Casi pratici

Appalto genuino e interposizione illecita di manodopera: le disposizioni del committente rilevano solo se integrano un effettivo potere direttivo

I connotati essenziali del contratto di appalto

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di Paolo Patrizio

Le sempre più imperanti esigenze produttive, le costanti innovazioni tecnologiche e le ottimizzazioni organizzative connesse al miglior posizionamento sul mercato ed alla iper settorializzazione e specializzazione commerciale, hanno consentito, negli anni, il superamento del sistema c.d. "fordista" di gestione aziendale, per approdare ad un uso generalizzato dei processi di esternalizzazione di attività e servizi, grazie all'utilizzo di una serie di strumenti contrattuali, tra i quali una posizione di relativa predominanza è rivestita proprio dalla figura dell'appalto.
Con il presente contributo di approfondimento, si tenterà di offrire una panoramica di sintesi sulla figura dell'appalto genuino nell'ambito dei rapporti tra privati, al fine di individuarne il relativo perimetro di legittimità e le conseguenze sanzionatorie connesse al suo eventuale "sconfinamento", e ciò anche alla luce degli ultimi sviluppi pretori, nonché delle indicazioni fornite sul punto dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali.

I connotati essenziali del contratto di appalto
La nozione civilistica dell'istituto in menzione la si rinviene nell'art. 1655 c.c., che qualifica l'appalto come "il contratto con cui una parte (appaltatore) assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro".
Tale definizione codicistica, dunque, evidenzia ex sé ed in via immediata gli elementi caratteristici e connotativi di siffatta tipologia negoziale, individuandoli in: a) qualifica soggettiva dell'appaltatore; b) organizzazione di mezzi necessari; c) gestione a rischio dell'appaltatore; d) compimento di un'opera o di un servizio.
Sarà, pertanto, opportuno tratteggiare brevemente i tratti salienti di tale quadripartizione, così da fornire una prima panoramica di massima sui contenuti costituitivi della fattispecie in esame.
a) La figura dell'appaltatore: il primo dato da prendere in esame riguarda la figura dell'appaltatore, oggetto di diversificato approccio ermeneutico. Se per alcuni, invero, la qualifica formale di imprenditore non costituisce un indice indispensabile per la genuinità dell'appalto, rilevando in proposito esclusivamente l'organizzazione di tipo imprenditoriale che lo stesso deve possedere, il Ministero del Lavoro, nell'ambito della circolare n. 5/2011, ha invece richiamato quali indici di genuinità dell'appalto una serie di elementi di carattere formale (quali, in particolare, l'iscrizione nel registro delle imprese, con particolare riguardo alla data, all'oggetto sociale, nonché al capitale sociale; la corretta tenuta del libro giornale, del libro degli inventari e del Libro Unico del lavoro per la scritturazione afferenti alla data di assunzione, nonché alle qualifiche e mansioni dei lavoratori impiegati nell'appalto; il Documento unico di regolarità amministrativa, c.d. D.U.R.C).
b) L'organizzazione dei mezzi: Il secondo elemento connotativo del contratto di appalto riguarda, invece, l'organizzazione dei mezzi necessari alla realizzazione dell'opera o del servizio appaltati. Come accennato nella risposta in sintesi illustrata in premessa, invero, l'evoluzione naturale dei processi di esternalizzazione ha determinato, negli anni, il superamento di una concezione prettamente "materialistica" del presupposto dell'organizzazione dei mezzi aziendali (in base al quale l'appaltatore doveva disporre di una propria organizzazione materiale dell'impresa al fine di realizzare l'opera o il servizio ex art. 1658 c.c., comprendente macchinari, strumenti e capitale, in maniera adeguata rispetto all'opera o al servizio da realizzare) per approdare ad una visione "immateriale" dell'organizzazione, intesa come il coordinamento della forza lavoro e del know how aziendale, quale espressione del concreto esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto. L'appalto può, quindi, ritenersi lecito, anche quando non sia necessario l'utilizzo di macchinari o attrezzature per lo svolgimento dell'attività appaltata, essendo sufficiente l'organizzazione e la direzione del personale da parte dell'appaltatore purché quest'ultimo, in ogni caso, si assuma il correlativo rischio d'impresa. Si pensi al caso degli appalti c.d. labour intensive, nell'ambito dei quali, per ragioni diverse, la componente del lavoro - manuale o intellettuale - riveste un ruolo così assorbente che le attrezzature o i macchinari (eventualmente adoperati) diventano assolutamente marginali rispetto al compimento del servizio (ad esempio, i servizi di c.d. software-house, in cui è l'apporto di capacità e competenze a caratterizzare il servizio; ovvero i servizi di pulizia o di facchinaggio, incentrati sull'apporto prevalente della manodopera).
