Affido dei minori, il giudice di merito deve preferire i nonni
Il giudice di merito, chiamato a valutare l’adeguatezza di un familiare a essere affidatario temporaneo di un minore, deve valorizzare il contributo che le figure vicarianti inter-familiari, come i nonni, possono dare al mantenimento del rapporto con la famiglia di origine. Lo ha ribadito la Cassazione con la sentenza 28257 depositata il 4 novembre scorso.
La questione
Il Tribunale per i minorenni di Venezia, chiamato a decidere sull’affido temporaneo di tre fratelli, non ritenendo adeguate le competenze dei genitori e dei nonni paterni, ha disposto d’ufficio il loro collocamento in ambiente etero-familiare protetto.
Il padre e i nonni paterni hanno presentato reclamo alla Corte d’appello, che ha confermato la valutazione sull’inadeguatezza dei genitori: per le violenze del padre a danno della madre in presenza dei bambini, per le percosse inflitte da entrambi i genitori ai figli e per l’impossibilità materiale del padre di occuparsi dei figli a causa del lavoro svolto. I giudici escludono anche che possano essere i nonni a occuparsi dei minori, sia per l’età avanzata, sia per il ricorso del nonno a metodi educativi violenti rispetto a uno dei nipoti.
Il padre e i nonni ricorrono in Cassazione, sostenendo che i giudici d’appello non abbiano valutato attentamente la loro idoneità a essere affidatari dei nipoti, nonostante già in passato fossero stati designati come tali dal sindaco.
La decisione
La Cassazione chiarisce che, nell’approfondire il giudizio sull’adeguatezza del familiare scelto come affidatario temporaneo di un minore, il giudice di merito deve valorizzare le figure vicarianti inter-familiari, come i nonni. In particolare, il giudice deve analizzare attentamente il loro contributo al mantenimento del rapporto con la famiglia di origine, criterio guida di ogni scelta in materia di affido, anche temporaneo, dei bambini.
L’affido temporaneo etero-familiare, ricordano i giudici, è una misura offerta al bambino in difficoltà (per malattia del genitore, violenza fisica e psichica , relazioni disfunzionali, isolamento sociale o trascuratezza) e quindi in casi che temporaneamente possono impedire la funzione educativa o la convivenza tra genitore e figlio. Si tratta di un “intervento ponte”, destinato a rimuovere situazioni di difficoltà e di disagio familiare, strumentale alla tutela riconosciuta al diritto del minore a crescere nella propria famiglia.
La misura, disciplinata dall’articolo 333 del Codice civile, rientra tra i provvedimenti adottati nell’interesse del minore e intende superare la condotta pregiudizievole dei genitori senza dar luogo alla pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale. Può declinarsi nelle forme dell’affidamento ai membri della “famiglia allargata”, per evitare al minore, già segnato dal trauma dell’allontanamento dal genitore, di vedersi privato anche dal contesto familiare in cui è cresciuto.
La Suprema corte cassa quindi il decreto e lo rinvia alla Corte d’appello.
Cassazione, sentenza 28257 del 4 novembre 2019