Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 24 e il 28 aprile 2023.

di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settimana le Corti d'Appello affrontano i temi del valore giuridico della minuta o puntuazione, del collegamento negoziale, della fiscalizzazione dell'abuso edilizio, della determinazione del compenso dell'avvocato e, infine, della tutela del conduttore.
Da parte loro i Tribunali trattano della costituzione e trascrizione di servitù, dei sinistri stradali con veicolo estero, del principio della conservazione del negozio giuridico, della cessazione del rapporto di agenzia e, infine, dell'assicurazione per danni nel condominio.


CONTRATTO
Contratto - Minuta o puntuazione – Regime probatorio
(Cc, articolo 1362)
Rammenta la Corte d'Appello di Bari che rientrano nella nozione di "minuta o puntuazione" del contratto, per la quale è indispensabile l'esistenza di un documento sottoscritto da entrambe le parti, tanto i documenti che contengono intese parziali in ordine al futuro regolamento di interessi (cd. puntuazione di clausole), quanto i documenti che predispongano con completezza un accordo negoziale in funzione preparatoria del medesimo (cd. puntuazione completa di clausole).
Con la precisazione che diverso è il regime probatorio dell'una (ipotesi di puntuazione di clausole incompleta) e dell'altra situazione (ipotesi di puntuazione completa delle clausole di un negozio), denotando la prima situazione (stante l'incompletezza della regolamentazione negoziale registrata nella scrittura) una presunzione iniziale di mancato accordo, salva la dimostrazione concreta che solo a quelle clausole aveva riferimento un accordo raggiunto tra le parti, e denotando, per contro, la seconda ipotesi una presunzione semplice di perfezionamento contrattuale, superabile dalla prova contraria della effettiva volontà delle parti non volta all'attuale raggiungimento di un accordo.
In tale secondo caso, quindi, è la parte che intenda dimostrare che non si tratta di un contratto concluso ma di una semplice minuta con puntuazione completa di clausole ad avere l'onere - in virtù del principio secondo cui anche un documento dimostrante con completezza un assetto negoziale può essere soltanto preparatorio di un futuro accordo - di superare la presunzione semplice di avvenuto perfezionamento del contratto fornendo, appunto, la prova concreta della insussistenza della volontà attuale di accordo negoziale.
È poi chiaro che l'analisi involge essenzialmente la ricostruzione della volontà effettiva delle parti quale manifestata nella scrittura, da entrambe sottoscritta, ed interpretata secondo i criteri dell'articolo 1362 ss. c.c..
In definitiva, di fronte ad un documento sottoscritto dalle parti e contenente la regolamentazione completa, nelle clausole essenziali ed accessorie, di un assetto di interessi negoziale, la dimostrazione dell'insussistenza della volontà attuale di accordo contrattuale presuppone che dalla intenzione manifestata dalle parti nella scrittura, interpretata secondo gli elementi intrinseci e ad essa estrinseci in base ai ricordati criteri di interpretazione degli atti, emerga la mancanza di una attuale volontà di accordo negoziale.
Corte di Appello di Bari, sezione I, sentenza 26 aprile 2023 n. 680

CONTRATTI
Collegamento negoziale - Correttezza - Buona fede
(Cost., articolo 2; Cc, articoli 1175, 1375)
Osserva in sentenza la Corte d'Appello di Cagliari come il collegamento negoziale non dia luogo a un nuovo ed autonomo contratto, essendo un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo contratto ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi.
Pertanto, in tali ipotesi, il collegamento, pur potendo determinare un vincolo di reciproca dipendenza tra i contratti, non esclude che ciascuno di essi si caratterizzi in funzione di una propria causa e conservi una distinta individualità giuridica.
Si richiama così l'insegnamento secondo cui nel contratto di mutuo in cui sia previsto lo scopo del reimpiego della somma mutuata per l'acquisto di un determinato bene, il collegamento negoziale tra il contratto di finanziamento e quello di vendita, in virtù del quale il mutuatario è obbligato all'utilizzazione della somma mutuata per la prevista acquisizione, comporta che della somma concessa in mutuo beneficia il venditore del bene, con la conseguenza che la risoluzione della compravendita ed il correlato venir meno dello scopo del contratto di mutuo, legittimano il mutuante a richiedere la restituzione dell'importo mutuato non al mutuatario ma direttamente ed esclusivamente al venditore.
Non solo. Sul rilievo per cui, il principio di correttezza e buona fede deve essere inteso in senso oggettivo in quanto enuncia un dovere di solidarietà (articolo 2 Cost.), che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell'imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, ritiene altresì la Corte adita che, nell'ipotesi di collegamento negoziale, l'interpretazione della volontà negoziale - ai sensi degli articoli 1175 e 1375 c.c. - deve essere condotta alla luce degli elementi propri del collegamento negoziale in cui le condotte di buona fede delle parti si inseriscono.
Corte di Appello di Cagliari, sentenza 26 aprile 2023 n. 161