In relazione a queste fattispecie, la dottrina e la giurisprudenza sono ormai pressoché unanimi nel ritenere che l'organizzazione "genuina" del servizio non sia data dalla disponibilità delle attrezzature o dai macchinari o dai capitali utilizzati, ma dalla sussistenza o meno in capo all'appaltatore di un quid pluris rispetto al valore intrinseco delle prestazioni fornite dai singoli lavoratori impiegati (tra le altre, Cass. civile, Sez. lavoro, 23 novembre 2009, n. 24625). Nel caso di servizi di natura intellettuale, per esempio, sarà rilevante (e assorbente) il fattore "know-how" e la capacità dell'appaltatore di scegliere personale qualificato, coordinare e organizzare i suddetti servizi apportando la propria esperienza specifica nel settore; mentre nel caso dei servizi di natura manuale/fisica, sarà indispensabile la sussistenza di effettivi poteri datoriali, non limitati all'aspetto amministrativo della gestione del personale (ad esempio nella fase dell'assunzione, del pagamento delle buste paga, delle ferie e di tutti quegli aspetti prettamente amministrativi del rapporto di lavoro), ma consistenti nell'effettiva organizzazione, controllo, coordinamento e gestione disciplinare dei lavoratori, il tutto in piena autonomia, rispetto al committente.
Resta fermo che, nel caso in cui per la realizzazione di una determinata opera ovvero l'espletamento di un determinato servizio risulti indispensabile l'utilizzo di attrezzature o macchinari specifici, l'appaltatore dovrà avere la disponibilità (giuridica oltre che materiale) dei suddetti beni, da organizzare e gestire in autonomia e sotto la propria responsabilità in vista della realizzazione dell'opera o del servizio oggetto del contratto di appalto (per esempio, provvedendo al controllo dei macchinari, in termini di sicurezza, alla loro manutenzione e alla sopportazione dei relativi costi per renderli idonei all'uso).
c) Il rischio d'impresa rappresenta il terzo connotato essenziale dell'appalto genuino e deve essere inteso nella sua dimensione e valenza di rischio economico e non come rischio tecnico-giuridico, nell'accezione di caso fortuito. Il rischio d'impresa, infatti, è strettamente collegato al risultato da raggiungere e consiste nell'impossibilità di stabilire previamente ed esattamente l'alea natura economica connessa all'espletamento dell'appalto.
Esempi tipici di rischio di impresa sono, per esempio, (i) la sopravvenuta maggiorazione dei costi delle materie prime ovvero della manodopera ovvero dei macchinari, con la conseguenza che, per tali ipotesi, il rischio del mancato guadagno ovvero di perdita incomberà solo ed esclusivamente sull'appaltatore; (ii) il mancato raggiungimento del risultato, in termini di mancato o inesatto compimento dell'opera o del servizio, al quale non potrà che conseguire la mancata o ridotta corresponsione del corrispettivo pattuito ovvero l'applicazione di penali per il ritardo o per l'inesatta esecuzione.
