Amministrativo

Ambiente: nei sistemi fognari misti assistiti da depuratore si applicano limiti Tab.3 all 5, Dlgs 152/06

Tribunale di Cagliari, Sezione Civile, sentenza n. 623 del 19/03/2019

di Amedeo Pisanti


Tribunale di Cagliari, Sezione Civile, sentenza n. 623 del 19/03/2019

Massima: Nel concetto di "acque urbane" sono pur sempre comprese -o, comunque, possono esserlo- le "acque industriali", se è vero che costituiscono "acque reflue urbane" -oltre alle "acque reflue domestiche" -il "miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali, ovvero meteoriche di dilavamento" a condizione che, in questo secondo caso, si tratti di acque "convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato"; in presenza, quindi, di un "sistema fognario misto", assistito da un impianto di depurazione, ove sicuramente le acque che convogliano nella rete provengono da un agglomerato, i limiti di emissione da rispettare sono quelli indicati alla tabella 3 dell'allegato 5 del d.lgs. 152/06.

Il caso posto all'esame del tribunale cagliaritano riguarda sanzioni amministrative comminate dalla locale Provincia al gestore di un impianto di trattamento di acque reflue per superamento dei valori limite di azoto nitrico ex tabella 3, all. 5, del d.lgs. n. 152/06.

Secondo l'opponente i suddetti limiti non sarebbero stati applicabili all'impianto in questione perché adibito al trattamento di acque reflue urbane, mentre i limiti violati riguarderebbero esclusivamente gli scarichi industriali.

Il giudice sardo ha ritenuto infondata la tesi difensiva del gestore dell'impianto, accogliendo la prospettazione della Provincia, della quale ha confermato il corretto operato, sul presupposto che nel caso di specie le acque trattate sono risultante essere, in assenza di opposta prova, anche di provenienza industriale.

La sentenza muove dal presupposto che ai fini dell'individuazione dei limiti di emissione applicabili viene in rilievo non il tipo di impianto di depurazione (se destinato al trattamento di acque reflue urbane o industriali), quanto la tipologia di acque reflue effettivamente scaricate. Ciò perché la qualificazione di un depuratore dipende dalla natura delle acque reflue ad esso convogliate e non viceversa.

Già la Corte di Cassazione con sentenza n. 3199 ha ribadito nel 2015 «il principio di diritto già affermato per il quale, in tema di inquinamento idrico, nella nozione di acque reflue industriali definita dal d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 74, comma 1, lett. h), (come modificato dal d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4) rientrano tutti i tipi di acque derivanti dallo svolgimento di attività produttive, in quanto detti reflui non attengono prevalentemente al metabolismo umano ed alle attività domestiche di cui alla nozione di acque reflue domestiche, come definite dall'art. 74, comma primo, lett. g),del citato decreto (Sez. 3", n. 12865 del 05/02/2009, Bonaffini, Rv. 243122)».

Infatti, la definizione normativa degli scarichi di acque reflue industriali, in conformità alla disciplina contenuta nell'art. 2 direttiva CEE 911271, discende da qualità espresse in senso negativo ossia dal fatto di essere diverse dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento e, a tale proposito, la Corte di Cassazione (cfr. sent. n. 4844/2012) ha precisato come sia configurabile il reato di cui al d.lgs. n. 42 del 2006, art. 137, comma 1, qualora lo scarico riguardi acque reflue industriali, definite dall'art. 74, lett. h), come qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o con materiali, anche inquinanti.

Pertanto, nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, cioè non collegati alla presenza umana, alla coabitazione ed alla convivenza di persone. Ciò comporta che «sono da considerare scarichi industriali, oltre ai reflui provenienti da attività di produzione industriale vera e propria, anche quelli provenienti da insediamenti ove si svolgono attività artigianali e di prestazioni di servizi, quando le caratteristiche qualitative degli stessi siano diverse da quelle delle acque domestiche» (cfr. Cass. sent. n. 3199/2015).

Sono dunque da considerare scarichi industriali: 1) i reflui provenienti da attività di produzione industriale vera e propria; 2) i reflui provenienti da insediamenti ove si svolgano attività artigianali e di prestazioni di servizi, quando le loro caratteristiche qualitative siano diverse da quelle delle acque domestiche.