ABUSO EDILIZIO
Illecito edilizio - Fiscalizzazione dell'abuso – Effetti
(Dpr 380/2001, articoli 33, 34, 36, 38)
Nella sentenza resa dalla Corte d'Appello di Firenze si evidenzia (tra l'altro) come l'applicazione della sanzione pecuniaria di cui all'articolo 34 Dpr n. 380/2001 (TUE) non abbia realmente effetto sanante dell'immobile abusivamente realizzato.
Permane dunque l'illecito dato che, la fiscalizzazione dell'abuso edilizio ex articolo 34, II, cit. rappresenta una sanzione alternativa rispetto a quella demolitivo-restitutoria, applicabile nel caso in cui la demolizione dell'abuso non possa avvenire senza incidere sulla stabilità dell'edificio nel suo complesso, così contemperando l'esigenza di ristabilire lo status quo ante con quella di assicurare la sicurezza pubblica.
Il presupposto indefettibile della fiscalizzazione è la natura abusiva delle opere cui essa è relativa; quindi, ove non fosse disposta la sanzione alternativa della fiscalizzazione, la conseguenza dell'abuso non potrebbe che essere l'ordine di demolizione delle opere eseguite senza titolo edilizio o in difformità da questo.
Un conto è l'accertamento di conformità di cui all'articolo 36 TUE (c.d. sanatoria edilizia) che è diretto a sanare le opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza il previo rilascio del titolo, ma conformi nella sostanza alla disciplina urbanistica ed edilizia applicabile per l'area su cui sorgono, vigente sia al momento della loro realizzazione che al momento della presentazione dell'istanza (c.d. doppia conformità).
Un conto è invece l'istituto della fiscalizzazione (o monetizzazione) dell'abuso, che può operare in via eccezionale in presenza di opere non sanabili per mancanza del requisito della doppia conformità.
In virtù di tale meccanismo il Comune irroga una sanzione pecuniaria, in sostituzione della misura demolitoria reale nei casi tassativamente contemplati: a) qualora, in presenza di ristrutturazioni in assenza o totale difformità dal permesso di costruire, non sia possibile il ripristino dello stato dei luoghi (articolo 33, II, TUE); b) quando, a fronte di un intervento parzialmente difforme dal titolo edilizio, l'abbattimento non possa avere luogo senza pregiudicare la parte di edificio legittimamente costruita (articolo 34, II, TUE); c) infine, nell'ipotesi di permesso successivamente annullato, se siano impraticabili la rimozione dei vizi procedurali o la restitutio in integrum (articolo 38 TUE).
Corte di Appello di Firenze, sezione III, sentenza 26 aprile 2023 n. 883

