Penale

Probation, la durata del lavoro utile non va ancorata al decreto di condanna

Il criterio più affidabile da seguire è quello dettato dall’articolo 133 del Codice penale, in una sua valutazione complessiva. Pesano dunque la gravità del reato, il grado di colpevolezza e le esigenze di risocializzazione

di Patrizia Maciocchi

In caso di sospensione del procedimento penale per messa alla prova, il giudice, se non è stata fissata la durata del lavoro di pubblica utilità nel programma di trattamento, non può ancorarlo alla pena indicata nel decreto penale di condanna opposto dall’imputato. Il criterio più affidabile da seguire è quello dettato dall’articolo 133 del Codice penale, in una sua valutazione complessiva. Pesano dunque la gravità del reato, il grado di colpevolezza e le esigenze di risocializzazione. Il solo generico riferimento alla norma del Codice penale, legando però la durata del lavoro di pubblica utilità alla pena indicata in un decreto di condanna, che è “decaduto” per legge, fa, infatti, venire meno l’obbligo di motivazione. Un onere che impone al giudice di dare conto delle ragioni alla base delle scelte fatte secondo le peculiarità del caso specifico. La Cassazione, con la sentenza 22136, accoglie il ricorso contro la decisione del Gip di imporre 240 giorni di lavoro di pubblica utilità, corrispondenti a 480 ore, parametrando la durata - in assenza di una disciplina specifica - alla sanzione già determinata con il decreto penale di condanna.

La Suprema corte, boccia il criterio adottato e annulla con rinvio.

La Cassazione precisa che il Gip non ha contestato i parametri indicati dall’articolo 133 del Codice penale, anzi li ha genericamente evocati, con una semplice citazione di congruità della sanzione penale di condanna contenuta nel decreto opposto.

Un richiamo che i giudici di legittimità bollano, dettando anche un principio di diritto, come insufficiente e inadeguato. A mancare sono, infatti, le ragioni che hanno indotto il giudice a scegliere i 240 giorni come misura idonea. E a seguire invece un decreto di condanna da considerare tamquam non esset.

Qualunque automatismo nella determinazione del lavoro, viola comunque di per sé la ratio della probation a prescindere dal parametro utilizzato che, in un’ottica, non solo afflittiva ma rieducativa, tende ad un trattamento che risponda al caso concreto e presupponga anche una prognosi di non recidiva.

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