Adozione internazionale, la Onlus non è responsabile se non c'è feeling tra coniugi e bambino
Quella dell'associazione è, infatti, un'obbligazione di mezzi e non di risultato
In caso di adozione internazionale, la mancata adozione del minore, avvenuta per decisione degli adottandi, non può essere imputata alla Onlus per la mancanza di assistenza ricevuta e di informazioni fornite circa le reali condizioni del bambino. Quella dell'associazione è, infatti, un'obbligazione di mezzi e non di risultato: il successo della procedura dipende anche da fattori soggettivi e imponderabili, come il lavoro degli operatori del Paese di provenienza del bambino e la sensibilità mostrata dagli aspiranti genitori nei confronti del minore adottando. Questo è quanto afferma il Tribunale di Roma nella sentenza 3268/2020.
Il caso - Al centro della delicata vicenda c'è la storia di due coniugi che avevano deciso di adottare un minore di età inferiore a nove anni, ricevendo a tal proposito l'autorizzazione da parte del Tribunale. La coppia si era così rivolta ad una Onlus, al fine di iniziare una procedura di adozione internazionale, esprimendo il desiderio di adottare un bambino cinese, per via delle origine asiatiche della futura madre adottiva. Riscontrate delle difficoltà nella procedura, l'associazione consigliava ai coniugi di ampliare al massimo la loro disponibilità sulla chek list delle patologie mediche dei bambini, in maniera tale da avere più chances di successo nell'abbinamento. A distanza di qualche mese, la Onlus contattava i coniugi per valutare la possibilità di accogliere un bimbo di nazionalità russa, originario di Vladivostok, sicché i coniugi, dopo aver espresso il proprio parere favorevole, si recavano in Russia per avere il primo contatto con il minore.
Tuttavia, il viaggio e l'incontro con il bambino non andavano come sperato e, dopo un ulteriore tentativo qualche mese dopo per provare a familiarizzare con il minore, la coppia formalizzava la volontà di risolvere il contratto con la Onlus, chiedendo altresì la restituzione delle somme versate per la procedura di adozione e i soldi spesi per i viaggi sostenuti, nonché il risarcimento del danno morale subito per la mancata realizzazione del nucleo familiare. Per i coniugi, infatti, la mancata adozione era dovuta alla scarsa informazione e alla mancata assistenza ricevuta in Russia e alle problematiche psichiche del bambino che erano state taciute. La Onlus, dal canto suo, declinava ogni responsabilità e attribuiva all'atteggiamento della coppia il fallimento della procedura di adozione.
La decisione - Il Tribunale rigetta fermamente le domande risarcitorie dei coniugi e sottolinea gli obblighi delle Onlus nelle procedure di adozione internazionale. Ebbene, secondo il giudice, l'impegno dell'associazione convenuta configura «una obbligazione di mezzi e non di risultato, essendo inevitabilmente, il successo della procedura, affidato non solo ad elementi oggettivi ma anche e soprattutto a fattori soggettivi ed imponderabili, attenendo il buon esito della procedura alla sensibilità dei coniugi aspiranti genitori e del minore adottando». A ciò deve aggiungersi, trattandosi di adozione internazionale, «una componente ulteriore e altrettanto imponderabile», costituita dal coinvolgimento di operatori dei paesi di provenienza del minore e, di conseguenza, gestita, sia pure in parte, dalle autorità del paese da cui proviene il minore.
Nella fattispecie, evidenzia il Tribunale, la mancanza di informazioni e la carenza nell'assistenza sono imputabili perlopiù agli operatori russi, che si sono attenuti ad ogni modo alle regole imposte dal loro Paese, senza che alcun rimprovero possa essere mosso alla Onlus italiana. Inoltre, rincara la dose il giudice, dall'istruttoria è emerso che il minore presentava, oltre ad alcune patologie pregresse e poi risolte, difficoltà di apprendimento e di socializzazione, ovvero delle problematiche del tutto usuali per un bambino inserito in un programma di adozione internazionale.
In definitiva, chiosa il Tribunale, anche considerando il secondo viaggio eseguito dalla coppia prima della decisione di stoppare la procedura, la causa del fallimento dell'adozione è da rinvenirsi nel fatto che non si realizzò fra gli adottandi e il bimbo «il feeling giusto» affinché la stessa di si perfezionasse, senza che possa attribuirsi alla Onlus alcuna responsabilità.