Amministrazione di sostegno, niente nozze per l’assistito in coma
Il giudice tutelare non può autorizzare l’amministratore di sostegno a dichiarare, in nome e per conto del beneficiario in coma, la volontà di quest’ultimo di contrarre matrimonio. E ciò neanche se il beneficiario dell’amministrazione e la compagna convivono da anni, e il primo aveva manifestato la propria intenzione di sposarsi. È quanto emerge da un decreto del giudice tutelare della Spezia (Maurizio Drigani) dello scorso 4 marzo.
Nel provvedimento in esame, il magistrato ligure osserva che il divieto di contrarre matrimonio, previsto dall’articolo 85 del Codice civile per l’interdetto per infermità di mente, non si applica automaticamente al beneficiario dell’amministrazione di sostegno. Infatti, l’articolo 411 dello stesso Codice dispone che i provvedimenti previsti dalla legge per l’interdetto possano essere adottati nei confronti del beneficiario solo se ciò risponda «all’interesse del medesimo».
Il “no” alle nozze
Il divieto di nozze si può quindi giustificare unicamente in presenza di circostanze di eccezionale gravità; come, ad esempio, in caso di «totale incapacità di intendere e volere del soggetto» beneficiario dell’amministrazione, ma anche quando l’interessato «non sia in grado - prosegue il decreto - di comprendere e soppesare adeguatamente le conseguenze della scelta».
Infatti, il matrimonio è l’atto «in cui la libertà (intesa anche quale forma di autoresponsabilità) è maggiormente tutelata e presidiata, attenendo ai diritti intrinseci ed essenziali della persona umana e alle sue fondamentali istanze». Tant’è che le norme in materia di celebrazione del matrimonio richiedono che il mutuo consenso sia espresso dagli sposi e quindi ricevuto dall’ufficiale dello stato civile con determinate forme solenni previste dalla legge, da cui, «indipendentemente dall’interno proposito dei nubendi, seguono gli effetti giuridici propri del matrimonio civile»; con la conseguenza che la mancanza dei requisiti formali della celebrazione e dell’accordo degli sposi è causa di inesistenza del matrimonio.
Il consenso a contrarre matrimonio deve dunque essere «libero, pieno, effettivo e consapevole», e quindi può essere espresso solo da un soggetto in grado di autodeterminarsi in quanto cosciente.
La controversia
Nel caso in esame, il beneficiario viveva da cinque anni con la compagna e più volte aveva affermato il proposito di sposarla. Tuttavia l’uomo, alla data in cui i suoi parenti avevano presentato il ricorso esaminato dal giudice ligure, era in coma a seguito di emorragia cerebrale, e dunque si trovava in uno stato di incoscienza e di incapacità di manifestare il consenso. Peraltro, il beneficiario e la compagna non avevano mai chiesto le pubblicazioni matrimoniali né avevano programmato alcuna delle attività tipiche di un matrimonio, come la scelta della data e del luogo di cerimonia e ricevimento.
Situazione, questa, che non permette - così conclude il tribunale - di attribuire all’amministratore di sostegno il potere di dichiarare la volontà di contrarre matrimonio in nome e per conto del beneficiario dell’amministrazione.
Così il giudice ha respinto il ricorso.
Tribunale della Spezia, decreto del 4 marzo 2020