Adozione, alla Consulta il divieto di rapporti con la famiglia d’origine
L’automatismo esclude la valutazione dell’interesse del minore
L’interruzione in automatico dei rapporti con la famiglia di origine, fino al quarto grado di parentela, in conseguenza dell’adozione legittimante, non è sempre nell’interesse del minore, da valutare caso per caso. Con l’ordinanza interlocutoria 230, la Cassazione, solleva una questione di legittimità costituzionale della legge (184/1983) sull’affidamento e l’adozione, per la parte in cui, nel regolare l’adozione piena, prevede che siano rescissi i legami con la famiglia di origine, senza lasciare spazio ad una valutazione in concreto. Per la Suprema corte una norma che, malgrado non tenga conto del mutato contesto sociale, è rimasta ferma nel tempo, salvo concedere la sola opportunità di conoscere le proprie origini, una volta raggiunta la maggiore età.
Un “rigore” giustificato dalla considerazione che, solo con la cancellazione della famiglia di origine, si realizza una piena tutela del minore che entra nel nuovo nucleo da considerare “biologico”. La Suprema corte chiarisce che la previsione, relativamente all’impossibilità di valutare il preminente interesse del minore, entra in contrasto con le norme costituzionali (articoli 2 e 3), con l’articolo 8 della Cedu, oltre che con la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Da qui la remissione alla Consulta, preso atto dell’impossibilità di dare una lettura della legge costituzionalmente orientata. Nell’ordinanza si sottolinea l’importanza del rinvio «per la rilevanza nomofilattica della questione, anche in considerazione della sua novità e forte attitudine a presentarsi in casi futuri».
Dal giudice delle leggi si attende dunque una risposta importante, per decidere anche, come sottolineato dal Procuratore generale, casi che riguardano gli “orfani speciali” dei femminicidi, come quello alla base dell’ordinanza di ieri, in cui il padre è in carcere per aver ucciso la madre dei minori. Nell’impossibilità di trovare uno strumento alternativo all’adozione piena, come la mite o quella in casi particolari, i giudici dubitano che sia nell’interesse dei minori rescindere i legami con i nuclei originari e con componenti, anche diversi dai genitori, per superare un trauma, come la violenza assistita, che non avviene attraverso la rimozione.
Per i giudici di legittimità andrebbe dunque sanata l’ingiustificata disparità di trattamento con altri modelli di adozione.