AVVOCATO
Avvocato - Determinazione del compenso – Forma scritta
(Cc, articoli 2233, 2724, 2725; Dl 223/2006, articolo 2)
Secondo la Corte d'Appello di Milano, ai sensi dell'articolo 2233 c.c., come modificato dall'articolo 2 Dl n. 223/2006, conv., con modif., dalla legge n. 248/2006, l'accordo di determinazione del compenso professionale tra avvocato e cliente deve rivestire la forma scritta ad substantiam a pena di nullità, senza che rilevi la disciplina introdotta dall'articolo 13, II, L. n. 247/2012, che, nell'innovare il solo profilo del momento della stipula del negozio individuato, di regola, nella data del conferimento dell'incarico, ha lasciato invariato quello sul requisito di forma.
Con la conseguenza che, da un lato, l'accordo, quando non trasfuso in un unico documento sottoscritto da entrambe le parti, si intende formato quando la proposta, redatta in forma solenne, sia seguita dall'accettazione nella medesima forma e, dall'altro, che la scrittura non può essere sostituita con mezzi probatori diversi e la prova per presunzioni semplici, al pari della testimonianza, sono ammissibili nei soli casi di perdita incolpevole del documento ex articoli 2724 e 2725 c.c..
Per quanto attiene, poi, alla determinazione del compenso spettante al professionista, la Corte richiama l'articolo 2233, I, c.c. (secondo cui il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal Giudice, sentito il parere dell'associazione professionale a cui il professionista appartiene) precisando come i parametri, non diversamente dalle tariffe, operano come fonte sussidiaria e suppletiva, alla quale è dato ricorrere, in forza delle disposizioni speciali, nonché del richiamato articolo 2233 c.c., nella liquidazione giudiziale dei compensi al professionista nel caso in cui non risulti stipulato con il cliente un accordo sul compenso medesimo.
Resta inteso che, nel contratto di prestazione d'opera professionale, compreso quello intercorso tra cliente e avvocato in materia stragiudiziale, il cliente può sempre recedere dal contratto, pagando al prestatore d'opera le spese sostenute e il compenso per l'opera svolta (articolo 2237, I, c.c.), e che il recesso del cliente, giustificato o meno, non incide, pertanto, sulla determinazione della misura del compenso, se non nel senso che il compenso è dovuto non per tutta l'opera commessa ma, sulla base dei criteri previsti dall'articolo 2233 c.c., solo per l'opera svolta.
Corte di Appello di Milano, sezione II, sentenza 26 aprile 2023 n. 1334

LOCAZIONE
Contratto di locazione - Destinazione degli immobili a particolari attività – Protrazione del contratto
(Cc, articolo 1597; legge 392/1978 , n. 392, articoli 28, 29, 42)
La sezione lavoro della Corte d'Appello di Potenza fa applicazione, in sentenza, del principio di diritto secondo cui anche ai contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualità di conduttori, di cui all'articolo 42 legge n. 392/1978, è applicabile la disciplina dettata dagli articoli 28 e 29 (della medesima legge) in tema di rinnovazione che accorda al conduttore una tutela privilegiata in termini di durata del rapporto.
Precisamente, a differenza dell'ipotesi regolata dall'articolo 1597 c.c., la protrazione del rapporto alla sua prima scadenza in base alle richiamate norme della legge n. 392/1978, non costituisce l'effetto di una tacita manifestazione di volontà - successiva alla stipulazione del contratto e che la legge presume in virtù di un comportamento concludente e, quindi, incompatibile con il principio secondo il quale la volontà della Pa deve essere necessariamente manifestata in forma scritta - ma deriva direttamente dalla legge, che rende irrilevante la disdetta del locatore quando la stessa non sia basata su una delle giuste cause specificamente indicate dalla legge quali motivi legittimi di diniego della rinnovazione.
Tali principio, pur essendo testualmente riferito alla prima scadenza contrattuale (e alla corrispondente prima rinnovazione) deve ritenersi applicabile, allo stesso modo, anche alle scadenze successive alla prima, tenuto conto che lo stesso testo dell'articolo 28 cit. (una volta ritenuto applicabile anche ai contratti di locazione conclusi dalle pubbliche amministrazioni in veste di conduttrici) non giustifica alcuna ragionevole distinzione della prima rinnovazione automatica dalle successive, se non ai soli fini del "diniego" alla prima scadenza, esercitabile dal locatore esclusivamente per cause tassative.
Corte di Appello di Potenza, sezione lavoro, sentenza 26 aprile 2023 n. 123

