Professionisti e CED non rispondono penalmente: la Cassazione delimita lo status di garante nella bancarotta documentale
Il soggetto esterno, incaricato della mera elaborazione dei dati, opera esclusivamente sulla base delle informazioni fornite dall’impresa e, pertanto, non è in grado di garantire autonomamente né la completezza né la veridicità sostanziale dei dati contabili (Cass., Sez. V Penale, Sent. n. 6556/2025)
La sentenza degli Ermellini n. 6556 del 18 febbraio 2025 si inserisce nel solco di una consolidata linea interpretativa, riaffermando importanti principi in materia di bancarotta documentale, con specifico riguardo all’individuazione dei soggetti titolari della posizione di garanzia cioè dello status di garante relativo alla regolare tenuta delle scritture contabili.
In particolare, la pronuncia offre spunti rilevanti in ordine alla responsabilità (o meglio, alla non responsabilità) dei soggetti esterni incaricati della gestione contabile, come professionisti autonomi o Centri Elaborazione Dati (CED).
La Corte ribadisce che lo status di garante gravante sull’imprenditore o sull’amministratore circa la corretta tenuta delle scritture contabili non può ritenersi trasferito, né in tutto né in parte, al professionista o al Centro Elaborazione Dati cui sia affidata la gestione materiale della contabilità aziendale.
Tale incarico esterno non comporta, di per sé, l’assunzione di obblighi penalmente rilevanti per quanto concerne l’integrità e la veridicità della documentazione contabile.
In diritto penale, lo status di garante identifica quella particolare condizione soggettiva che impone al soggetto un obbligo giuridico di prevenire il compimento di un fatto dannoso o pericoloso. Si tratta di un dovere di vigilanza attiva, fondato su una norma, su un vincolo contrattuale o su una situazione di fatto, che comporta l’obbligo di intervenire per scongiurarlo. Lo status di garante penalmente rilevante, pertanto, non si identifica con ogni forma di partecipazione o coinvolgimento nell’attività dell’ente, ma richiede la titolarità di poteri decisionali e organizzativi tali da attribuire al soggetto un effettivo dominio del fatto e, dunque, la capacità giuridica e fattuale di prevenirlo.
In tale prospettiva, è evidente che né il libero professionista, né il legale rappresentante di un CED possano rientrare tra i soggetti titolari di tale status. Essi, infatti, non solo non detengono il potere gestionale dell’impresa, ma non hanno nemmeno accesso diretto e continuativo alle operazioni economiche che generano i dati da registrare.
La Suprema Corte ribadisce con nettezza che l’affidamento a terzi della tenuta delle scritture obbligatorie, pur costituendo modalità lecita e ampiamente diffusa nella prassi, non è idoneo a trasferire sul delegato lo status di garante che incombe primariamente sull’imprenditore o sugli amministratori.
Né il professionista incaricato, né tantomeno il responsabile di un CED – ancorché operante con mezzi tecnologici avanzati e strutture organizzative complesse – assumono lo status di garante penalmente rilevante, tale da renderli direttamente responsabili per la mancata integrità o veridicità delle scritture contabili.
A ciò si aggiunge una considerazione empirica e funzionale di assoluto rilievo: è materialmente impossibile per il professionista contabile, per il legale rappresentante di un CED, presidiare ogni singola operazione economica del cliente.
La loro attività si fonda sull’elaborazione ex post dei dati e delle informazioni trasmesse dall’impresa, senza alcuna possibilità di verificarne, in tempo reale, la corrispondenza alla realtà fattuale. Pretendere il contrario equivarrebbe ad attribuire loro un obbligo di sorveglianza costante sull’intera gestione aziendale, del tutto incompatibile con la natura e i limiti del mandato professionale.
La distinzione tra integrità e veridicità è, in tale prospettiva, fondamentale:
- Per integrità si intende la completezza materiale della documentazione contabile, ossia la presenza ordinata, sistematica e continuativa delle scritture previste dalla legge;
- Per veridicità si intende la corrispondenza veritiera e fedele dei dati contabili alla reale situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa.
La Corte sottolinea che il soggetto esterno, incaricato della mera elaborazione dei dati, opera esclusivamente sulla base delle informazioni fornite dall’impresa e, pertanto, non è in grado di garantire autonomamente né la completezza né la veridicità sostanziale dei dati contabili.
L’obbligo del professionista o del responsabile del CED è un obbligo di mezzi, ma non un obbligo di risultato rispetto alla qualità intrinseca delle informazioni ricevute.
Sotto il profilo sistematico, la decisione si pone in coerente continuità con i principi generali del diritto penale, che attribuiscono lo status di garante esclusivamente a quei soggetti che, per investitura normativa o di fatto, sono titolari di un effettivo potere impeditivo dell’evento lesivo.
Tanto il libero professionista quanto il responsabile del CED rappresentano addetti all’esecuzione materiale, esecutori materiali di attività contabili, privi di poteri dispositivi sulla gestione imprenditoriale sottostante.
Tale impostazione evita indebite estensioni della responsabilità penale, salvaguardando i principi costituzionali della personalità della responsabilità e della colpevolezza.
La sentenza in commento, nel riaffermare la distinzione tra responsabilità tecnica e responsabilità gestionale, si pone come presidio contro derive oggettivistiche incompatibili con l’esigenza di una responsabilità penale fondata sulla colpevolezza personale.
Essa ricorda che la gestione contabile, pur potendo avvalersi di competenze esterne, non consente alcuna deresponsabilizzazione degli organi apicali, i soli destinatari della responsabilità penale connessa al dovere di controllo, fondata sul potere-dovere di controllo effettivo e continuo.
Affermare il contrario significherebbe esigere da soggetti esterni, non integrati nell’organizzazione aziendale del cliente, un’attività di vigilanza continua e capillare del tutto irrealistica e sproporzionata rispetto all’incarico ricevuto.
Emblematico, in tal senso, è il caso delle fatture oggettivamente inesistenti, la cui falsità – spesso fondata su operazioni mai avvenute o del tutto simulate – può risultare del tutto invisibile al professionista contabile, privo di ogni possibilità concreta di verifica autonoma. Laddove le fatture siano formalmente regolari, dotate degli elementi essenziali previsti dalla normativa fiscale, non è esigibile dal tecnico esterno una capacità investigativa ulteriore, che implicherebbe la penetrazione nel merito gestionale, nelle attività operative e nei rapporti commerciali dell’impresa. In presenza degli elementi essenziali, non può dunque pretendersi una verifica sostanziale della genuinità delle operazioni documentate, la cui responsabilità resta interamente in capo a chi ne ha disposto l’emissione o ne ha beneficiato consapevolmente.
Tale chiarimento rafforza la linea interpretativa della Corte, restituendo al fondamento soggettivo della punibilità la centralità dogmatica che gli compete e riaffermando il senso del limite tra ausilio tecnico e responsabilità penale.
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*Angelo Ruggiero, commercialista ODCEC di Cassino e revisore legale, esperto scientifico di diritto ed economia dei tributi, esperto del MUR, docente alla SSM, coordinatore scientifico FSU