In tale ottica, pertanto, la verifica della sussistenza o meno del rischio d'impresa non potrà essere limitata alla verifica di indici prettamente formali (racchiusi e confezionabili ad hoc in sede contrattuale), ma dovrà essere estesa alla valutazione documentale e fattuale dei rapporti intercorsi tra le parti, al fine di individuare eventuali accordi o prassi tesi a ridurne o ad eliminarne in radice la portata (come ad esempio l'esistenza di scritture private nell'ambito delle quali le parti si danno reciprocamente atto che i parametri di determinazione del corrispettivo sono in realtà basati sulle ore effettive di lavoro ecc.).
Con nota del 29 novembre 2007 n. 15749, in tema di appalto di servizi infermieristici, il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha chiarito che la gestione a proprio rischio "va oltre il mero significato economico relativo alle prospettive di convenienza dell'affare, acquisendo l'espressione di un valore giuridico preciso nel senso che l'assunzione del rischio nell'esecuzione del rapporto contrattuale è a carico delle parti per quello che ciascuna vi impegna direttamente. Nel caso dell'appaltatore, dunque, egli assume su di sé il rischio della gestione dell'intera attività lavorativa complessivamente valutata".
d) Compimento di un'opera o di un servizio. L'appalto ha per oggetto un «fare», giacché l'appaltatore fornisce al committente un'opera o un servizio, da realizzare tramite la propria organizzazione di uomini e mezzi, assumendosi il rischio d'impresa. Si tratta, dunque, di una obbligazione di risultato che può avere ad oggetto un'opera (ovvero la realizzazione di un bene, anche intesa come la trasformazione o la lavorazione di materiali che comportino il mutamento di cose preesistenti) ovvero un servizio (utilizzando idee, conoscenze e competenze per la fornitura di una qualunque utilità per l'appaltante).
Tale connotazione distingue in nuce l'appalto dalla somministrazione di lavoro, che è invece una obbligazione di mezzi, che ha per oggetto un «dare», in quanto il somministratore si limita a fornire a un terzo forza-lavoro da lui assunta, affinché questi ne utilizzi la prestazione secondo le proprie necessità, adattandole al proprio sistema organizzativo.
Ciò comporta come, tutte le volte in cui l'appaltatore non risulti un vero e proprio imprenditore che, organizzando la propria struttura produttiva ed assumendosi i rischi, realizza l'opera o il servizio pattuito, l'appalto finirà col non essere genuino, mascherando una interposizione illecita di manodopera, in quanto il pseudo-appaltatore si limiterà di fatto a mettere a disposizione del pseudo-committente le mere prestazioni lavorative dei propri dipendenti, così frustrando la natura e la finalità dello strumento principe del facere, previsto dall'ordinamento nostrano.
Indici di "non genuinità" dell'appalto
Nell'opera esemplificativa dei menzionati connotati essenziali dell'appalto genuino, dottrina e giurisprudenza hanno, pertanto, negli anni, individuato alcuni indici di (non) genuinità dell'appalto, di seguito raggruppati, in via di sintesi, sulla base della quadripartizione richiamata in apertura di capitolo.
