Ammesso il fallimento in proprio, non c’è lo scudo dell’improcedibilità
Il fallimento in proprio è sempre possibile. Anche all’epoca dell’emergenza sanitaria. Non va allora dichiarato improcedibile, come invece disposto in linea generale dal decreto legge 23, il ricorso presentato dall’imprenditore. E questo malgrado sia stato depositato il 9 marzo scorso e l’improcedibilità copra proprio il periodo dal 9 marzo al 31 luglio.
A stabilirlo è il tribunale di Piacenza con sentenza della Sezione fallimentare dell’8 maggio.
Innanzitutto, sottolinea la sentenza, il decreto legge, all’articolo 10, fa espresso riferimento ai ricorsi presentati sulla base degli articoli 15 e 195 della legge fallimentare e 3 del decreto legislativo 270/99, mentre manca un riferimento esplicito all’articolo 14 della legge fallimentare, norma che disciplina in modo specifico il ricorso per fallimento in proprio dell’imprenditore.
La relazione alla norma, in realtà, mette nero su bianco che il blocco delle dichiarazioni di fallimento deve essere applicato anche al caso del ricorso presentato direttamente dall’imprenditore.
Tuttavia, avverte la sentenza, anche se la relazione espone un’interpretazione diversa e dà per scontato che la norma si applica anche alla ipotesi di fallimento in proprio, «il Collegio non può esimersi dal ricordare come la voluntas legi non possa che rilevare in senso oggettivo e debba in ogni caso desumersi in primis dal tenore letterale della norma, restando l’”intenzione” puramente soggettiva dei singoli rappresentanti del potere legislativo del tutto irrilevante».
In ogni caso, prosegue la sentenza, anche ammettendo l’applicabilità della norma sull’improcedibilità al caso dell’“autofallimento”, comunque, i giudici ricordano come, se la disposizione intende “sollevare” l’imprenditore dall’onere indifferibile di chiedere il fallimento in proprio (anche in rapporto alla possibilità di accedere a soluzioni alternative alla crisi), questa esigenza non esiste più «qualora la situazione di insolvenza si sia già pienamente manifestata e divenuta irretrattabile in un momento antecedente all’attuale situazione emergenziale».
Nel caso approdato davanti ai giudici di Piacenza, la crisi era in realtà risalente nel tempo, non certo esplosa in queste settimane e non certo dovuta alle conseguenze da Covid-19.
Infatti, nell’interpretazione dei giudici, è valorizzata la lettura del verbale d’assemblea del 19 ottobre 2019, dal quale emerge chiaramente come l’insolvenza della società e l’impossibilità di una liquidazione in bonis fosse già evidente alla data di chiusura del bilancio di esercizio 2018.
Tanto più che la stessa società all’udienza del 20 aprile scorso aveva insistito per la dichiarazione di fallimento, così rendendo assolutamente chiaro il proprio disinteresse rispetto agli effetti protettivi introdotti dal decreto legge 23/20.
Per quanto riguarda l’accertamento dell’insolvenza, al 31 dicembre 2018 risultava un patrimonio netto negativo di 1.496.822,93 euro e un’esposizione debitoria complessiva sia pari a 1.822.453,57 euro.
La società è in liquidazione e non vi sono quindi prospettive di continuità idonee a riequilibrare il rapporto tra attività e passività.
Elementi che portano a escludere un fenomeno di solo occasionale inadempienza e invece hanno fatto propendere i giudici per uno stato di definitiva incapacità dell’impresa a fare fronte regolarmente alle proprie obbligazioni.