Penale

Alcune brevi riflessioni sulla Riforma dei Reati Tributari

A quasi un anno dall'entrata in vigore della Legge n. 157/2019, con cui è stato convertito, con modificazioni, il decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 (c.d. decreto fiscale), il cui art. 39 ha previsto varie modifiche al sistema penal-tributario, è possibile fare alcune brevi riflessioni su questa riforma.

di Fabrizio Ventimglia e Davide Zaninetta*


A quasi un anno dall'entrata in vigore della Legge n. 157/2019, con cui è stato convertito, con modificazioni, il decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 (c.d. decreto fiscale), il cui art. 39 ha previsto varie modifiche al sistema penal-tributario, è possibile fare alcune brevi riflessioni su questa riforma.

Le novità introdotte si concentrano, come noto, essenzialmente su tre profili:

• l'intervento sul trattamento sanzionatorio dei reati tributari di cui al D.Lgs. n. 74/2000;

• l'introduzione della confisca allargata per i medesimi reati tributari;

• la previsione della responsabilità degli enti ex D.Lgs. n. 231/2001 per alcuni degli illeciti penal-tributari.

Orbene, in palese controtendenza rispetto alla precedente novella legislativa del 2015, la riforma in esame ha apportato un significativo inasprimento delle sanzioni previste per i reati tributari di cui al D.Lgs. n. 74/2000, prevedendo, da un lato, l'innalzamento delle cornici edittali per molti di questi reati e, dall'altro, l'abbassamento delle soglie di punibilità, con l'effetto di ampliare così l'area di rilevanza penale dell'evasione fiscale.

L'inasprimento della politica sanzionatoria, che caratterizza la riforma de qua, è stato, tuttavia, mitigato dall'ampliamento dell'ambito applicativo della causa di non punibilità rappresentata dal pagamento integrale del debito tributario di cui all'art.13, co. 2, D.Lgs. n. 74/2000, che può oggi operare anche con riferimento al reato di "dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti" di cui all'art. 2 nonché al reato di "dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici" ex art. 3 (mentre, lo si ricorda, in precedenza era riferita ai soli reati di omessa e infedele dichiarazione di cui agli artt. 4 e 5 e di omesso versamento delle imposte di cui agli artt. 10-bis e 10-ter e di indebita compensazione con riferimento al solo primo comma dell'art. 10-quater).

In considerazione di tale disposizione, dunque, anche le condotte di cui agli artt. 2 e 3 non sono punibili, ove i debiti tributari siano stati estinti mediante integrale pagamento del dovuto, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, a condizione che il ravvedimento o la presentazione della dichiarazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Evidente appare la ratio sottesa a tale disposizione, volta a favorire istituti tesi a valorizzare ed incentivare il ravvedimento del contribuente, mediante il versamento postumo all'erario delle somme dovute in conseguenza dell'evasione fiscale.

L'elemento di più spiccata novità della riforma, che ha suscitato un acceso dibattito in campo dottrinale, è, tuttavia, costituito dall'introduzione dell'art. 12-ter D.Lgs. n. 74/2000, che impone l'applicazione della c.d. confisca allargata prevista dall'art. 240-bis c.p. in caso di condanna o patteggiamento per taluni dei delitti previsti dal D.Lgs. n. 74/2000 (artt. 2, 3, 8, 11), laddove l'evasione fiscale superi una determina soglia di valore.

L'estensione di tale istituto ai reati tributari denota una riscoperta del carattere afflittivo di tale tipologia di confisca. Come noto, infatti, tale misura consiste in una forma di ablazione fondata essenzialmente sulla sproporzione patrimoniale, circostanza che permette una presunzione iuris tantum di origine illecita dei beni, secondo un meccanismo di accertamento in parte analogo a quello proprio della confisca di prevenzione di cui al c.d. codice antimafia.

Proprio tale analogia desta qualche perplessità, in quanto attraverso l'applicazione di tale istituto ai reati tributari pare essersi smarrito qualsivoglia riferimento, diretto o indiretto, alla criminalità associativa che ne rendeva semmai ragionevole ab origine il fondamento presuntivo, per rivolgersi ormai a fattispecie che non presuppongono una stabile organizzazione e che si inquadrano, più genericamente, nella logica del profitto connessa, come nel caso in oggetto, a fenomeni di evasione fiscale.

Si è, dunque, assistito ad un ulteriore e pericoloso ampliamento dell'ambito applicativo di una norma nata in via del tutto eccezionale e che si caratterizza proprio per la sua spiccata afflittività.

