Civile

A proposito degli obblighi ambientali del Curatore fallimentare

Spesso la curatela fallimentare deve far fronte alla tematica della gestione dei rifiuti e dei siti inquinati, in conseguenze delle condotte che l'impresa fallita ha posto in essere prima della dichiarazione di fallimento.

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di *Franco Casarano

Spesso la curatela fallimentare deve far fronte alla tematica della gestione dei rifiuti e dei siti inquinati, in conseguenze delle condotte che l'impresa fallita ha posto in essere prima della dichiarazione di fallimento.

Si tratta del possibile contrasto tra l'interesse alla gestione dell'insolvenza a garanzia della massa creditoria (che tenderebbe a non porre a carico della massa i costi delle condotte inquinanti dell'imprenditore fallito) e il generale interesse alla tutela dell'ambiente.

Sul punto è di grande interesse (ma suscita perplessità) la pronuncia del Consiglio di Stato (sentenza n. 3 resa in Adunanza Plenaria il 26 gennaio 2021), che ha affermato il principio di diritto, secondo cui "ricade sulla Curatela fallimentare l'onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui all'art. 192 D.Lgs. n. 152/2006 e i relativi costi gravano sulla massa fallimentare".

La fattispecie esaminata dal CdS attiene un'ordinanza emessa dal Sindaco che, ai sensi dell'art. 192 D.Lgs. n. 152/2006 (T.U. Ambiente) sopra citato, ingiungeva al Curatore del Fallimento di presentare il programma di smaltimento rifiuti e di procedere alla loro rimozione.

L'ordinanza era stata dapprima impugnata avanti il TAR, che, accogliendo la tesi della non assoggettabilità della Curatela agli obblighi di cui all'art. 192 T.U. Ambiente, l'annullava.

Seguiva il ricorso al CdS, che in Adunanza Plenaria, dichiarando il principio di diritto sopra enunciato, sviluppava il seguente percorso argomentativo.

L'Adunanza ha dapprima escluso che la legittimazione passiva del Curatore a ricevere l'ordine di rimozione di cui all'art. 192 trovi fondamento in un qualsiasi fenomeno successorio, per effetto del quale il curatore possa configurarsi come avente causa del fallito nel trattamento dei rifiuti. Il curatore, che non è autore della condotta di abbandono dei rifiuti, neppure è l'avente causa a titolo universale del soggetto inquinatore, atteso che la società fallita mantiene la sua soggettività giuridica e la titolarità del proprio patrimonio, la cui gestione e potere di disposizione sono però attribuiti al curatore.

L'Ad. Plen. individua invece la fonte della legittimazione passiva del Curatore a ricevere l'ingiunzione del Sindaco, per lo smaltimento e la rimozione dei rifiuti, nella posizione del Curatore stesso quale "detentore" dei rifiuti, posizione che questi assume in forza della dichiarazione di fallimento e all'atto dell'inventario dei beni dell'impresa ai sensi degli artt. 87 e segg. L.F., non tanto con diretto riferimento ai rifiuti (considerati sotto il profilo economico "beni negativi"), quanto in relazione alla acquisita detenzione dell'immobile, sul quale i rifiuti insistono.

La responsabilità di procedere alla rimozione dei rifiuti va dunque attribuita al Curatore-detentore in ossequio ai principi di diritto europeo, secondo i quali va letto l'art. 192 T.U. Ambiente.

Il richiamo è dapprima all'art. 3 par. 1 punto 6 della Direttiva n. 2008/98/CE, che definisce il detentore dei rifiuti, contrapponendolo al produttore, come la persone fisica o giuridica che ne è in possesso.

Poi segue il richiamo all'art. 14 par. 1 della stessa Direttiva, per il quale, secondo il principio «chi inquina paga», i costi della gestione dei rifiuti, compresi quelli per la necessaria infrastruttura e il relativo funzionamento, sono sostenuti dal produttore iniziale o dai detentori del momento o dai detentori precedenti dei rifiuti.

L'Ad. Plen. afferma quindi che la Curatela, anche laddove non prosegua l'attività imprenditoriale del fallito, avendo la custodia dei suoi beni ed essendone il gestore, è senz'altro obbligato a metterli in sicurezza, avviandoli allo smaltimento, e ciò sul rilievo che, se i costi dello smaltimento, in coerenza con il principio "chi inquina paga", debbono essere sopportati di chi ne ha tratto guadagno con l'attività d'impresa, allora tali costi debbono gravare sul patrimonio dell'imprenditore fallito e, quindi, su chi è stato chiamato a gestire tale patrimonio (il curatore), evitando che il costo dell'attività inquinante ricada sull'intera collettività.

