Penale

Abuso d’ufficio le assunzioni in deroga

Resta reato la trasgressione al patto di stabilità anche dopo la riforma

di Giovanni Negri

Anche dopo la riforma dell’estate scorsa resta sanzionata a titolo di abuso di ufficio l’assunzione nei ranghi dell’amministrazione pubblica in violazione del patto di stabilità. Lo sottolinea la Cassazione con la sentenza n. 37517 del 2020 della Quinta sezione penale. La Corte ha così confermato la condanna nei confronti, tra l’altro, del sindaco di un Comune siciliano considerato responsabile dell’aumento di ore di lavoro, cristallizzato in una delibera comunale, a favore della moglie, lavoratrice a contratto presso l’ente locale stesso.

Il divieto

Secondo l’accusa, infatti, non è possibile procedere all’assunzione, in nessuna forma, neppure in quella delle prestazioni aggiuntive a un contratto già in essere. A dovere prevalere, con forza assoluta, sono le necessità di compatibilità finanziaria sulla base di quanto stabilito dal patto di stabilità all’articolo 242 commmi 1 e 2 del decreto legislativo 267/2000.

La riforma

La sentenza ricorda che a procedimento penale aperto è intervenuta una sostanziale modifica normativa che ha rivisto il testo del reato di abuso d’ufficio. Dopo il decreto legge n. 76 del 2020, infatti, il nuovo articolo 323 del Codice penale punisce con la detenzione da 1 a 4 anni il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che «in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sè o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto».

La limitazione dell’area penale

Così riformulata la condotta, l’area penale, secondo le intenzioni , è stata ristretta in maniera significativa. Nei fatti, il reato di abuso d’ufficio, sorta di”classico” per il pubblico amministratore, è stato sottoposto nel tempo a diverse modifiche e vede aprirsi ogni anno migliaia di procedimenti, a fronte poi di poche decine di condanne (nel 2017, per esempio, 6.582 fascicoli aperti e 57 condanne, ma nel 2016 erano state 46, con 6.970 procedimenti). Con l’effetto però, cui la riforma ha inteso in qualche modo rimediare, di inibire spesso scelte a elevato tasso di discrezionalità.

La riforma introduce il riferimento agli atti aventi forza di legge al posto dei regolamenti, e nelle intenzioni del Governo cancella l’anomalia che vede sanzionati sul piano penale comportamenti in violazione non solo di leggi o di misure a queste equivalenti, ma anche di semplici misure regolamentari. Nello stesso tempo, l’assai controverso riferimento ai margini discrezionalità, che in fase di redazione della riforma aveva visto le forti perplessità del ministero della Giustizia, ha come obiettivo quello di rendere punibili solo le condotte a forte contenuto di trasgressione, contribuendo, si auspica, anche in questo caso a sbloccare forme più gravi di burocrazia passiva.

La condanna

La Corte , in una delle primissime pronunce che prende in considerazione l’intervento, osserva però che nessun cambiamento è intervenuto nella fattispecie legale per quanto riguarda la necessità del dolo intenzionale e sulla previsione di uno specifico dovere di astensione per pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio. Inoltre, nel caso specifico, il divieto di procedere ad assunzioni nella pubblica amministrazione in qualsiasi forma ha un carattere assoluto e non comporta alcun tipo di valutazione discrezionale.

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