Civile

A rischio la privacy di chi viaggia in auto

Il progetto smart road, in via di sperimentazione anche in Italia, permette di raccogliere molte informazioni

di Maurizio Caprino

Mentre in certe strade delle città qualcuno continua a gridare rumorosamente alla «dittatura sanitaria» da Green pass, su pochi chilometri dell’A4 Torino-Milano inizia silenziosamente l’epoca dei veicoli in grado di “raccontare” a un sistema esterno di controllo tutto del loro viaggio e molto di chi è a bordo. È l’ora delle smart road, presentate come risolutive per la sicurezza stradale e quella di ponti e gallerie. Ma saranno pure un formidabile mezzo di raccolta dati a fini commerciali. Senza particolari paletti, per ora.

L’unica norma italiana sulle smart road è il Dm 28 febbraio 2018, emanato dal ministero delle Infrastrutture. Si occupa solo della gestione del traffico e della rilevazione delle infrazioni, per cui richiede il rispetto delle regole sulla riservatezza soltanto nel rendere non riconoscibili i dati di transito dei singoli veicoli e nel conservare le prove delle infrazioni al Codice della strada accertabili a tappeto dai sistemi telematici che rendono smart una strada (consentendo pure di rilevare in tempo reale ogni imprevisto e gestire di conseguenza il traffico, fino a fare da base per la guida autonoma su futuri veicoli senza conducente).

I test
L’esperimento avviato sull’A4 dal gestore (Astm, gruppo Gavio) e dalla Volkswagen Italia si ferma proprio a questo e le due società, interpellate dal Sole 24 Ore, si dichiarano concentrate esclusivamente su tali modalità.

Lo stesso, ma per ora senza interagire con case auto, fa l’Anas: da inizio anno ha attrezzato 80 chilometri della statale 51, presso Cortina (e sta allestendo 3mila chilometri delle sue autostrade). Ma la partita interessa a tutte le aziende di automotive e infrastrutture. Il Dm prevede che entro il 2025 vada attrezzata l’intera rete Ten-T (tutte le autostrade, più le statali di rilevanza europea).

È possibile che lo si completi in ritardo, ma si farà. Anche perché è un investimento non solo finanziabile con fondi pubblici (tra cui quelli del Pnrr) e con i rincari dei pedaggi per le autostrade a pagamento: produce dati che possono essere sfruttati in modo commerciale.

L’uso dei dati
Si va da offerte di ristorazione (affinate sapendo quante persone sono a bordo, da dove provengono e da quanto sono in viaggio) a inviti in officina per guasti autodiagnosticati come prossimi o a monitoraggi dello stile di guida a fini assicurativi. Fino al limite del rischio di illecito: per esempio, sui veicoli connessi non mancano i comandi vocali, i cui microfoni possono captare i discorsi.

I Garanti della privacy lo sanno bene e a febbraio il loro comitato europeo (Edpb) ha emanato linee guida: raccogliere e trasmettere la minor quantità possibile di dati riferibili a chi è a bordo, trattamento delle informazioni solo su consenso (anche dei passeggeri) e per necessità ai fini di assistenza alla guida, sicurezza stradale e assicurazioni legate a come e quanto si usa il veicolo. Ma non ci sono ancora norme cogenti. E non si sa né quando arriveranno né quanto severe saranno.

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