Ebbene:
a) con riferimento alla qualifica dell'appaltatore (ovvero alla sua organizzazione di tipo imprenditoriale), sono stati ad esempio ritenuti indici di non genuinità dell'appalto: la mancanza di competenze ed esperienze specifiche dell'appaltatore con riferimento ai servizi o all'opera oggetto di appalto; ovvero la mono committenza dell'appaltatore; ovvero ancora l'esiguità della struttura organizzativa e/o del capitale sociale rispetto alla natura dell'opera o del servizio da espletare;
b) in relazione all'insussistenza nel caso concreto dell'organizzazione dei mezzi necessari, sono stati ritenuti indici significativi: il personale dell'appaltatore privo di specifiche competenze e/o esperienze con riferimento alle caratteristiche dell'opera o del servizio da prestare; ovvero la commistione e sovrapposizione, in termini logistici e di turni di lavoro, tra lavoratori del committente e lavoratori dell'appaltatore; ovvero ancora l'ingerenza del committente nell'organizzazione e gestione delle attività espletate dai lavoratori dell'appaltatore, al di là dei poteri di verifica e controllo allo stesso spettanti per legge; piuttosto che l'identità di mansioni e qualifiche dei dipendenti del committenti rispetto ai dipendenti dell'appaltatore; così come l'impiego di capitali, macchine e attrezzature fornite dal committente, nei casi in cui - per la natura dell'opera o del servizio da eseguire - tali beni risultino essenziali; ovvero la mancanza di effettivo esercizio dei poteri datoriali da parte dell'appaltatore (in termini di coordinamento, organizzazione, sanzioni disciplinari ecc.), limitati alla mera predisposizione di turni di lavoro e/o alla gestione amministrativa delle retribuzioni; l'estraneità delle prestazioni oggetto di appalto rispetto alle attività tipiche (o all'oggetto sociale) dell'appaltatore, afferendo a mansioni tipiche dei dipendenti del committente; il carattere non contingente delle prestazioni oggetto di appalto; - durata indeterminata dell'appalto;
c) è stato, invece, ritenuto assente il rischio di impresa, nel caso di: determinazione del corrispettivo sulla base di un calcolo matematico delle ore ovvero del numero di dipendenti utilizzati per eseguire l'opera o il servizio, in luogo di un corrispettivo a forfait per l'opera realizzata o il servizio prestato; piuttosto che l'assenza di penali ovvero di altri meccanismi contrattuali volti a privare l'appaltatore del corrispettivo pattuito in caso di mancato o inesatto raggiungimento del risultato.
Il sistema di tutele per il lavoratore
Il nostro ordinamento prevede un sistema di tutela dei diritti dei lavoratori subordinati impiegati in ipotesi di appalto non genuino, articolando una serie di azioni a carattere intersettoriale e multilivello, in grado di consentire l'individuazione di responsabilità a carattere giuslavoristico, retributivo, contributivo, risarcitorio, penale ed amministrativo di evidente rilievo e deterrenza.
Procedendo nell'ordine de quo, va pertanto rilevata:
a) L'imputazione del rapporto di lavoro.
Sotto il profilo giuslavoristico, quando il contratto di appalto viene stipulato in violazione delle disposizioni e dei presupposti di cui all'art. 29 del D.lgs. 276/2003, il lavoratore interessato e impiegato nell'appalto, può adire l'Autorità Giudiziaria per chiedere il riconoscimento e la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del committente. L'articolo 29, comma 3-bis del decreto legislativo 276/2003, infatti, prevede che: "quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell'articolo 414 del Codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo. In tale ipotesi si applica il disposto dell'articolo 27, comma 2 [da leggersi come art. 38 comma 3 del decreto legislativo 81/2015, n.d.r.]".
b) La responsabilità solidale.
Il nostro ordinamento dispone poi (ed in ogni caso) la responsabilità solidale tra appaltatore e appaltante, per le ipotesi di violazione dei diritti di natura retributiva e contributiva dei lavoratori subordinati impiegati nell'appalto. Tale "cordone di sicurezza" sotto il profilo economico viene attivato mediante il combinato disposto di più previsioni, di natura codicistica e legislativa, destinate ad operare su piani differenti, ma spesso intersecanti.
Viene così in rilievo, innanzitutto, il disposto dell'art. 1676 c.c., per il quale "i dipendenti dell'appaltatore hanno diritto di proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino a concorrenza del debito che il committente ha verso l'appaltatore al tempo della domanda". La norma sancisce, dunque, una prima responsabilità civilistica di matrice solidale tra committente e appaltatore, disponendo nondimeno il tetto massimo di tale estensione operativa, che risulta di fatto ancorato all'ammontare ed alla sussistenza del debito del committente verso l'appaltatore al momento della proposizione dell'azione da parte del lavoratore.