SERVITÙ
Servitù – Costituzione - Trascrizione

Osserva il Tribunale di Cosenza che, nel nostro ordinamento, la costituzione di una servitù può avvenire solo in uno dei modi previsti dalla legge, vale a dire contratto, testamento, usucapione o destinazione del padre di famiglia.
Trattandosi poi di diritto autodeterminato, individuato, cioè, sulla base della sola indicazione del relativo contenuto sì come rappresentato dal bene che ne forma l'oggetto con conseguente necessità di identificare la "causa petendi" delle relative azioni giudiziarie con i diritti stessi e non con il relativo titolo che ne costituisce la fonte, il Giudice può porre a fondamento della decisione anche un fatto costitutivo del tutto diverso da quello prospettato dall'attore.
Non è possibile, invece, di fronte alla domanda di accertamento di una servitù volontaria accertare una servitù coattiva, anche in ragione del fatto che quest'ultima postula una domanda contestualmente proposta nei confronti dei proprietari di tutti i fondi che si frappongono all'accesso alla pubblica via.
Osserva altresì il Giudice che la servitù volontariamente costituita, per essere opponibile all'avente causa dell'originario proprietario del fondo servente, deve essere stata trascritta o, in alternativa, espressamente menzionata nell'atto di trasferimento al terzo del fondo medesimo, rimanendo, altrimenti, vincolante solo tra le parti.
In altre parole, in caso di mancata trascrizione del relativo atto costitutivo, la servitù è inopponibile agli aventi causa, a titolo particolare, del proprietario del fondo servente, che abbiano acquistato in base ad un titolo regolarmente trascritto e sempre che la servitù non sia stata portata a loro conoscenza, ed implicitamente da essi accettata, nei rispettivi atti di trasferimento della proprietà, senza peraltro che, in quest'ultimo caso, ai fini di detta opponibilità sia sufficiente che, in luogo della descrizione della servitù esistente, l'atto di trasferimento contenga frasi generiche o di mero stile, ricorrenti negli atti notarili,
In forza, quindi, dell'ambulatorietà delle servitù e del loro carattere prediale, la mancata menzione nell'atto di trasferimento dell'esistenza della servitù non impedisce che essa si trasferisca all'acquirente, purché sia stato trascritto l'originario titolo.
Tribunale di Cosenza, sezione II, sentenza 24 aprile 2023 n. 722

CIRCOLAZIONE STRADALE
Sinistri stradali - Veicoli esteri – Notificazione
(Cc, articolo 2054; Cpc, articolo 143; Dlgs 209/2005, articolo 126)
Il Tribunale di Crotone è adito in tema di sinistri stradali verificatisi in Italia e che abbiano coinvolto un veicolo estero: in tale ipotesi si registra l'intervento dell'Ufficio Centrale Italiano (UCI) che è il bureau nazionale italiano, il quale ha (tra l'altro) il compito di liquidare il risarcimento dovuto al soggetto danneggiato in Italia da un veicolo con targa straniera.
Rispetto alla domanda risarcitoria spiegata dai danneggiati, l'Ufficio si presenta quale garante ex lege, che, in tal modo, ha azione di rivalsa nei confronti della compagnia straniera. Quindi, l'UCI, non è solo domiciliatario ex lege, ma anche legittimato passivo diretto (articolo 126, IV, lettera e, Dlgs n. 209/2005) e, sul piano sostanziale, garante ex lege, tenuto in forza di un'obbligazione propria, che si aggiunge a quella dell'assicuratore straniero, nei confronti del quale può agire in rivalsa.
Nei sinistri stradali provocati da soggetti con veicoli immatricolati all'estero – precisa il Tribunale di Crotone - qualora l'attore intenda proporre, oltre all'azione diretta nei confronti dell'UCI, anche quella ex articolo 2054 c.c. nei confronti del convenuto straniero, la notifica a quest'ultimo deve essere eseguita ai sensi dell'articolo 142 c.p.c. e non nel domicilio eletto ai sensi dell'articolo 126, II, lettera b), Dlgs n. 209/2005, presso l'UCI.
In materia di danni ex articolo 2054 c.c., invero, una volta intervenuta la notificazione ai responsabili stranieri secondo le norme del codice di rito e delle convenzioni internazionali, ai fini della domanda di risarcimento del danno, essa esplica tutti i suoi effetti anche ai fini della citazione dei medesimi soggetti quali litisconsorti necessari, a norma dell'articolo 143, III, Cpc e ciò perché la domiciliazione legale prevista dall'articolo 126, II, lett. b) cit.. non costituisce eccezione alla piena efficacia delle notificazioni eseguite secondo le norme generali, ma risponde alla ratio di costituire una semplificazione all'esercizio dell'azione diretta cosicché, in tali casi, imporre una doppia notifica ai convenuti stranieri, una secondo le norme generali, per la domanda di risarcimento dei danni ed una presso l'UCI quale domiciliatario legale, per la citazione dei litisconsorti necessari nell'azione diretta, finisce col tradire in modo palese la ratio della domiciliazione legale, configurando un'inutile ulteriore formalità.
Tribunale di Crotone, sentenza 24 aprile 2023 n. 305

