Penale

La bussola della Procura di Milano per i curatori

di Giovanni Negri

Dallo stato della contabilità e dei libri sociali ai dati su attivo e passivo; dall’analisi dei bilanci alle operazioni sospette, passando per gli amministratori. La Procura di Milano ha messo a punto le linee guida per i curatori nella redazione della relazione, prevista dalla Legge fallimentare, su cause e circostanze del default, il compito più impegnativo a carico dei professionisti. Il testo rappresenta l’esito di un gruppo di lavoro che ha visto la partecipazione dei Pm del neonato Dipartimento crisi d’impresa, guidato da Riccardo Targetti, e di un pool di professionisti impegnati nelle procedure fallimentari. «L’obiettivo - sottolinea la premessa - è in ogni caso quello di indicare alle predette figure istituzionali ciò che comunque per la Procura della Repubblica deve essere presente nella relazione di cui all’articolo 33 della Legge fallimentare, nella comune convinzione che ciò agevolerà le indagini penali e anche il giusto riconoscimento delle pretese risarcitorie della procedura e, per essa, del ceto creditorio».

E così, nel dettaglio, le Linee guida mettono in risalto la necessità di distinguere con precisione l’inizio del periodo di crisi. Perché è da allora che prendono corpo due diverse esigenze, entrambe rilevanti nell’ambito penale. Una, che riguarda soprattutto il periodo iniziale della crisi, è l’esigenza di celare il dissesto non rendendolo manifesto all’esterno; quindi operazioni che hanno lo scopo di migliorare i dati di bilancio, coprire una perdita, evitare che il patrimonio netto si azzeri. L’altra, più vicina al fallimento, cioè in un periodo in cui le dimensioni della crisi hanno raggiunto un livello di gravità da non renderla più reversibile, è l’esigenza di sottrarre gli asset aziendali dall’attivo fallimentare.

E allora, per quanto riguarda la contabilità, al di là del formale rispetto di legge e principi contabili, l’attenzione deve concentrarsi sulle anomalie sostanziali. Per questo, esemplificano le linee guida, l’attenzione si può concentrare su elementi come l’eccessiva consistenza e le movimentazioni inverosimili della cassa, l’utilizzo della cassa come contropartita per l’incasso di crediti, la vendita di cespiti, i prelievi dal c/c o tramite assegni o bonifici, l’omessa contabilizzazione di conti bancari (ovviamente se erano attivi), l’omessa svalutazione di crediti pacificamente non più incassabili, la presenza della posta “fatture da emettere” in diversi esercizi con valori fissi o in progressivo aumento, l’omessa contabilizzazione di crediti incassati, l’immotivata svalutazione di crediti, specie quando se ne avvantaggiano parti correlate o clienti “amici”.

E sui debiti tributari, un avvertimento: «L’Iva non è denaro dell’imprenditore, ma del Fisco; denaro che l’imprenditore ha incassato con l’incarico di riversarlo all'agenzia delle Entrate. Omettendo di farlo, se ne è appropriato, al pari che se l’impresa fosse, per esempio, un agente incaricato di incassare i soldi dei clienti del mandante. Non inganni la fungibilità, caratteristica tipica del denaro. Sarà pure normale che l’impresa versi tutto, prezzo e imposta, nello stesso conto corrente, ma il prezzo incassato dal cliente va annotato in un conto contabile diverso da quello destinato all’Iva».

Poi ci sono le operazioni sospette, dove più è possibile cogliere tracce da segnalare al pubblico ministero. A partire dalle operazioni straordinarie, con scissioni e cessioni d’azienda e dove a far drizzare le antenne dovrebbero essere segnali come i legami personali, familiari e di (altri) affari tra le controparti; l’improvvisa comparsa di un concorrente, capace di insinuarsi nella fetta di mercato dell’impresa; l’improvviso e ingiustificato abbandono della clientela. Ma sotto la lente devono finire anche le operazioni con parti correlate e alcune categorie di spese come quelle per consulenze e progetti.

Procura di Milano – Linee guida relazione fallimento

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