Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 21 e il 25 marzo 2022

di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settimana le Corti d'Appello si pronunciano in tema di consorzi di urbanizzazione (rapporti endoconsortili), contratto di mediazione (provvigione in favore del mediatore), di successione mortis causa, di azione revocatoria ordinaria.
Quanto ai Tribunali, trattano la materia della responsabilità dell'amministratore del condominio, del contratto preliminare, dei titoli di credito, del contratto di utenza.


CONSORZI DI URBANIZZAZIONE
Consorzi di urbanizzazione – Natura giuridica – Rapporti endoconsortili
La pronuncia resa dalla Corte d'Appello di Cagliari pone in evidenza come i consorzi di urbanizzazione consistano in aggregazioni di persone preordinate alla sistemazione o al miglior godimento di uno specifico comprensorio mediante la realizzazione e la fornitura di opere e servizi.
In particolare, i consorzi di urbanizzazione, costituiti dai proprietari dei terreni situati in un'area destinata a insediamenti abitativi o turistici per realizzare, mantenere e gestire i servizi e le attrezzature necessarie all'utilizzazione dell'intera area, possono avere (e di regola hanno) natura di associazioni atipiche, con aspetti sia associativi che di realità, derivanti questi ultimi dall'assunzione da parte dei consorziati di obblighi propter rem oppure dalle costituzioni di reciproche servitù.
L'interesse, comune ai proprietari di terreni situati in aree destinate a insediamenti industriali, abitativi o turistici, a disciplinare l'utilizzazione del comprensorio in vista della sua urbanizzazione, spinge, infatti, i detti proprietari a convenire particolari rapporti associativi, in base ai quali gli stessi si impegnano a realizzare sui propri terreni i servizi e le attrezzature prescritte negli strumenti urbanistici, nonchè a manutenerli e a gestirli.
I consortisti, di conseguenza, assumono obblighi propter rem e costituiscono a carico dei terreni siti nel comprensorio (che restano comunque di loro proprietà) una serie di servitù reciproche (soggette a trascrizione perchè siano opponibili ai terzi), allo scopo di assicurare nel tempo il rispetto dei diritti e obblighi che ne derivano.
Si tratta dunque di figure atipiche, nelle quali i connotati delle associazioni non riconosciute si coniugano con un forte profilo di realità, sicché il Giudice, nell'individuare la disciplina applicabile, deve avere riguardo, in primo luogo, alla volontà manifestata nello statuto e, solo ove questo non disponga, alla normativa delle associazioni o della comunione.
La circostanza che il consorzio di urbanizzazione sia preordinato alla stipulazione di una convezione di lottizzazione con un ente pubblico non comporta che siano assoggettati a disciplina pubblicistica i rapporti interni tra consorziati e tra questi e il Consorzio.
Sotto questi aspetti, il fenomeno attiene, quindi, a interessi squisitamente privatistici.
Da questi due profili cardine (atipicità della figura; carattere privatistico dei rapporti endoconsortili) discende il principio per cui ai fini della ricostruzione della disciplina dei rapporti interni tra i consorziati occorre fare riferimento, prima di ogni altra cosa, agli accordi intervenuti tra le parti, ovvero alla volontà manifestata dalle parti nello statuto (nel rispetto, naturalmente, dei principi generali fissati dall'ordinamento in relazione ai punti volta a volta interessati).
Con l'ulteriore precisazione secondo cui, solo ove questa volontà statutaria non disponga (ovvero, meglio, in relazione ai punti disciplinari non presi in considerazione dalla autonomia statutaria) viene a intervenire la normativa delle associazioni non riconosciute o della comunione.
La normativa di legge (specifica alle figure appena richiamate) opera in via suppletiva e, perciò, con funzione propriamente sussidiaria.
Corte di Appello di Cagliari, sentenza 21 marzo 2022, n. 137