CONTRATTO
Negozio giuridico - Principio della conservazione – Operatività
(Cc, articoli 1325, 1398, 1399)
Secondo il Tribunale di Firenze nell'ipotesi del contratto stipulato con usurpazione del nome altrui deve essere valorizzato il principio della conservazione del negozio giuridico estendendosi a tale fattispecie, in via analogica, l'applicabilità della disciplina in tema di falsa rappresentanza.
Il contratto stipulato dal falsus procurator non è nullo, né annullabile, ma costituisce una fattispecie soggettivamente complessa, la quale necessita della ratifica del dominus per produrre effetti nei confronti di quest'ultimo.
Va pertanto considerato quale negozio non invalido né imperfetto, ma soltanto inefficace, quindi sottoposto alla condizione di efficacia della ratifica da parte del dominus.
Perchè la ratifica possa fungere da condizione esterna di efficacia del contratto è tuttavia necessario che questo sia già completo di tutti gli elementi richiesti per la sua validità dall'articolo 1325 c.c., e che l'unico ostacolo alla sua efficacia sia costituito dalla mancanza di poteri rappresentativi in capo a colui che lo ha sottoscritto in qualità di rappresentante, senza averne i poteri o eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli, con conseguente difetto di legittimazione rappresentativa dello stipulante.
Diversa invece è la fattispecie in cui il contratto manchi di uno dei suoi elementi essenziali, tra i quali l'accordo delle parti. Il contratto nullo non è ratificabile. Affinché (articolo 1399 c.c.) possa darsi ratifica del contratto concluso dal rappresentante senza poteri, occorre che detto contratto sia valido; infatti la mancanza di procura rileva soltanto ai fini dell'efficacia del contratto, che rimane sospesa in attesa della manifestazione di volontà del dominus.
La ratifica da parte dell'interessato degli atti posti in essere dal falsus procurator è consentita, con effetto retroattivo, nelle sole ipotesi ex articolo 1398 c.c., cioè quando l'atto non possa considerarsi riconducibile alla volontà del rappresentato, per essere stato compiuto dal rappresentante in difetto di una valida procura oppure eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli con la stessa, e non anche quando l'atto non avrebbe potuto essere compiuto a mezzo di quel soggetto, in quanto privo del titolo autorizzativo richiesto dalla legge per l'esercizio dell'attività in cui rientra il compimento degli atti posti in essere,
Tribunale di Firenze, sezione III, sentenza 26 aprile 2023 n. 1257