A tale diposizione si affianca, in via estensiva, il disposto dell'art. 29, comma 2, del D.lgs. 276/2003, per cui "il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascun eventuale subappaltatore, entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, ivi incluse le quote di TFR, i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde il solo responsabile dell'inadempimento…….", evidenziando al riguardo come la Corte costituzionale abbia precisato che "la ratio dell'introduzione della responsabilità solidale del committente – che è quella di evitare il rischio che i meccanismi di decentramento, e di dissociazione fra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione, vadano a danno dei lavoratori utilizzati nell'esecuzione del contratto commerciale – non giustifica una esclusione (che si porrebbe, altrimenti, in contrasto con il precetto dell'art. 3 Cost.) della predisposta garanzia nei confronti dei dipendenti del subfornitore, atteso che la tutela del soggetto che assicura una attività lavorativa indiretta non può non estendersi a tutti i livelli del decentramento" .
Viene in rilievo infine il portato dell'articolo 26 comma 4 del decreto legislativo 81/2008, che prevede come: "ferme restando le disposizioni di legge vigenti in materia di responsabilità solidale per il mancato pagamento delle retribuzioni e dei contributi previdenziali e assicurativi, l'imprenditore committente risponde in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall'appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) o dell'Istituto di previdenza per il settore marittimo (IPSEMA). Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici".
c) La responsabilità penale e le sanzioni amministrative
La legge 199/2016, nel riscrivere l'art. 603-bis del Codice penale, ha disciplinato il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, stabilendo che "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque: 1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori; 2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l'attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno. Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato. Ai fini del presente articolo, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni: 1) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; 2) la reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie; 3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; 4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti. Costituiscono aggravante specifica e comportano l'aumento della pena da un terzo alla metà: 1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre; 2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa; 3) l'aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.".
La portata ampia della norma porta a ritenere una possibile applicazione della stessa anche nei casi di appalto non genuino, ricorrendone le previsioni descritte.
Il D.L. n. 87 del 2018, convertito in L. n. 96 del 2018, ha poi reintrodotto nel nostro ordinamento il reato di somministrazione fraudolenta, abrogata, per periodo limitato, ad opera del D.lgs. n. 81 del 2015. La novella legislativa, dispone infatti come "Ferme restando le sanzioni di cui all'articolo 18 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, quando la somministrazione di lavoro è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore, il somministratore e l'utilizzatore sono puniti con la pena dell'ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione". Quello di somministrazione fraudolenta è un reato plurisoggettivo proprio, in cui le due parti del contratto commerciale di somministrazione di lavoro rispondono penalmente di una specifica condotta, volutamente posta al di fuori degli schemi tipici di liceità, per eludere l'applicazione di norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore. In merito alle fattispecie, l'utilizzo di un appalto illecito posto in essere in assenza delle condizioni legali per la sua relativa configurazione, potrà allora integrare l'ipotesi di somministrazione fraudolenta quando il committente consegua risparmi effettivi sul costo del personale derivante dall'applicazione del Ccnl dell'appaltatore (in quanto per determinare la finalità fraudolenta potrà rilevare l'impossibilità di sostenere il costo del personale mediante l'applicazione del proprio contratto collettivo). La somministrazione fraudolenta, inoltre, può configurarsi anche attraverso il coinvolgimento di un'agenzia per il lavoro autorizzata o nell'ambito dei distacchi di personale: ad esempio, quando un'azienda licenzia un proprio dipendente per riutilizzarlo tramite un'agenzia per il lavoro al fine di ottenere consistenti vantaggi retributivi e contributivi. Ulteriore specifica finalità fraudolenta si ravvisa quando un datore di lavoro utilizza, mediante contratto di somministrazione a termine, nei periodi di stop and go tra un contratto a termine e un altro, i medesimi individui già assunti direttamente a tempo determinato. La somministrazione fraudolenta potrà realizzarsi pure nell'ambito dei distacchi transnazionali "non genuini", e cioè quando sia distaccato personale dall'estero al fine di aggirare le condizioni di lavoro previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva italiana, con la precisazione che, in tali ipotesi, sarà doveroso accertare in concreto la violazione delle condizioni di lavoro e di occupazione previste dalla legge nazionale.
