Penale

Gratuito patrocinio, il giudice deve ammettere automaticamente la parte civile vittima di stalking

Non rileva il dato reddituale se si procede per uno dei reati connessi alla "violenza di genere" e tassativamente elencati dalla legge

di Paola Rossi

L'istanza di ammissione al gratuito patrocinio avanzata dalla vittima di stalking, che si costituisce nel processo come parte civile, va sempre accolta: perché ne ha diritto, a prescindere dall'essere o meno non abbiente, e il giudice non ha facoltà di negarla.

La Cassazione con la sentenza n. 16272/2022 ha confermato e ribadito il contenuto della pronuncia costituzionale n. 1/2021.
Il giudice delle leggi aveva affermato la piena legittimità del comma 4-ter dell'articolo 76 del Dpr 115/2002: cioè la previsione legislativa che ammette la parte offesa, che ne faccia richiesta, ad ottenere il patrocinio gratuito di un avvocato, non in ragione della mancanza di risorse economiche proprie, ma della tipologia di delitti fondati sulla "violenza di genere". Si tratta di un elenco tassativo che se, da un alto, non consente un'interpretazione estensiva dei tipi di reato ammessi automaticamente al beneficio, dall'altro lato, non consente alcuna discrezionalità al giudice cui pervenga la richiesta, che quindi va sempre accolta.

I casi tassativi di accesso senza limiti reddituali
I reati che danno diritto al gratuito patrocinio a prescindere dalle condizioni reddituali ed economiche della parte civile sono tutti quei reati che destano allarme sociale per la loro riprovevolezza, essendo di norma agiti contro donne o minori. E, va sottolineato, in un'epoca di superamento del vecchio patriarcato risultano ancora più gravi per l'incomprensibile loro dilagare nella società moderna attuale. Quindi l'automatico riconoscimento del beneficio di non dover sostenere delle spese per partecipare al processo contro il proprio "aguzzino" ha fondamentalmente una motivazione di politica criminale che è quella di creare un incentivo a denunciare tali delitti:
- maltrattamenti in famiglia
- pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili
- violenza sessuale
- atti persecutori (stalking)
- riduzione in schiavitù
- prostituzione minorile
- pornografia minorile
- iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile
- tratta di persone
- acquisizione e alienazione di schiavi
- corruzione di minore
- adescamento di minorenni

La cassazione punto per punto
Nel caso concreto i giudici di primo e secondo grado avevano rigettato l'istanza della ricorrente, costituitasi parte civile in quanto vittima dello stalking sofferto durante una relazione sentimentale e successivamente alla fine della stessa.
Le veniva negato l'accesso al patrocinio giudiziale a spese dello Stato sotto diversi profili tutti smentiti dalla Suprema Corte di cassazione.
1) Prima di tutto veniva rilevata dai giudici di merito l'assenza del presupposto economico dell'istanza e quindi la mancata presentazione della certificazione Isee rilasciata dall'Inps. La Corte fa rilevare che, non solo l'Isee non andava presentato ex lege, ma che nell'autodichiarazione, cui è tenuto chi presenta l'istanza, hanno rilevanza non solo i redditi certificati dall'Inps, ma qualsiasi fonte di reddito, anche non lecita, di cui disponga il richiedente. Questione però del tutto irrilevante a fronte del tipo di delitto per cui vi è processo e che la legge ha previsto come presupposto dell'ammissione al beneficio.
2) Il giudice - secondo la sentenza di merito ora annullata con rinvio - in base alla lettera della norma del Dpr 115 "può" ammettere l'istante al gratuito patrocinio altrimenti sarebbe stato detto che "deve". La Cassazione smentisce tale lettura spiegando che il termine "può" si riferisce alla circostanza che l'istanza venga effettivamente proposta dalla parte civile, vittima del reato. Quindi afferma la Cassazione il giudice di fatto non ha alcuna discrezionalità di decidere se accoglierla o meno.
3) La sentenza cassata riprendeva poi i dubbi di legittimità costituzionale già risolti dalla recente sentenza della Consulta. In particolare sul punto che violerebbe il principio di uguaglianza e di capacità contributiva ammettere persone, anche di spiccata capienza economica, a un beneficio che si risolve a spese dello Stato. La Cassazione respinge il punto non solo rifacendosi a quanto già affermato dalla Consulta, ma anche ricordando ai giudici di merito che in caso di condanna lo Stato ha diritto a chiedere il rimborso delle spese al colpevole.
4) Anche l'assenza di alcune parti della documentazione da allegare all'istanza aveva determinato il suo rigetto. Ma la Cassazione spiega che l'istante non è tenuto consegnare la fotocopia dei documenti dei familiari, ma basta - come era avvenuto nel caso concreto - riprodurre nomi e codici fiscali dei componenti il nucleo familiare. Lo stesso dicasi per la mancata presentazione della certificazione proveniente dal difensore prescelto, di essere iscritto nell'albo degli avvocati abilitati al gratuito patrocinio che - come ribadisce la Cassazione accogliendo il ricorso - non è prescritta a pena di inammissibilità dell'istanza. Ma può essere semplicemente oggetto di richiesta di integrazione da parte del giudice.
5) La Cassazione, infine, precisa che non va confusa la vittima del reato con la persona danneggiata dal reato: per quanto questa si costituisca parte civile non gode dell'automatica ammissione al gratuito patrocinio. Per cui, fa rilevare la Cassazione, la scelta del Legislatore che impegna risorse pubbliche, non è lesiva di diritti costituzionali, ma costituisce una legittima scelta di politica criminale mirata a facilitare la celebrazione di processi contro odiosi delitti.

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