Civile

Abusiva anche la pubblicità visibile soltanto dal casello

Sentenze rigorose anche con le insegne di esercizio con natura promozionale

di Maurizio Caprino, Marisa Marraffino

La Cassazione stringe le maglie sui divieti alle installazioni pubblicitarie in prossimità delle autostrade, precisando che sono illegittimi tutti i cartelloni visibili anche solo dai caselli e pur se collocati in un centro urbano. Ne risponde, con la sanzione prevista dall'articolo 23 del Codice della strada, non solo l'autore dell'infrazione, ma anche il proprietario del mezzo pubblicitario utilizzato e in genere chiunque apponga la cartellonistica.

La Corte, con l'ordinanza 29000 depositata il 6 ottobre, ribadisce che la pericolosità delle installazioni pubblicitarie a ridosso delle autostrade è implicita nel fatto che possa causare pericolo e distrazione per i conducenti, perché può attirarne l’attenzione. E non importa che la società che aveva installato i cartelli avesse nel frattempo ceduto l'attività a un'altra impresa (peraltro, non è raro né nuovo il fenomeno della creazione di nuove società da parte dello stesso soggetto che rende più difficile la notifica delle sanzioni, ndr): il proprietario del mezzo pubblicitario al tempo della contestata infrazione ne risponde con l'inserzionista, senza deroghe.

La pericolosità delle insegne visibili dalle autostrade ha da tempo indotto anche i giudici amministrativi a interpretazioni rigorose, anche se per la sicurezza molto è cambiato rispetto a quando entrò in vigore il Codice, trent’anni fa: oggi la maggior fonte di distrazione è l’uso degli smartphone (e in parte pure gli impianti multimediali di bordo, anche se il loro utilizzo durante la guida è consentito e talvolta necessario persino per operazioni di base come regolare il climatizzatore). Così sono vietate pure le insegne sui tetti degli immobili o i cartelloni all'ingresso degli edifici delle imprese visibili dalle autostrade.

A definire il perimetro di liceità delle insegne pubblicitarie è l'articolo 23, comma 7 del Codice della strada, che vieta ogni forma di pubblicità lungo e in vista di itinerari internazionali, dele autostrade e strade extraurbane principali e relativi accessi. In sostanza, consente solo le insegne di esercizio, che però vanno autorizzate dall'ente proprietario della strada entro limiti e condizioni stabiliti con un Dm delle Infrastrutture.

Dunque, la partita si gioca quasi sempre sulla differenza tra insegna commerciale e di esercizio. La definizione di quest’ultima non è data dal Codice della strada, ma dal suo Regolamento di esecuzione, all'articolo 47, comma 1. Norma su cui la giurisprudenza ha precisato che va intesa in senso rigorosamente restrittivo, circoscrivendola a quei casi in cui serva a segnalare il luogo ove si esercita l'attività di impresa per consentire di individuare agevolmente l'entrata. Se invece prevale la funzione promozionale, l'insegna è vietata, perché ha carattere essenzialmente pubblicitario.

Non conta neppure il fatto che il tracciato autostradale attraversi o no un centro abitato: la competenza dei Comuni è esclusa in questi casi.

Per tutto questo, è addirittura un preciso dovere della società autostradale (articoli 53 e 56 del Regolamento) verificare in concreto e al più presto la regolarità delle insegne in vista delle arterie che gestisce, provvedendo obbligatoriamente, in caso di irregolarità ad esercitare i propri poteri sanzionatori e in autotutela. I costi di quest’attività sono coperti dai pagamenti che le imprese interessate devono effettuare per ottenere le autorizzazioni, secondo tariffe che il Regolamento (articolo 53, comma 7) lascia fissare proprio a ciascun gestore autostradale con l’unico vincolo di preparare il listino entro il 31 ottobre di ogni anno. Gli importi non sono molto inferiori alle sanzioni per pubblicità abusiva.

I risultati di questa vigilanza non sono noti. Si sa invece che da un anno il maggior gestore nazionale, Autostrade per l’Italia (Aspi), ha affidato la gestione delle istruttorie delle insegne di esercizio alla propria controllata Ad Moving, per quanto il Regolamento non menzioni questa possibilità. Aspi dichiara che si tratta di una prassi condivisa con il ministero delle Infrastrutture. Ma nel frattempo ci sono aziende che rispondono ai solleciti di Ad Moving proprio rilevando che non provengono dal gestore.

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