Infatti, le acque reflue urbane non sono composte solo da acque domestiche alla luce della normativa applicabile al caso di specie: l'art. 74, comma 1, lett. i, del d.lgs. n. 152/2006 definisce le acque reflue urbane come «acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato».

Nella predetta definizione è insito il presupposto che le acque reflue contengano anche acque industriali. Quanto sopra trova conferma nel quarto capoverso del punto 1.1. acque reflue urbane dell'allegato 5, parte terza, del d.lgs. n. 152/2006, ove si prevede che «devono inoltre essere rispettati nel caso di fognature che convogliano anche scarichi di acque reflue industriali i valori limite di tabella 3 ovvero quelli stabiliti dalle Regioni».

A quanto sopra deve aggiungersi che l'impianto oggetto della sentenza in commento fu in origine autorizzato allo scarico di acque reflue urbane, che a differenza di quelle domestiche e di quelle industriali, non costituiscono una categoria omogenea come si è visto in precedenza, in quanto possono essere costituite:

a) da sole acque reflue domestiche, convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato;

b) oppure da un miscuglio di acque reflue domestiche e di acque industriali convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato;

c) oppure da un miscuglio di acque reflue domestiche e di acque meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato;

d) oppure da un miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali e di acque meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato (c.f.r. Bernardino Albertazzi - Scarichi e applicabilità del limite Escherichia Coli).

Basti pensare alle acque di prima pioggia, che sono quelle che, cadendo durante la fase iniziale di un evento meteorico, si presentano spesso cariche di inquinanti di varia natura ed origine dilavati dalla superficie delle aree scoperte. La composizione di tali acque, le rende particolarmente pericolose per l'ambiente e impone quindi che ad esse siano riservate adeguati sistemi di trattamento.

Al riguardo per altro l'art. 23 della Direttiva della Regione Sardegna sulla Disciplina degli scarichi prevede che le acque di prima pioggia e di lavaggio devono essere recapitate nelle acque superficiali, proprio nel rispetto dei valori di emissione della tabella 3 dell'allegato 5 alla parte terza del d.lgs. n. 152/2006.

È impensabile che in un agglomerato urbano, anche di modeste dimensioni, non sussistano attività commerciali, di produzione di beni e/o servizi dalle quali derivino acque reflue industriali.

Secondo quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione le acque reflue non collegate alla presenza umana, alla coabitazione e alla convivenza di persone rientrano sempre nelle acque reflue industriali: «La definizione di acque reflue domestiche, contenuta nell'art. 74, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 152 del 2006, quali acque provenienti da insediamenti di tipo residenziali e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche, è tale da non ricomprendere [ai sensi del successivo art. 101, comma 7, lett. e)] le acque reflue non aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche.

In particolare, la natura del refluo scaricato costituisce un criterio di discrimine tra la tutela punitiva di tipo amministrativo e quella strettamente penale: nel caso in cui lo scarico abusivo abbia ad oggetto acque reflue domestiche, potrà configurarsi l'illecito amministrativo ex d.lgs. n. 156 del 2006, art. 133, comma 2; mentre si avrà il reato di cui all'art. 137, comma 1, del richiamato decreto, qualora lo scarico riguardi acque reflue industriali definite dall'art. 74, lett. h), come qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici o istallazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali anche inquinanti» (cfr. Cass. Penale, sez. III, sent. 31 gennaio 2013, n. 4844).

Pertanto, nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, cioè non collegati alla presenza umana, alla coabitazione ed alla convivenza di persone, con la conseguenza che sono da considerare scarichi industriali, oltre ai reflui provenienti da attività di produzione industriale vera e propria, anche quelli provenienti da insediamenti ove si svolgono attività artigianali e di prestazioni di servizi, quando le caratteristiche qualitative degli stessi siano diverse da quelle delle acque domestiche, come nel caso delle acque reflue provenienti da laboratori diretti alla produzione di alimenti.

a cura dell'avv. Amedeo Pisanti, Amministrativista Cassazionista, Studio legale Pisanti

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