Da un punto di vista sanzionatorio, le recenti modifiche normative confermano l'apparato di cui all'art. 18, D.lgs. n. 276/2003, senza distinzione tra le ipotesi di natura meramente penale e amministrativa. Dunque, nei casi di appalto privo dei requisiti di cui all'art. 29, co 1, del d. lgs. n. 276/2003, sotto il profilo sanzionatorio, l'utilizzatore e il somministratore sono puniti con la pena della ammenda per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di irregolare occupazione. Qualora vi sia sfruttamento di minori, la pena è dell'arresto fino a diciotto mesi e l'ammenda è aumentata fino al sestuplo.
A ciò si aggiunga che l'Ispettorato del Lavoro sarà tenuto a adottare, nei confronti degli autori del reato una prescrizione obbligatoria con cui, oltre ad ordinare l'immediata cessazione della condotta illecita, intimerà all'utilizzatore l'assunzione dei lavoratori impiegati.
Certificazione del contratto di appalto "genuino"
Alla luce di quanto sopra, emerge che, il confine tra appalto lecito e illecito è strettamente connesso alle risultanze di un'indagine fattuale (oltre che documentale) effettuata caso per caso. In tale contesto, è lo stesso Legislatore del 2003 ad aver introdotto (artt. 75 e 84 del D.lgs. n. 276/2003) l'istituto della certificazione al fine di ridurre i rischi di contenzioso connessi a tale difficoltà di perimetrazione. Le linee guida per la certificazione sono state tracciate dal Ministero del Lavoro nell'ambito della circolare n. 48/2004. A norma della suddetta circolare ministeriale, occorre in via preliminare esaminare puntualmente i principali elementi del contratto, ivi espressamente elencati, e cioè «attività appaltata, durata presumibile del contratto, dettagli in ordine all'apporto dell'appaltatore e in particolare circa l'organizzazione dei mezzi necessari per la realizzazione dell'opera o del servizio dedotto in contratto»; in secondo luogo, viene richiesto alle Commissioni di certificazione di valutare la tipologia e la qualità dell'effettivo apporto dell'appaltatore, distinguendo a tale fine due macro-fattispecie: a) la fattispecie dei contratti d'appalto concernenti "lavori specialistici" c.d. labour intensive, nell'ambito dei quali le competenze e il know how dei singoli lavoratori risulta assorbente rispetto all'utilizzo di attrezzature o beni strumentali; b) la fattispecie degli appalti con caratteristiche sostanziali (e formali) di mono committenza.
Sull'argomento è peraltro intervenuto nuovamente il Ministero del Lavoro con la circolare ministeriale n. 5/2011 sottolineando l'opportunità di utilizzare detto strumento "qualificatorio", anche in considerazione del fatto che: a) ai sensi della macro direttiva del Ministro del Lavoro del 18 settembre 2008 viene previsto che l'attività investigativa debba concentrarsi sui contratti che non sono stati oggetto di certificazione; b) l'efficacia della certificazione risulterà tanto più evidente quanto più l'indagine dell'organo certificatore si orienterà verso una disamina non soltanto su base documentale ma anche mediante dichiarazioni pubblicamente rese e acquisite dalle parti contraenti in sede di audizione personale nel corso dell'iter di certificazione; c) la certificazione del contratto ha efficacia nei confronti delle parti e dei terzi, intendendosi per tali anche gli uffici ispettivi.
Peraltro, risulta doveroso sottolineare che l'efficacia della certificazione non ha natura definitiva, in quanto può essere messa in discussione per le vie giudiziali, mediante apposita impugnazione effettuata dalle parti o dai terzi nella cui sfera giuridica l'atto è destinato a produrre effetti (art. 80 D.Lgs. n. 276/2003). Per quanto riguarda la decorrenza dell'efficacia, la legge n. 183/2010 (art. 31, comma 7), innovando rispetto all'art. 79 del D.Lgs. n. 276/2003, ("Efficacia giuridica della certificazione") ha previsto che nel caso di contratti già in corso di esecuzione, gli effetti della certificazione del contratto di appalto, retroagiscono al momento dell'inizio del contratto, ove sia stata riscontrata la genuinità dell'appalto anche con riferimento a tale periodo; mentre nel caso di contratti non ancora sottoscritti gli effetti della certificazione si produrranno soltanto ove e nel momento in cui il contratto sia perfezionato, con le eventuali integrazioni e modifiche suggerite dalla commissione adita.
