Famiglia

Assegno divorzile e convivenza, rinvio alla pubblica udienza in attesa della decisione delle Sezioni unite

Da verificare se il presupposto dell'effettiva sussistenza di una relazione sentimentale stabile, debba essere accertato in modo rigoroso

di Valeria Cianciolo

La Cassazione torna sul tema della compatibilità tra assegno divorzie e nuova convivenza. Con l''ordinanza n. 9273/2021 ha ritenuto che le censure poste nel ricorso principale risultano essere attinenti alla questione posta con l'ordinanza interlocutoria n. 18995 del 2020 che ha sollecitato l'intervento delle Sezioni Unite per stabilire se, instaurata la convivenza di fatto, definita all'esito di un accertamento pieno su stabilità e durata della nuova formazione sociale, il diritto dell'ex coniuge, sperequato nella posizione economica, all'assegno divorzile si estingua comunque per un meccanismo ispirato ad automatismo, nella parte in cui prescinde di vagliare le finalità proprie dell'assegno, o se siano invece praticabili altre scelte interpretative che, guidate dalla obiettiva valorizzazione del contributo dato dall'avente diritto al patrimonio della famiglia e dell'altro coniuge, sostengano la perdurante affermazione dell'assegno divorzile, negli effetti compensativi suoi propri, anche, se del caso, per una modulazione da individuarsi, nel diverso contesto sociale di riferimento.

Il caso
La Corte d'Appello felsinea ha respinto la domanda di Tizia sul riconoscimento dell'assegno divorzile, dando rilievo allo stabile legame, con carattere di continuità, che la donna aveva intrapreso con altro uomo, indice di un progetto comune di vita, pur in assenza di convivenza di fatto tra i medesimi.
La Cassazione con l'ordinanza interlocutoria 7 aprile 2021 n. 9273 ha ritenuto necessario vagliare se, laddove si voglia aderire all'orientamento già espresso dalla sentenza n. 6855/2015, secondo cui "l'instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorchè di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell'assegno divorzile a carico dell'altro coniuge, sicchè il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso", il presupposto dell'effettiva sussistenza di una relazione sentimentale stabile, debba essere accertato in modo rigoroso e possa rinvenirsi anche in assenza di convivenza tra l'ex coniuge ed il terzo.
Gli Ermellini ricordano poi che le censure del ricorso principale risultano essere oggetto di esame dall'ordinanza interlocutoria n. 28995/2020, con la quale si è sollecitato l'intervento delle Sezioni Unite al fine di stabilire se, "instaurata la convivenza di fatto, definita all'esito di un accertamento pieno su stabilità e durata della nuova formazione sociale, il diritto dell'ex coniuge, sperequato nella posizione economica, all'assegno divorziale si estingua comunque per un meccanismo ispirato ad automatismo, nella parte in cui prescinde di vagliare le finalità proprie dell'assegno, o se siano invece praticabili altre scelte interpretative che, guidate dalla obiettiva valorizzazione del contributo dato dall'avente diritto al patrimonio della famiglia e dell'altro coniuge, sostengano dell'assegno divorzile, negli effetti compensativi suoi propri, la perdurante affermazione, anche, se del caso, per una modulazione da individuarsi, nel diverso contesto sociale di riferimento."

