Responsabilità

Vaccino inefficace, no all'indennizzo per i danni derivanti dallo sviluppo della malattia

Lo ha chiarito la Corte di cassazione con l'ordinanza n. 20539 deposita oggi segnalata per il "Massimario"

di Francesco Machina Grifeo

L'indennizzo di legge non scatta nel caso in cui il vaccino non abbia funzionato e la persona contragga la malattia riportando gravi danni alla salute. Lo ha chiarito la Corte di cassazione con l'ordinanza n. 20539 deposita oggi segnalata per il "Massimario", accogliendo il ricorso del Ministero della Salute.

Al centro della querelle, la richiesta prima da parte della madre e poi (una volta maggiorenne) direttamente dal figlio, degli indennizzi previsti dalla legge 210/1992 per la malattia contratta nonostante la somministrazione del vaccino cd. trivalente (morbillo, parotite e rosolia). In primo grado il Tribunale di Macerata e la Corte di Appello di Ancona avevano dato ragione al richiedente.

Il Ministero ha però proposto ricorso sostenendo che il giudice di secondo grado avrebbe errato nel ritenere «esistente il nesso causale tra i danni lamentati ed il vaccino quando, invece, la vaccinazione si era rivelata inefficace». Infatti, sempre ad avviso di parte ricorrente, la mancata risposta al vaccino, legata a fattori individuali, non poteva essere equiparata ad una reazione avversa collegata causalmente allo stesso. Né poteva ricorrere la fattispecie prevista dal comma 4 dell'art. 1 della legge n. 210 del 1992, che si riferiva alla particolare situazione in cui soggetti non vaccinati contraggono la malattia venendo in contatto con persone da poco vaccinate e, quindi, idonee a diffondere il virus. Peraltro, trattandosi di parotite, il rischio di diffusione del virus da parte di soggetti vaccinati non sussisteva.

Per la IV Sezione civile il ricorso coglie nel segno. Come chiarito nel caso della poliomelite, ma il ragionamento è "estendibile" alla presente controversia per "identità di ratio", il diritto all'indennizzo per i danni conseguenti alla vaccinazione obbligatoria «è riconosciuto solo nei casi in cui sussista un nesso causale tra la somministrazione del vaccino ed il danno patito dal soggetto passivo del trattamento sanitario obbligatorio». «Pertanto, non può essere accolta la domanda del ricorrente che deduca l'inefficacia del vaccino somministrato, e non il nesso causale diretto tra quest'ultimo e la malattia successivamente contratta». Infatti, la legge n. 210 del 1992 ha introdotto un indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie ed anche semplicemente raccomandate.

Secondo l'art. 1, comma 1: «Chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge». Dunque, Il testo depone nel senso che l'indennizzo è stato riconosciuto dalla legge «solo ove vi sia un nesso causale tra la somministrazione del vaccino ed il danno patito dal soggetto passivo del trattamento sanitario obbligatorio».

«Il fatto generatore del diritto all'indennizzo – prosegue il ragionamento - è, dunque, l'inoculamento del vaccino che si sia, poi, rivelato dannoso per il soggetto". Così, sia l'interpretazione letterale della norma che considerazioni di ordine sistematico, "portano ad escludere che il diritto all'indennizzo spetti a coloro che contraggano la malattia dopo essersi sottoposti a vaccinazione in conseguenza dell'inefficacia della stessa sul loro organismo».

Mentre l'art. 1, comma 4, della legge n. 210 del 1992, richiamato dalla Corte territoriale, non supporta la tesi del controricorrente, ma, al contrario, quella del Ministero della Salute. Infatti, afferma la Cassazione, esso dispone, che: «I benefici di cui alla presente legge spettano alle persone non vaccinate che abbiano riportato, a seguito ed in conseguenza di contatto con persona vaccinata, i danni di cui al comma 1; (...)». La disposizione, dunque, è applicabile esclusivamente qualora il non vaccinato sia stato contagiato da persona vaccinata; evidentemente ancora contagiosa nonostante il trattamento sanitario ricevuto. Nella specie, tuttavia, anche volendo equiparare la posizione del controricorrente a quella di un non vaccinato, mancherebbe la prova della provenienza del contagio da altra persona sottoposta alla vaccinazione C.d. trivalente.

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