Da ultimo, la riforma in esame ha, come noto, previsto l'introduzione di alcuni illeciti tributari nel novero dei reati presupposto della responsabilità dell'ente ex D.Lgs. n. 231/2001; introduzione a lungo caldeggiata tanto in sede sovranazionale, quanto da una parte della dottrina e della giurisprudenza.

Non si può tuttavia fare a meno di rilevare come siano molteplici le criticità che conseguono da tale novella legislativa.

La prima evidente stortura è data dalla scelta degli illeciti tributari che sono stati ricompresi nell'art. 25-quinquiesdecies D.Lgs. n. 231/2001: il legislatore ha, infatti, omesso di prendere in considerazione il delitto di indebita compensazione per crediti inesistenti di cui all'art. 10-quater, comma 2, D.Lgs. n. 74 del 2000 (che oggi si configura sempre più di frequente e dalla cui realizzazione consegue un significativo danno per l'erario), nonché i delitti di infedele dichiarazione e di omessa dichiarazione di cui agli artt. 4 e 5.

Il delitto di cui al citato comma 2 dell'art. 10-quater rientra, peraltro, a pieno titolo negli illeciti di frode che offendono gli interessi finanziari dell'UE secondo la definizione dettata dall'art. 6 della Direttiva PIF, da cui discendono gli obblighi eurounitari a cui il legislatore ha voluto dare attuazione con la riforma in esame, non comprendendosi pertanto la ratio sottesa a tale esclusione.

Anche la mancata inclusione tra i reati presupposto del delitto di "omessa dichiarazione" di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 74/2000, con conseguente impossibilità di contrastare in maniera efficace le ben note condotte di evasione mediante esterovestizione societaria, rappresenta, come già rilevato da autorevole dottrina, "un vulnus alla coerenza del sistema, rivelando un deficit di comprensione di alcuni dei più gravi fenomeni di evasione fiscale che avrebbero imposto una più severa risposta sanzionatoria" . (1)

Si deve, inoltre, rilevare come la novella legislativa non abbia disposto alcunché con riferimento all'annosa questione dei limiti del doppio binario e dei conseguenti effetti sul ne bis in idem, rischiandosi in questo modo di alimentare nuovamente il dibattito sul punto.
Partendo dalla disciplina dettata dalla riforma in materia di market abuse, si sarebbe infatti ben potuto configurare l'intervento normativo in termini tali da evitare il rischio di una illegittima duplicazione delle sanzioni.

È bene, altresì, sottolineare il mancato coordinamento tra l'estensione dell'ambito applicativo della causa di non punibilità di cui all'art 13, co. 2, D.Lgs. n. 74/2000 (cfr. supra) e il disposto dell'art. 8, co. 1, lett. b), D.Lgs. n. 231/2001, secondo cui la responsabilità dell'ente non è esclusa in caso di estinzione del reato della persona fisica, sennonché per l'ipotesi di amnistia.

Dottrina e giurisprudenza hanno, infatti, desunto dal dettato normativo della ridetta disposizione l'impossibilità di estendere all'ente l'esenzione di responsabilità derivante dall'applicazione della causa di non punibilità di cui al citato art. 13 nei confronti dell'autore del reato presupposto.

Ne consegue che, ove il firmatario della dichiarazione sia una persona fisica diversa dall'ente contribuente, l'eventuale ravvedimento tributario mediante il pagamento del dovuto costituirebbe paradossalmente causa di non punibilità per l'autore del reato presupposto e denuncia di responsabilità per l'ente, che rischierebbe in questo modo di incorrere nella gravosa sanzione pecuniaria nonché nelle eventuali sanzioni interdittive di cui al D.Lgs. n. 231/2001.

Evidente, dunque, come venga in questo modo fortemente disincentivata la resipiscenza del contribuente mediante il pagamento postumo all'erario dell'importo dovuto, ottenendosi così un effetto opposto rispetto ai desiderata del legislatore.

Orbene, alla luce delle considerazioni qui esposte, pare che, anche nell'ambito di questa riforma, il legislatore abbia perso una preziosa occasione per un intervento maggiormente coeso e coerente, soprattutto per quanto concerne la materia della responsabilità dell'ente da reato tributario.

(1) RUTA, La riforma dei reati tributari, una prima lettura, in www.questionegiustizia.it

a cura di Fabrizio Ventimiglia e Davide Zaninetta, Studio Legale Ventimiglia

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