Famiglia

Alla Consulta la questione sulla pensione di reversibilità anche ai nipoti interdetti

Con l'ordinanza interlocutoria 9377/2021, gli Ermellini hanno dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del Dpr 26 aprile 1957 n. 818, articolo 38 nella parte in cui non include, tra i soggetti ivi elencati, anche i maggiori orfani e interdetti dei quali risulti provata la vivenza a carico degli ascendenti

di Valeria Cianciolo


Con l'ordinanza interlocutoria dell'8 aprile 2021 n. 9377, gli Ermellini hanno dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale del Dpr 26 aprile 1957 n. 818, art. 38 (Norme di attuazione e di coordinamento della L. 4 aprile 1952, n. 118, sul riordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti), nella parte in cui non include, tra i soggetti ivi elencati, anche i maggiori orfani e interdetti dei quali risulti provata la vivenza a carico degli ascendenti, in relazione agli articoli 3 e 38 della Costituzione.

Il caso - La Corte d'appello partenopea rigettava la domanda volta a ottenere la pensione di reversibilità, proposta dal tutore di Tizia, nipote orfana, incapace di intendere e di volere, convivente con il nonno Caio e maggiorenne all'epoca del decesso di quest'ultimo.
Le motivazioni a sostegno del rigetto si fondavano sul fatto che il disposto del R.D.L. n. 636 del 1939, art. 13, modificato dalla L. n. 903 del 1965, che stabiliva la spettanza della pensione di reversibilità al coniuge e ai figli superstiti minorenni e inabili a carico del genitore al momento del decesso, era stato esteso, a seguito della declaratoria di incostituzionalità della norma (Corte Cost. sentenza n. 180 del 1999), anche ai nipoti conviventi con il nonno pensionato, senza distinguere tra nipoti abili o inabili, con l'unico limite della minore età.
La maggiore età di Tizia escludeva, pertanto, ad avviso della Corte di merito, il diritto alla pensione di reversibilità.
Proponeva ricorso per cassazione il tutore di Tizia, mentre resisteva l'INPS, con controricorso.
L'Ufficio della Procura generale, rassegnando conclusioni scritte, chiedeva la rimessione della questione alla Corte costituzionale.

Le questioni - Nella visione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità e la vecchiaia offerta dal R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, che l'ha per prima disciplinata, la pensione ai superstiti è considerata "una prestazione a tutela del rischio più grave che incombe sulla famiglia, cioè la morte, che troncando l'attività produttiva del capo-famiglia, ne pone in grave difficoltà di vita i membri che hanno più bisogno di tutela e di assistenza" (relazione di accompagnamento al R.D.L. n. 636/1939).
«Poiché la morte del lavoratore assicurato o del pensionato rappresenta per i familiari superstiti anche il venire meno della fonte di reddito sulla quale avevano fin a quel momento potuto fare affidamento, la legge considera la morte quale evento protetto, cioè quale evento generatore di bisogno socialmente rilevante, cui, dunque, provvedere con adeguate prestazioni» (CINELLI, Diritto della previdenza sociale, Torino, 1999, 496).
La pensione ai superstiti spetta, iure proprio, al coniuge e ai figli, compresi gli equiparati, nonché, in mancanza di coniuge e figli, ai genitori e, in mancanza anche di genitori, ai fratelli celibi e alle sorelle nubili. Per ogni categoria di superstiti il legislatore ha indicato condizioni specifiche valide per tutte le tipologie di prestazione (reversibilità, indiretta, supplementare di reversibilità e supplementare indiretta).

Può inoltre, conseguire la pensione ai superstiti:
a)il vedovo non invalido;
b)il coniuge superstite del pensionato che abbia contratto matrimonio dopo il compimento del settantaduesimo anno di età ed anche se il matrimonio sia durato meno di due anni (C. Cost., 2 maggio 1991, n. 189);
c)il coniuge separato per colpa o con addebito della separazione, a condizione che sussista in suo favore il diritto agli alimenti a carico del coniuge deceduto;
d)il coniuge divorziato, a condizione che l'ex coniuge deceduto non si sia risposato e che «ricorrano le seguenti condizioni: il coniuge divorziato superstite sia titolare di assegno di divorzio; il coniuge divorziato superstite non abbia contratto nuovo matrimonio; il rapporto assicurativo del coniuge deceduto, dal quale deriva il trattamento pensionistico, sia iniziato anteriormente alla data della sentenza che ha pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio»
e)il coniuge che si risposa perde il diritto, ma acquista quello alla liquidazione di un assegno una tantum pari a due annualità della pensione commisurate all'importo spettante alla data del nuovo matrimonio (e, quindi, a ventisei mensilità, poiché occorre considerare anche la tredicesima mensilità).