LAVORO
Rapporto di agenzia – Cessazione – Clausola risolutiva espressa
(Cc, articolo 1750)
Secondo il Tribunale di Milano, in tema di cessazione del rapporto di agenzia, il recesso senza preavviso dell'impresa preponente è consentito nel caso in cui intervenga una causa che impedisca la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.
Invero, la previsione ex articolo 1750 c.c., della facoltà delle parti di recedere con preavviso dal rapporto di agenzia a tempo indeterminato, deve intendersi integrata dalla facoltà di recedere senza preavviso nel caso di ricorrenza di una giusta causa, essendo il rapporto di agenzia ascrivibile a quel genere di rapporti, come quelli di lavoro subordinato o di mandato per i quali, in considerazione del loro particolare oggetto (diretta collaborazione giuridica o materiale all'attività di un altro soggetto) sono previsti meccanismi risolutivi affidati, salvo gli eventuali e successivi controlli giudiziali, alle dirette determinazioni delle parti interessate anche in caso di inadempimento.
Si è quindi ritenuto che l'articolo 1750 c.c. debba essere integrato con riferimento ad una nozione di giusta causa che assume, non diversamente che nel rapporto di lavoro subordinato, un'efficacia non derogabile dalle parti del contratto individuale perché la contraria conclusione attribuirebbe alle parti stesse la facoltà di incidere in senso limitativo sul quadro di tutele normative minime delineato dal legislatore.
Con la conseguenza che il fatto-inadempimento che le parti abbiano dedotto nell'ambito della clausola risolutiva espressa e al verificarsi del quale il contratto di agenzia si intende risolto di diritto, dovrà essere sempre sottoposto a valutazione del Giudice, perché quel fatto sarà idoneo ad escludere la risoluzione ad nutum del contratto soltanto qualora integri anche una giusta causa di recesso, ossia un evento che, seppure contestualizzato nell'ambito del rapporto agenziale, non consenta la prosecuzione nemmeno provvisoria dello stesso.
Una clausola risolutiva espressa può ritenersi legittima (similmente, alle clausole dei contratti collettivi che prevedano ipotesi di licenziamento disciplinare) solo nei limiti in cui (oltre a non porsi in contrasto con eventuali previsioni in materia di accordi collettivi applicabili al rapporto) non venga a giustificare un recesso senza preavviso in situazioni concrete a norma di legge non legittimanti un recesso in tronco.
Tribunale di Milano, sezione XI, sentenza 26 aprile 2023 n. 3343

CONDOMINIO
Condominio negli edifici – Assicurazione per i danni - Manleva

Secondo il Tribunale di Roma la circostanza che il condominio sia un ente di gestione, sprovvisto di personalità giuridica, non comporta che, nel caso di polizza stipulata dal condominio in persona dell'amministratore, ciascun condomino possa sostituirsi all'amministratore stesso ed agire, nel proprio interesse, nei riguardi dell'assicuratore.
La rappresentanza spetta, infatti, comunque all'amministratore ed il singolo condomino non può considerarsi singolarmente legittimato a rappresentare l'ente di gestione, contraente della polizza nell'interesse di tutti i partecipanti al condominio.
Con la precisazione che diverso è il caso in cui danneggiante e danneggiato siano, entrambi, singoli condomini: nel caso in cui il risarcimento derivi ad un condomino per fatto imputabile ad altro condomino e il condomino danneggiante chieda di essere manlevato e tenuto indenne dalle pretese risarcitorie del condomino danneggiato, il Condominio non è chiamato né a partecipare né ad agire in via diretta nei confronti della Compagnia di assicurazione. Pertanto, la circostanza che la polizza assicurativa sia stata stipulata dal Condominio è assolutamente irrilevante ai fini dell'accoglimento della domanda di manleva.
E così, l'orientamento contrario a riconoscere la legittimazione del singolo condomino ad agire in forza della polizza stipulata dall'amministratore condominiale, risulta formatosi con riguardo a polizze interpretate nel caso concreto come dirette ad assicurare solo le parti comuni dell'edificio e non esclude in realtà che, nel diverso caso in cui le pattuizioni ricomprendano le proprietà esclusive quale oggetto e quale fonte (secondo la varie garanzie assicurative) del danno, sia consentita tale iniziativa: d'altra parte non si vede chi potrebbe altrimenti far valere le pattuizioni che estendono i benefici assicurativi in favore dei singoli condomini, posto che, come si intuisce, il condominio non avrebbe interesse ad agire per veder indennizzato il danno che abbia interessato la proprietà esclusiva ed alla cui causazione siano estranee le parti comuni, né potrebbe il condominio essere convenuto - strumentalmente e infondatamente - in giudizio al solo scopo di essere indotto a chiamare in causa l'assicurazione.
Tribunale di Roma, sezione V, sentenza 26 aprile 2023 n. 6580

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