MEDIAZIONE
Mediazione – Incarico - Provvigione (Codice civile, articoli 1755, 1756, 2932)
La Corte d'Appello di Bari evidenzia come, ai fini della configurabilità del rapporto di mediazione, non sia necessaria l'esistenza di un preventivo conferimento di incarico (formale) per la ricerca di un acquirente o di un venditore, risultando sufficiente che la parte abbia accettato l'attività del mediatore avvantaggiandosene.
D'altronde, il rapporto di mediazione, inteso come interposizione neutrale tra due o più persone per agevolare la conclusione di un determinato affare, non postula necessariamente un preventivo accordo delle parti sulla persona del mediatore, ma è configurabile pure in relazione ad una materiale attività intermediatrice che i contraenti accettano anche soltanto tacitamente, utilizzandone i risultati ai fini della stipula del contratto.
In altre parole, ove il rapporto di mediazione sia sorto per incarico di una delle parti, ma abbia avuto poi l'acquiescenza dell'altra, quest'ultima resta del pari vincolata verso il mediatore.
Il diritto del mediatore alla provvigione sorge così tutte le volte in cui la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice, pur non richiedendosi che, tra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare, sussista un nesso eziologico diretto ed esclusivo, ed essendo, viceversa, sufficiente che, anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo, la "messa in relazione" delle stesse costituisca l'antecedente indispensabile per pervenire, attraverso fasi e vicende successive, alla conclusione del contratto.
Sempre in tema di mediazione, qualora non sia possibile stabilire con certezza se l'incarico sia stato conferito a titolo gratuito o oneroso, residua la presunzione di onerosità della mediazione stabilita dagli articoli 1755 e 1756 c.c., secondo cui il mediatore ha diritto, oltre che ad un rimborso delle spese, anche alla provvigione stabilita dalle parti o determinata, in assenza di patto, facendo riferimento alle tariffe professionali, agli usi o all'equità.
Infine, si consideri che, derivando il diritto del mediatore alla provvigione dall'intervenuta conclusione dell'affare, ai fini della relativa insorgenza non è sufficiente un accordo preparatorio, destinato a regolamentare il successivo svolgimento del procedimento formativo del programmato contratto definitivo.
In tema di diritto alla provvigione da parte del mediatore, invero, l'affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all'articolo 2932 c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato. Va invece escluso il diritto alla provvigione qualora tra le parti non sia stato concluso un "affare" in senso economico-giuridico, ma si sia soltanto costituito un vincolo idoneo a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell'affare, come nel caso in cui sia stato stipulato un cosiddetto "preliminare di preliminare", costituente un contratto ad effetti esclusivamente obbligatori non assistito dall'esecuzione in forma specifica ex articolo 2932 c.c., in caso di inadempimento.
Corte di Appello di Bari, sezione II, sentenza 22 marzo 2022, n. 461

SUCCESSIONE MORTIS CAUSA
Successione mortis causa - Crediti del de cuius – Imputazione (Codice civile, articoli 724, 757, 760, 1295, 1314)
La Corte d'Appello di Milano riportandosi all'orientamento della giurisprudenza di legittimità evidenzia come i crediti del de cuius, a differenza dei debiti, non si ripartiscono tra i coeredi in modo automatico, in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria in conformità all'articolo 727 c.c. che, nel prevedere la formazione delle porzioni con inclusione dei crediti, presuppone che gli stessi facciano parte della comunione, nonché al successivo articolo 757 c.c., in forza del quale i crediti ricadono nella comunione, poiché il coerede vi succede al momento dell'apertura della successione, trovando tale soluzione conferma nell'articolo 760 c.c. che, escludendo la garanzia per insolvenza del debitore di un credito assegnato a un coerede, presuppone necessariamente l'inclusione dei crediti nella comunione.
Né in senso contrario può argomentarsi dagli articoli 1295 e 1314 c.c. concernendo, il primo, la diversa ipotesi del credito solidale tra il de cuius ed altri soggetti, e il secondo la divisibilità del credito in generale.
Con l'ulteriore precisazione secondo cui, qualora la donazione di denaro fatta in vita dal de cuius sia dichiarata nulla, la relativa somma diviene oggetto di un credito del de cuius verso l'erede donatario, alla cui quota la somma stessa deve essere imputata, a norma dell'articolo 724, II, c.c..
Siffatta procedura, inerente alla posizione del coerede, presuppone che per giungere ad una pronuncia di condanna in favore dell'uno o dell'altro coerede, il coerede che la formuli abbia svolto oltre che una domanda di accertamento dei crediti in favore della comunione ereditaria, anche domanda di divisione del relativo compendio mobiliare solo all'esito del quale potranno essere emesse decisioni di condanna in favore del titolare del credito medesimo.
Invero, la disposizione di cui all'articolo 724 c.c. si colloca nell'ambito della domanda di divisione della comunione ereditaria con scioglimento di essa, assegnazione e formazione delle quote con imputazione, alla propria quota del credito medesimo da parte del singolo erede.
Corte di Appello di Milano, sezione II,sentenza 23 marzo 2022, n. 969

