprio abuso del processo; l'esito sfavorevole del giudizio può tuttavia incidere riduttivamente sulla misura dell'indennizzo, allorché la domanda sia stata proposta in un contesto tale da renderla, se non temeraria, comunque fortemente aleatoria, Cassazione, sentenza 13 novembre 2009, n. 24107;
- deve escludersi che, nella valutazione della ragionevole durata di un giudizio promosso nei confronti di ente previdenziale per il riconoscimento del diritto all'assegno di invalidità, il giudice dell'equa riparazione possa tenere conto del solo tempo processuale successivo all'insorgenza dell'infermità invalidante, ove questa risulti sopravvenuta in corso di causa, Cassazione, sentenza 30 settembre 2005, n. 19204.

Rinvii richiesti dalle parti
Sulla rilevanza, ai fini dell'accertamento della violazione della durata ragionevole del processo dei rinvii richiesti dalle parti, cfr. - tra le altre - Cassazione, sentenze 18 dicembre 2008, n. 29543, in Nuova giur. civ., 2009, I, p. 530 (con nota di Venturelli A., Struttura risarcitoria e funzione indennitaria dell'equa riparazione per l'irragionevole durata del processo), nonché 15 novembre 2006, n. 24356 secondo le quali i rinvii richiesti dalle parti sono detraibili da tale durata solo nei limiti in cui siano imputabili ad intento dilatorio o a negligente inerzia delle stesse e, in generale, all'abuso del diritto di difesa.

Equa riparazione e abuso del processo in termini generali
In termini generali:
- in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all'equa riparazione di cui all'articolo 2 legge n. 89 del 2001 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, e dalla consistenza economica o dall'importanza sociale della vicenda, a meno che l'esito del processo presupposto non abbia un indiretto riflesso sull'identificazione, o sulla misura, del pregiudizio sofferto dalla parte in conseguenza dell'eccessiva durata della causa, come quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire l'irragionevole durata di esso, o comunque quando risulti la piena consapevolezza dell'infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilità; di tutte queste situazioni, comportanti abuso del processo e perciò costituenti altrettante deroghe alla regola della risarcibilità della sua irragionevole durata, deve dare prova la parte che le eccepisce per negare la sussistenza dell'indicato danno, dovendo altrimenti ritenersi che esso si verifica di regola come conseguenza della violazione stessa, e che non abbisogna di essere provato neppure a mezzo di elementi presuntivi, Cassazione, sentenza 28 ottobre 2005, n. 21088, che ha cassato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda perché il pregiudizio non patrimoniale non era stato dimostrato, e per la scarsa consistenza economica della materia del contendere;
- in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all'equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001 n. 89 spetta a tutte le parti del processo, attori o convenuti, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, l'esito favorevole del processo non essendo, di regola, condizione di azionabilità della pretesa indennitaria, salvi i casi di abuso del processo, configurabile allorquando risulti che il soccombente abbia promosso una lite temeraria o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire, con tattiche processuali di varia natura, il perfezionamento della fattispecie di cui all'articolo 2 citata legge n. 89 del 2001, Cassazione, sentenza 7 marzo 2003, n. 3410, in Guida al diritto, 2003, fasc. 17, p. 36, con nota di De Paola G., Solo nelle ipotesi di lite temeraria sorge l'obbligo di negare il ristoro (nonché in Rassegna giuridica energia elettrica, 2003, II, p. 200, con nota di Rampello A., Due precisazioni sull'equa riparazione: è applicabile anche al processo amministrativo e non risente dell'esito del giudizio presupposto).

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