Le questioni
La legge sul divorzio prevede che il diritto all'assegno venga meno se l'ex coniuge beneficiario contragga nuove nozze (articolo 5, comma 10, L. div.). Nulla è previsto, invece, nel caso che l'ex coniuge, in luogo del matrimonio, stabilisca una convivenza more uxorio. In tale circostanza, si pone il problema di stabilire se, ed in che modo, una tale convivenza instaurata dal coniuge beneficiario ricada sul diritto all'assegno di divorzio.
Fino al 2011 la Cassazione ha manifestato un orientamento tendente per lo più a contenere l'incidenza, sul contributo al mantenimento, dell'instaurazione di una convivenza more uxorio da parte del coniuge "debole" nei giudizi di divorzio (Cass. civ., 22 gennaio 2010, n. 1096, in Fam. pers. succ., 2010, 11, 754; Cass. civ., 9 febbraio 2002, n. 13060, in Arch. Civ., 2003, 32).
Secondo questo orientamento, la convivenza more uxorio incideva unicamente sul quntum dell'assegno e non sull'an debeat e comportava un onere probatorio assai rigoroso per l'ex coniuge obbligato, al quale si richiede di dimostrare non solo l'instaurazione della convivenza more uxorio da parte dell'avente diritto all'assegno, ma anche il fatto che tale convivenza influisca in melius sulle condizioni economiche del predetto ex coniuge, a seguito di stabili apporti economici del convivente in suo favore, ovvero di apprezzabili risparmi di spesa derivantigli dalla convivenza.
Negli ultimi anni si è andata delineando una diversa interpretazione, propensa invece a ritenere che ‘‘l'instaurazione di una famiglia di fatto, quale rapporto stabile e duraturo di convivenza, attuato da uno degli ex coniugi, rescinde ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa convivenza matrimoniale'', (Cass. civ., 11 agosto 2011, n. 17195, in Fam. e Dir., 2012, 25) venendo così meno ogni presupposto per la riconoscibilità, a carico dell'altro coniuge, di un assegno divorzile, fondato sulla conservazione di quel tenore
Nel 2015 gli Ermellini hanno ritenuto più coerente, superare il principio della ‘‘quiescenza'' del diritto all'assegno suscettibile di ‘‘rivivere'' in caso di cessazione della convivenza tra i familiari di fatto, per giungere ad un esito diverso ossia, che la nuova famiglia di fatto dell'ex coniuge debole determina di per sé solo la perdita definitiva del diritto all'assegno di divorzio: "una famiglia di fatto, espressione di una scelta esistenziale/libera e consapevole/da parte del coniuge, eventualmente potenziata dalla nascita di figli (ciò che dovrebbe escludere ogni residua solidarietà postmatrimoniale con l'altro coniuge) dovrebbe essere necessariamente caratterizzata dalla assunzione piena di un rischio, in relazione alle vicende successive della famiglia di fatto, mettendosi in conto la possibilità di una cessazione del rapporto tra conviventi (ferma restando evidentemente la permanenza di ogni obbligo verso i figli). Va per di più considerata la condizione del coniuge, che si vorrebbe nuovamente obbligato e che, invece, di fronte alla costituzione di una famiglia di fatto tra il proprio coniuge e un altro partner, necessariamente stabile e duratura, confiderebbe, all'evidenza, nell'esonero definitivo da ogni obbligo." (Cass. civ., 3 aprile 2015, n. 6855).

La posizione della giurisprudenza di merito
La giurisprudenza di merito ha cavalcato il filone indicato dalla Corte di legittimità: addirittura, si è anche parificata la situazione in cui il coniuge richiedente l'assegno convive stabilmente con un'altra persona con quella in cui il coniuge richiedente ha una relazione affettiva stabile che non sfocia in una stabile convivenza (Tribunale Milano, Sez. IX, 30 gennaio 2018: La mancanza di coabitazione tra la richiedente l'assegno divorzile e il nuovo compagno non vale a superare la prova della sussistenza di un progetto di vita in comune, presupposto per l'esclusione del diritto all'assegno, in quanto le ragioni sottese alla scelta della non coabitazione (ormai in alcuni casi assente anche nelle coppie coniugate) possono essere molteplici, non ultima anche quella volta a tentare di evitare di perdere il diritto all'assegno divorzile stesso. in Banca Dati Pluris on Line).

Il ruolo della convivenza
Lascia certamente perplessa una soluzione di questo tipo, se solo si pensa che moltissime sono le famiglie nel XXI secolo con esperienze matrimoniali e che decidono di non convivere pur essendo relazioni stabili ed intense. La convivenza non è un elemento che caratterizza la relazione affettiva come stabile. Non sempre.
Rimane un problema e qui bisogna attendere la risposta delle Sezioni Unite per capire come spira il vento: tutte le volte in cui l'assegno divorzile svolge una funzione compensativa (perché il coniuge ha dedicato tempo alla famiglia, ha fatto delle rinunce importanti, ha contribuito al menàge domestico) dare importanza alle nuove relazioni affettive del coniuge che chiede l'assegno divorzile, non è lesivo del principio di libertà?
Si deve fare una valutazione caso per caso e non può generalizzarsi un principio.
Forse, si deve prendere insegnamento dalla giurisprudenza anglosassone che cuce la soluzione sul caso concreto. Certamente, si rimette l'ago della bilancia alla discrezionalità del giudice. Ma la tanto sospirata riforma sui patti prematrimoniali, a questo dovrebbe servire: sottrarre al giudice la possibilità di decidere e dare ai nubendi la decisione di pattuire come dirsi addio.

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