AZIONE REVOCATORIA ORDINARIA
Azione revocatoria ordinaria – Esercizio – Condizioni ( Codice civile, articolo 2901)
La sentenza in esame, resa dall'adita Corte d'Appello di Torino, interviene in tema di azione revocatoria ordinaria cui è sottesa una finalità cautelare e conservativa del diritto di credito e che si traduce nel potere, attribuito al creditore, di far dichiarare inefficaci nei suoi confronti determinati atti di disposizione del patrimonio, posti in essere dal debitore, tali da recare pregiudizio alle sue ragioni.
L'azione revocatoria, pertanto, ha la funzione di ricostituire la garanzia generica, assicurata al creditore dal patrimonio del debitore, che si riveli compromessa dagli atti di disposizione posti in essere dal debitore. I presupposti di tale azione possono essere così sintetizzati: esistenza di un diritto di credito verso il debitore, parte alienante nel contratto oggetto di revocatoria; sussistenza di un pregiudizio arrecato dall'atto alle ragioni del creditore (cosiddetto eventus damni); conoscenza, da parte del debitore, che il proprio atto avrebbe arrecato danno al creditore (cosiddetto consilium fraudis); consapevolezza del pregiudizio o partecipazione alla dolosa preordinazione da parte del terzo acquirente nel caso di atti a titolo oneroso (cosiddetta scientia damni o scientia fraudis).
In particolare, afferma l'adita Corte piemontese il principio secondo cui l'azione revocatoria ordinaria presuppone per la sua esperibilità la sola esistenza di un debito e non anche la sua concreta esigibilità. Ne deriva, secondo la Corte, che, una volta prestata fideiussione a garanzia delle future obbligazioni del debitore principale nei confronti di un istituto di credito, gli atti dispositivi del fideiussore, successivi alla prestazione della fideiussione medesima, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell'articolo 2901, n. 1, prima parte, c.c., in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo) di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (scientia damni), ed al solo fattore oggettivo dell'avvenuto accreditamento di denaro da parte della banca, senza che rilevi la successiva esigibilità del debito restitutorio o il recesso dal contratto.
Quando poi l'atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, unica condizione per l'esercizio dell'azione revocatoria ordinaria è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonché, per gli atti a titolo oneroso, l'esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, deve essere accomunata a quella del debitore. La relativa prova può essere fornita tramite presunzioni semplici (tra cui tra cui il rapporto di parentela e/o convivenza tra le parti), il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato.
Corte di Appello di Torino, sezione I, sentenza 24 marzo 2022, n. 330

AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO
Cessazione dell'incarico – documentazione – restituzione – obbligo (Codice civil, articoli 1129, 1130; legge 11 dicembre 2012, n. 220)
Il Tribunale di Bologna sottolinea come la mancata restituzione della documentazione e dei giustificativi da parte dell'amministratore di condominio all'atto della cessazione del suo incarico è, all'evidenza, foriero di un grave pregiudizio per l'amministrazione e la gestione subentrante, peraltro correlato ad un palese esercizio arbitrario delle proprie ragioni o peggio ad appropriazione indebita, da parte dell'ex amministratore, che peraltro non può vantare alcun diritto di ritenzione trattandosi di documentazione indispensabile alla corretta gestione ed al corretto funzionamento dell'ente collettivo, che altrimenti andrebbe incontro ad una pericolosa stasi, se non paralisi, della propria attività.
Del resto l'articolo 1129, comma 8, c.c. prevede l'insorgere di una precisa obbligazione in capo all'amministratore uscente, di immediata trasmissione della cassa e di tutta la documentazione condominiale nel momento in cui cessa dalla carica.
L'obbligo di restituzione della documentazione al nuovo amministratore, sebbene non previsto espressamente dalla legge ante riforma del condominio (legge n. 220/2012), deve essere desunto dai principi generali nell'interesse generale dei condomini ed al fine di consentire al nuovo amministratore di ricostruire la situazione generale del condominio, prendere cognizione della situazione inerente alla gestione precedente ed assolvere agli obblighi previsti a suo carico nei confronti dei condomini e dei terzi.
Trovando applicazione nel contratto che intercorre tra l'amministratore e i condomini le norme sugli obblighi e sulle attribuzioni di cui agli articoli 1129 e 1130 c.c., e, per quanto non disciplinato, le disposizioni in tema di mandato (articolo 1129 c.c., penultimo comma), alla scadenza l'amministratore è comunque tenuto a consegnare la documentazione in suo possesso ed a rendere il conto anche su richiesta del singolo condomino, stante la già avvenuta estinzione del mandato collettivo e potendosi presumere che tale richiesta interessi egualmente tutti i vari condomini, in quanto affare ad essi comune.
Tribunale di Bologna, sezione III, sentenza 23 marzo 2022, n. 755

CONTRATTO PRELIMINARE
Contratto preliminare - Immobili – Vincoli urbanistici – Rilevanza
(Codice civile, articolo 1489)
Intervenuto in materia di contratto preliminare di compravendita immobiliare l'adito Tribunale di Latina richiama, ed avalla, l'orientamento secondo cui, in tema di prova dell'inadempimento di un'obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero per l'adempimento - salvo che si tratti di obbligazioni negative - deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento.
Il Giudice osserva altresì che i vincoli paesaggistici, inseriti nelle previsioni del piano regolatore generale, una volta approvati e pubblicati nelle forme previste hanno valore di prescrizione di ordine generale a contenuto normativo con efficacia "erga omnes", come tali assistiti da una presunzione legale di conoscenza assoluta da parte dei destinatari.
Ne deriva che i vincoli in tal modo imposti, a differenza di quelli inseriti con specifici provvedimenti amministrativi a carattere particolare, non possono qualificarsi come oneri non apparenti gravanti sull'immobile, secondo l'articolo 1489 c.c., e non sono, conseguentemente, invocabili dal compratore come fonte di responsabilità del venditore, che non li abbia eventualmente dichiarati nel contratto.
In particolare, avuto riguardo alla vicenda sottoposta al suo esame, il Tribunale precisa che i vincoli risultanti dal Piano Regolatore, una volta approvati e pubblicati, hanno valore di prescrizione e di ordine legale a contenuto normativo, e, pertanto, sono suscettibili di una presunzione legale di conoscenza da parte di tutti e non sono, conseguentemente, invocabili da parte del compratore come fonte di responsabilità del venditore, che non li abbia dichiarati nel contratto preliminare di compravendita immobiliare.
Tribunale di Latina, sezione I, sentenza 23 marzo 2022, n. 585

