Famiglia

Adozione straniera, sì al riconoscimento anche in assenza di matrimonio

Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 35437 depositata oggi, accogliendo il ricorso di una coppia con doppia cittadinanza italiana e Usa

immagine non disponibile

di Francesco Machina Grifeo

L’“adozione estera” (e non “internazionale”) può essere riconosciuta in Italia anche se i genitori adottivi non sono sposati. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 35437 depositata oggi, accogliendo il ricorso di una coppia con doppia cittadinanza italiana e Usa.

Il comune di Milano aveva rifiutato di riconoscere gli effetti della sentenza di adozione della minore pronunciata, nel 2017, dal Tribunale distrettuale della Contea di Bexar in Texas. La Corte di appello aveva poi confermato il diniego perché l’adozione era stata fatta da cittadini (anche) italiani nei confronti dei quali deve essere applicata la disciplina in vigore nella Repubblica italiana, e in particolare l’articolo 36 della legge n. 184/1983, non risultando che la cittadinanza originaria italiana (avendo essi acquisito quella statunitense successivamente) sia mai stata da loro rinunciata.

Per la Suprema corte però il giudice di secondo grado ha errato nel ritenere che il cittadino italiano, anche se munito di doppia cittadinanza, che abbia adottato all’estero, deve attivare tale procedura (articolo 36 legge 184/1983), con conseguente applicabilità della legge italiana circa i presupposti per l’adozione, tra cui quello del vincolo di coniugio. Tale procedura, infatti, “si riferisce alle adozioni internazionali ossia alle adozioni che, in forza del disposto dell’articolo 2 della Convenzione dell’Aja, hanno come elemento caratterizzante lo sradicamento del minore dal proprio Stato d’origine”.

“L’adozione ottenuta dai ricorrenti - prosegue la decisione -, nei confronti di una cittadina statunitense, per nascita, «è un’adozione estera (interna, come la definiscono i ricorrenti) e non un’adozione internazionale», con conseguente applicazione dell’articolo 41, comma 1, d.i.p., relativo al riconoscimento automatico, difettando in radice, la ragion d’essere propria della Convenzione de L’Aja e della relativa disciplina interna (articoli 29 e ss., legge 184/1983) “non comportando il riconoscimento dell’adozione straniera alcuno sradicamento del minore dallo Stato di origine e non potendo essere considerata la stessa alla stregua delle adozioni di comodo, ottenute da uno Stato straniero al fine aggirare la più rigorosa disciplina interna”.

Con riguardo poi al rilievo, ai fini che qui interessano, da dare all’articolo 6 della legge n. 184/1983, secondo cui l’adozione è consentita ai «coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni», e se esso possa essere inteso come limite di ordine pubblico internazionale, la Prima sezione civile risponde negativamente affermando il seguente principio di diritto : «Ove ricorrano le condizioni per il riconoscimento della sentenza di adozione straniera, ex art.41, comma 1, l.184/1983, la mancanza di vincolo coniugale tra gli adottandi non si traduce in una manifesta contrarietà all’ordine pubblico, ostativa al suddetto riconoscimento automatico degli effetti della sentenza straniera nel nostro ordinamento, anche a prescindere e dall’accertamento in concreto della piena rispondenza del provvedimento giudiziale straniero all’interesse della minore».

In definitiva, per la Corte il riconoscimento della sentenza di adozione risponde al principio del «best interest of the child» con il riconoscimento dello status filiationis da parte dello Stato di provenienza dei genitori adottivi e l’acquisto della cittadinanza italiana, cui consegue la possibilità di trattenimento nel territorio italiano, anche oltre il periodo massimo consentito dalle norme sull’immigrazione.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©