Considerazioni conclusive
Vivere nel nostro tempo significa saper adattare le esigenze di risposta e gestione realizzativa rispetto alle mutevoli e repentine richieste che ci pervengono con continuità da un mercato pressoché onnivoro.
La competitività ed i nuovi modelli di organizzazione aziendale e retale ci impongono il ricorso alla necessaria esternalizzazione di attività e servizi, così da realizzare una dissociazione strategica tra iniziative non appartenenti al core business e/o alle capacità del singolo utilizzatore.
In questo contesto di diversificazione operativa e di risultati pretesi emerge, dunque, tutta l'importanza del contratto di appalto, quale strumento principe dell'affidamento realizzativo di opere e servizi nei confronti di soggetti terzi.
Nel nostro ordinamento vige il divieto di dare in appalto l'esecuzione di mere prestazioni di lavoro, in ossequio al principio generale per cui il datore di lavoro va identificato nel soggetto che dirige la prestazione e la controlla, e nel cui interesse viene effettuato il lavoro. È consentito, invece, affidare in appalto, anche all'interno di un'azienda, opere o servizi, ai sensi dell'art. 1655 e ss. c.c., tutte le volte in cui sussista da parte dell'appaltatore una propria organizzazione produttiva che può anche risultare, avuto riguardo alle esigenze del servizio appaltato, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori impiegati nell'appalto, nonché l'assunzione del rischio d'impresa connessa all'esecuzione dell'opera o del servizio pattuito.
Ma se i connotati essenziali dell'appalto sono codificati, a livello statico, da una serie di disposizioni di matrice codicistica e legislativa, partendo dall'art. 1655 c.c. e dall'art. 29 del D.lgs. n. 276/2003 (come modificato negli anni), il loro contenuto specifico varia nel tempo, funzionalmente all'evoluzione del mercato e delle sue esigenze, dipanandosi nella dicotomia crescita economica (da un lato) e tutela dei lavoratori (dall'altro).
In tale quadro operativo, pertanto, emerge tutta la natura dinamica della fattispecie contrattuale in menzione, progressivamente plasmata sulla realtà socioeconomica nell'ambito della quale viene utilizzata ed in cui l'accertamento della legittimità dell'appalto presuppone e richiede che si tenga conto delle modalità di svolgimento del rapporto lavorativo e che vi sia una effettiva indagine circa l'inesistenza di elementi denotanti la sussistenza di un rapporto di subordinazione diretta con il committente, ipotesi ricorrente anche quando l'appaltatore è dotato di una vera e propria organizzazione d'impresa, ma si limita, in concreto, a fornire solo la manodopera, non assumendo alcun rischio economico in merito alla realizzazione del servizio dedotto in contratto.
Ed allora è possibile sostenere come i connotati essenziali dell'appalto lecito, in realtà, si sostanzino in indici di serietà e affidabilità dell'appaltatore, quale garanzia (almeno in astratto) del rispetto del lavoratore e del relativo patrimonio di tutele economiche e normative, la cui violazione comporta una dura reazione da parte dell'ordinamento, con esposizione delle parti contrattuali ad una serie rischi rilevanti, anche di matrice penale, stante il sistema di tutele articolato per l'ipotesi di appalto non genuino, mediante una serie di azioni a carattere intersettoriale e multilivello, in grado di consentire l'individuazione di responsabilità a carattere giuslavoristico, retributivo, contributivo, risarcitorio, penale ed amministrativo di evidente rilievo e deterrenza.

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