TITOLO DI CREDITO
Titolo di credito - Assegno bancario – Funzione
(Codice civile, articolo 1988)
Secondo quanto afferma il Tribunale di Torino nella sentenza in esame l'esecuzione fondata su un titolo di credito, quale l'assegno, è immune dalle contestazioni relative al rapporto sottostante in quanto il requisito dell'astrattezza prova ex se l'esistenza del diritto di esigere la somma di denaro indicata (cosiddetta azione cartolare).
Ed in ogni caso l'assegno è un titolo di credito, dotato del requisito dell'astrattezza che, in ipotesi di mancato incasso, conserva la propria natura di riconoscimento del debito o di promessa di pagamento; ciò comporta l'inversione dell'onere della prova ai sensi dell'articolo 1988 c.c..
Invero, se di norma è il creditore a dover dimostrare il proprio diritto, quando c'è un'ammissione di debito il fatto costitutivo del credito è provato da tale riconoscimento e spetta al debitore dimostrare il fatto impeditivo, modificativo o estintivo.
La ricognizione di debito, di cui all'articolo 1988 c.c., ha natura di atto unilaterale recettizio che può essere effettuato solo da chi abbia la disponibilità del negozio giuridico o dell'atto cui si riferisce il riconoscimento. Inoltre, al pari della promessa di pagamento, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, venendo ad operarsi, in forza dell'articolo 1988 c.c., un'astrazione meramente processuale della causa debendi, comportante una semplice relevatio ab onere probandi per la quale il solo destinatario della ricognizione è dispensato dall'onere di provare l'esistenza del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria e che, oltre ad essere preesistente, può anche nascere contemporaneamente alla dichiarazione (o trovarsi in itinere al momento di questa), ma della cui esistenza o validità non può prescindersi sotto il profilo sostanziale, con il conseguente venir meno di ogni effetto vincolante della ricognizione stessa ove rimanga giudizialmente provato che il rapporto fondamentale non è mai sorto, o è invalido, o si è estinto, ovvero che esista una condizione ovvero un altro elemento attinente al rapporto fondamentale che possa comunque incidere sull'obbligazione derivante dal riconoscimento.
Sottolinea infine il Tribunale di Torino che il patto con cui due soggetti si accordano per il rilascio di un assegno bancario a scopo di garanzia è nullo, perché è contrario alle norme imperative. Il vizio di nullità colpisce, però, soltanto l'accordo delle parti, ma non anche l'assegno o il contratto nell'ambito del quale tale accordo è stato raggiunto, con la conseguenza che l'assegno vale comunque come promessa di pagamento.
La consegna al creditore di assegni a garanzia di un debito, con l'intesa di restituzione qualora il debitore adempia regolarmente alla scadenza dell'obbligazione, pur costituendo una prassi commerciale diffusa non è meritevole di tutela giuridica, in quanto contraria alle funzioni di pagamento dell'assegno bancario riconosciute dall'ordinamento.
Tribunale di Torino, sezione VIII, sentenza 23 marzo 2022, n. 1286


CONTRATTO DI UTENZA
Contratto di utenza – Tariffe – Pagamento – Prescrizione (Codice civile, articolo 2948; Dlgs 3 aprile 2006, n. 152, articolo 154)
Il Tribunale di Genova evidenzia come le somme corrisposte dall'utente a fronte del servizio idrico integrato costituiscono il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa che, per quanto determinata nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell'utente bensì nel contratto di utenza (articolo 154 Dlgs.n. 152/2006).
Si interroga il Tribunale, in particolare, su quali siano le conseguenze sottese alla mancata fruizione, da parte dell'utente, del servizio di depurazione delle acque, per fatto a lui non imputabile, giungendo alla conclusione secondo cui, in tale ipotesi, è irragionevole, per mancanza della controprestazione, l'imposizione dell'obbligo del pagamento della quota riferita a detto servizio.
È lo stesso quadro normativo di riferimento (il richiamato Dlgs n.152/2006) a sancire il principio secondo cui la tariffa di depurazione non è dovuta (e dunque va restituita, se pagata) qualora non sia garantito il trattamento secondario delle acque reflue.
Anche ove si ritenga (in termini generali) che detta tariffa non corrisponde al servizio relativo alla singola utenza, bensì all'insieme delle prestazioni d'ambito, per provare in concreto l'esistenza del proprio credito il fornitore del servizio deve allegare e dimostrare l'esistenza di tutti gli impianti dell'ambito territoriale, ed il loro regolare funzionamento rispetto alle esigenze di depurazione (anche secondaria), sì da far ritenere che la inadeguatezza della prestazione relativa ad un singolo acquedotto non dovrebbe escludere totalmente il debito.
Quanto al regime della prescrizione si fa applicazione del principio di diritto secondo cui il diritto al rimborso di canoni periodici indebitamente versati, quali i canoni pagati per il servizio idrico integrato, non ha carattere periodico, atteso che il Comune è tenuto a restituire le somme indebitamente percepite in un'unica soluzione, e non a rate. Ne consegue che tale diritto non è soggetto al termine di prescrizione quinquennale di cui all'articolo 2948, n. 4, c.c., ma all'ordinario termine decennale di prescrizione, che decorre dalle date dei singoli pagamenti.
Tribunale di Genova, sezione VI, sentenza 25 marzo 2022, n. 736

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