Per l'Ad. Plen., poi, l'eventualità che il fallimento sia incapiente rispetto al costo della bonifica costituisce circostanza di mero fatto, che non incide sul principio della imputabilità al fallimento degli obblighi di bonifica, atteso che, ove la procedura non fosse in grado di procedere con le necessarie risorse, sarà il Comune ad intervenire, insinuando al passivo i relativi costi sostenuti, che godono di privilegio speciale ex art. 253 comma 2 T.U. Ambiente.

Tale ultima considerazione suscita una prima perplessità. Se si ritiene che i costi dello smaltimento e della bonifica debbano porsi a carico del patrimonio dell'imprenditore fallito e di chi – il curatore – ha il compito di gestirlo, detti costi, ove sostenuti dal Comune in luogo del fallimento, privo di risorse, non possono qualificarsi alla stregua di crediti privilegiati, ma dovrebbero appartenere, più correttamente, alla categoria delle spese prededucibili, ovvero di quelle spese sostenute in occasione ed in funzione della procedura.

Il provvedimento, emesso da Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria, rimarca, infine, che l'applicazione del principio evocato del "chi inquina, paga" non richiede, ai fini dell'accertamento della responsabilità la presenza dell'elemento soggettivo, ovvero dell'esistenza di un nesso di causalità tra la condotta del responsabile ed il danno ambientale: in proposito è richiamata la Direttiva n. 2004/35/CE che configura la responsabilità ambientale come responsabilità oggettiva e che rappresenta il "criterio interpretativo per tutte le disposizioni legislativ nazionali"

"Pertanto la responsabilità della Curatela fallimentare – nell'eseguire la bonifica dei terreni di cui acquisisce la detenzione ex art. 87 e segg. L.F. – può analogamente prescindere dall'accertamento dell'esistenza di un nesso di causalità tra la condotta e il danno costatato".

La presa di posizione del Consiglio di Stato è molto netta e, ponendo il Curatore quale destinatario delle ordinanze sindacali emesse ex art. 192 comma 3 T.U. Ambiente, fa gravare su un soggetto incolpevole le conseguenze dei comportamenti inquinanti posti in essere da terzi.

Il provvedimento in commento sembra aver sottovalutato il rischio che il Curatore, per rendersi esente da responsabilità, possa avvalersi dell'abbandono dell'area o dell'immobile ove sono collocati i rifiuti, in applicazione dell'art. 104 ter comma 8 L.F., norma che consente al curatore, dopo aver verificato i costi dell'attività di smaltimento ed il presumibile valore di realizzo, ottenuto il consenso del comitato dei creditori, di non acquisire all'attivo il bene e di rinunciare alla sua liquidazione.

In tal caso al Comune sarebbe comunque gravato dall'onere di intervenire per la bonifica, ma per recuperare il proprio credito dovrebbe agire esecutivamente sull'immobile (non acquisito al fallimento) nell'ambito di una procedura individuale.

Il CdS ha esaminato questo aspetto, escludendone la rilevanza, ma soltanto in relazione al disposto dell'art. 42 comma 3 L.F., che disciplina l'abbandono dei beni soltanto con riferimento a quelli acquisiti durante la procedura: nessun riferimento al diverso disposto dell'art. 104 ter comma 8 L.F. (inserito nel contesto del Programma di liquidazione ed esteso a tutti i beni) riprodotto, senza modifiche, dall'art. 213 comma 2 del Codice della Crisi .

In conclusione, c'è da aspettarsi che in questi casi il Curatore, sulla base di una scelta di convenienza, opterà per l'abbandono del bene immobile inquinato. Resta però irrisolto il problema connesso alla successione temporale di questa scelta: dovrà essere effettuata prima dell'ordinanza sindacale, affinchè questa non produca effetti o potrà essere effettuata anche dopo l'ordinanza sindacale? E in quest'ultimo caso le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla mancata osservanza dell'ordinanza resteranno a carico del curatore, ancorchè abbia rinunciato al bene immobile inquinato?

A ben vedere, non pare che il principio di diritto enunciato dalla sentenza del CdS abbia agevolato l'assunzione delle decisioni che competono ai Curatori.


*Franco Casarano – Partner di LS Lexjus Sinacta - Avvocato, operante nell'area del diritto delle imprese, delle procedure concorsuali e del diritto immobiliare

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