Oltre al coniuge superstite, la prestazione in esame spetta, in via contestuale al coniuge stesso:
1)ai figli, anche se postumi (purché nati entro trecento giorni dalla data del decesso del dante causa; art. 85, D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124) o coniugati, e ciò a prescindere dalla circostanza per cui il matrimonio sia intervenuto prima o dopo il decesso (C. Cost., 30 novembre 1979, n. 140; C. Cost., 17 giugno 1975, n. 164);
2)alle persone equiparate ai figli;
3)si considerano equiparati anche i figli naturali non riconoscibili, per il quale il deceduto era tenuto al mantenimento o agli alimenti a seguito di sentenza nei casi previsti dalla legge (art. 279 c.c.) o che, nella successione del genitore, hanno ottenuto il riconoscimento del diritto all'assegno vitalizio;
A tali categorie sono state nel tempo affiancate, in via giurisprudenziale, i nipoti minori, anche se non formalmente affidati, dei quali risulti provata la vivenza a carico degli ascendenti, nonché, ex lege, i soggetti uniti civilmente secondo la Legge Cirinnà (cfr. art. 1 commi 17 e 25 della L. 20 maggio 2016 n. 76).
4)ai nipoti, anche se non affidati, poiché la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 38, D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, nella parte in cui non includeva tra i soggetti ivi elencati anche i minori dei quali risultasse provata la vivenza a carico degli ascendenti (C. Cost., 20 maggio 1999, n. 180; sul punto v. circ. INPS 4 novembre 1999, n. 195.).

Per i figli e i nipoti, il diritto alla prestazione sussiste:
a) a prescindere dal fatto che fossero a carico del genitore o dell'ascendente al momento del decesso di questi, qualora si tratti di minori di anni diciotto;
b) se erano a carico del genitore o dell'ascendente, qualora si tratti di studenti di scuola media o professionale di età compresa tra i diciotto e i ventuno anni oppure di studenti universitari sino all'età di ventisei anni, ma a condizione che non prestino lavoro retribuito;
c) a prescindere dall'età, qualora si tratti di inabili, cioè di soggetti in condizione di permanente e assoluta impossibilità di dedicarsi a qualunque lavoro a causa di una grave infermità fisica o mentale: è considerato inabile anche il figlio che sia stato riconosciuto tale dopo la morte del genitore, ma prima del compimento del diciottesimo anno di età.

Per i figli e i nipoti ultradiciottenni, la prestazione è sospesa nel caso questi abbiano una attività lavorativa, autonoma o subordinata, fonte di un reddito continuativo sufficiente al loro sostentamento: è comunque irrilevante che il lavoro sia precario, saltuario e fonte di un reddito minimo.

In ogni caso, per i figli ed equiparati, la pensione cessa di essere erogata al compimento della maggiore età, al completamento degli studi medi o professionali (o al compimento dell'età di ventuno anni), al completamento degli studi universitari (o al compimento dell'età di ventisei anni) e, per gli inabili, in caso di perdita dello stato di inabilità.
Il requisito della vivenza a carico deve essere inteso «come non autosufficienza economica (e, cioè, come presenza di redditi propri inferiori al trattamento minimo di pensione, maggiorato del trenta per cento), secondo la disciplina degli assegni familiari» (PESSI, cit., 209), cui si deve aggiungere il regolare mantenimento da parte del defunto.
Si aggiunga poi che per il coniuge e per i figli minori, la "vivenza a carico" è presunta, mentre per tutti gli altri familiari, inclusi i figli maggiorenni studenti o riconosciuti inabili al lavoro, serve la prova che il defunto pensasse al loro sostentamento in maniera continuativa. Inoltre, assume particolare rilevanza la convivenza, vale a dire l'effettiva «comunione di tetto e di mensa». A ogni modo, la vivenza a carico sussiste anche se altri familiari contribuiscono al mantenimento del superstite. (Cfr. NUNIN, Pensione di reversibilità e vivenza a carico, in Fam. dir., 2008, 1, 18).

Dalle cose dette, è possibile constatare che l'individuazione dei soggetti beneficiari è stata ancorata dal legislatore a uno dato giuridico oggettivo, fondato sull'esistenza di un rapporto giuridicamente rilevante tra il lavoratore deceduto e il superstite tutelato. Emerge, per contro, l'irrilevanza della convivenza di fatto, considerata del tutto insufficiente a giustificare l'attribuzione patrimoniale ai superstiti.

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