Penale

Quantificazione dei costi e dichiarazione infedele

Nota a Cassazione, Sez. III Penale, Sentenza 21 giugno 2021 n. 24142

di Mattia Miglio, Paolo Comuzzi

La vicenda qui in esame riguarda un sequestro preventivo disposto a carico della società contribuente e del legale rappresentante della stessa nell'ambito di un procedimento penale avente ad oggetto la fattispecie di dichiarazione infedele.

Nello specifico, nel ricorso, la difesa rilevava che "la Guardia di Finanza aveva rideterminato il reddito con la ripresa di elementi passivi non deducibili per difetto dei requisiti dell'inerenza e della competenza, non già per la loro inesistenza oggettiva o soggettiva".

Segnatamente, si rilevava, da un lato, l'" esclusione dal computo ai fini della soglia di punibilità degli elementi passivi oggettivamente esistenti, reali, ma dedotti in violazione dei criteri di competenza e di inerenza in base alla normativa fiscale di settore. In base all'art. 4, comma 1 bis, d. Igs. 74 del 2000 per integrare il reato di dichiarazione infedele non vanno computati gli elementi passivi oggettivamente esistenti, seppur ritenuti ai fini fiscali indeducibili (per assenza del criterio di inerenza o di competenza). La Guardia di Finanza, sin dal processo verbale di constatazione, nel determinare il reddito della società è pervenuta a tale determinazione con la ripresa di elementi passivi non deducibili per difetto dei requisiti dell'inerenza e della competenza …".

Sotto altro versante, poi, "l'ordinanza del G.I.P. prevedeva il sequestro preventivo finalizzato alla confisca (diretta) nei confronti della società ed in subordine, nell'ipotesi di rinvenimento di importo inferiore al profitto indicato, il sequestro preventivo per equivalente nei confronti dell'indagato.
Il provvedimento risulta illegittimo, in contrasto con l'art. 12 bis d. Igs. 74 del 2000. Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente risulterebbe legittimo solo nell'ipotesi di impossibilità del sequestro preventivo diretto del profitto del reato.
Nel caso in esame il profitto del reato è rappresentato dal denaro, bene fungibile; la confisca del denaro di cui la società abbia la disponibilità deve sempre qualificarsi come confisca diretta (e così il sequestro che anticipa la confisca).
Il sequestro preventivo per equivalente nei confronti dell'indagato necessita la prova dell'impossibilità concreta del sequestro preventivo diretto del profitto
".

Tutto ciò posto, con riferimento alla applicazione dell'art. 4 D.Lgs. 74/2000 (dichiarazione infedele) si legge che " ai sensi dell'art. 4, comma 1 bis, d. Igs. 74 del 2000 "non si tiene conto della non corretta classificazione della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio, ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali …".

In questo senso, "l'ordinanza impugnata non si confronta con tali elementi, fornendo specifica risposta quanto al superamento della soglia di rilevanza penale dell'imposta evasa, e quindi in relazione alla sussistenza del fumus delicti per cui la misura cautelare reale è stata disposta. Infatti il Tribunale della cautela rileva che alcune voci (ad esempio i compensi agli amministratori) presenti nella contabilità della società sarebbero costi effettivi, ma effettua una generica valutazione di inattendibilità delle scritture contabili.
In sostanza l'ordinanza impugnata elude una puntuale motivazione sul tema del superamento delle soglie delle imposte evase e finisce, pertanto, per offrire una motivazione meramente apparente e, quindi, censurabile nella presente sede
".

Con riferimento alla determinazione della imposta evasa si precisa che "in tema di reati tributari il giudice, per determinare l'ammontare dell'imposta evasa, deve effettuare una verifica che, pur non potendo prescindere dalle specifiche regole stabilite dalla legislazione fiscale per quantificare l'imponibile, risente delle limitazioni derivanti dalla diversa finalità dell'accertamento penale, con la conseguenza che occorre tenere conto dei costi non contabilizzati solo in presenza, quanto meno, di allegazioni fattuali, da cui desumere la certezza o, comunque, il ragionevole dubbio della loro esistenza, non assumendo rilievo, nella valutazione sulla divergenza dei valori indicati in contabilità, la mera violazione dei criteri di competenza e di inerenza di ricavi e di costi oggettivamente esistenti (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 8700 del 16/01/2019, Hermann, Rv. 275856 - 01 ) …".

In sintesi, la decisione in esame fornisce interessanti indicazioni in merito alla applicazione della scriminante prevista nell'articolo 4 e invita a formulare attente motivazioni ove si voglia operare il disconoscimento di costi che appaiono effettivi anche se non inerenti.

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