Famiglia

Assegno divorzile, nuova convivenza e valutazione degli elementi indiziari

Nota a Cass. Civ., Sez. VI, Ord. 10 maggio 2021, n. 12335

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di Francesca Ferrandi*


Il caso di specie. Con l'ordinanza n. 12335, resa lo scorso 10 maggio 2021, la Cassazione ha ribadito: il principio secondo il quale l'intervenuta convivenza fa cessare automaticamente il diritto all'assegno divorzile; come, in tale prospettiva, sia sufficiente che l'obbligato, che chiede l'accertamento della sopravvenuta insussistenza del diritto a percepire l'assegno mensile, dimostri l'instaurazione di una relazione stabile dell'ex coniuge con un nuovo partner, integrando tale prova una presunzione idonea a far ritenere la formazione di una nuova famiglia di fatto; che gravi sul beneficiario dell'assegno l'onere di provare che la convivenza in essere non integri, nel caso concreto, la formazione di un nucleo familiare.

In particolare, nel caso di specie, la ricorrente aveva adito la Suprema Corte per la cassazione della sentenza con cui la Corte di Appello aveva respinto il reclamo dalla stessa promosso avverso la decisione, per mezzo della quale, il Tribunale di primo grado, pronunciando la cessazione degli effetti civili del matrimonio, aveva revocato l'assegno di mantenimento già riconosciutole all'esito dell'udienza presidenziale: ciò sul presupposto che la ricorrente intrattenesse una relazione stabile con una terza persona, dimostrata dalla garanzia fideiussoria da quest'ultimo prestata con riguardo al pagamento del canone locatizio dell'appartamento ove la donna risiedeva.

La ricorrente ha lamentato due motivi di impugnazione: con il primo ha denunciato la violazione e la falsa applicazione dell'art. 5, commi 6 e 10, l. div., degli artt. 115, commi 1-2 e 116, commi 1-2, c.p.c., 2697, commi 1 e 2, e 2727-2728, commi 1 e 2, c.c., in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., in quanto, la Corte di Appello, confermando la decisione presa dal giudice di prime cure, le aveva negato l'assegno divorzile sull'assunto, da un lato, che la stessa avesse instaurato una stabile convivenza, stante la fideiussione che un terzo aveva prestato a garanzia dell'adempimento del pagamento del canone di locazione dell'appartamento ove la stessa risiedeva; e dall'altro, aveva attribuito valore confessorio, circa l'esistenza di una convivenza more uxorio, alla dichiarazione resa dalla ricorrente "io mi frequento con una persona, ma non ho alcuna convivenza stabile", in aperto contrasto con il senso letterale e logico delle sue parole.

Con il secondo motivo, poi, lamentava la violazione e la falsa applicazione degli artt. 5, commi 6, 10 e 9, comma 1, l. div., degli artt. 115-116, commi 1 e 2, c.p.c., 2697, commi 1 e 2, e 2727-2728, commi 1 e 2, c.c., in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. e all'art. 111 Cost., in quanto la Corte di Appello, con una motivazione, a detta della ricorrente, "contraddittoria e illogica", le aveva negato l'assegno divorzile in virtù dell'importo del canone di locazione della sua abitazione, che la medesima Corte ha ritenuto sufficiente a provare l'autosufficienza economica della prima, o, in ogni caso, la mancanza di uno squilibrio tra le condizioni economiche degli ex coniugi.

Assegno divorzile e instaurazione di una nuova relazione stabile. Nell'esaminare il ricorso, la Suprema Corte si è in principio soffermata sul primo motivo e ha ricordato come la formazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, determina la perdita definitiva dell'assegno divorzile, di cui il medesimo benefici, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza (che può terminare con la fine della convivenza), ma resta definitivamente escluso.

Il parametro dell'adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale da uno dei partner, non può che venir meno di fronte all'esistenza di una vera e propria famiglia, assimilabile all'unione coniugale: infatti, la formazione di un nucleo familiare, costituzionalmente tutelato ai sensi dell'art. 2 Cost., come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell'individuo, è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l'assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto (cfr. ex multis Cass. civ., 4 luglio 2018, n. 17453; Cass. civ., 08 febbraio 2016, n. 2466 e Cass. civ., 03 aprile 2015, n. 6855). Pertanto, solo l'instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, esclude ogni residua solidarietà postmatrimoniale con l'altro coniuge, il quale non può che confidare nell'esonero definitivo da ogni obbligo, di guisa che la convivenza di altra natura (come quella con un parente o un amico) non rileva al fine di escludere in radice il riconoscimento dell'assegno, anche se è vero che, laddove i presupposti per il riconoscimento dell'an dell'assegno divorzile siano ravvisabili, ai fini della sua quantificazione si deve tenere conto delle complessive ed effettive condizioni economiche delle parti, e, quindi, anche del fatto che la parte beneficiata si avvantaggi in qualche misura di una convivenza parentale o amicale (sul punto v. Cass. civ.,12 novembre 2019, n. 29317).

A fronte di quanto appena ricordato, quindi, per l'obbligato, che chiede l'accertamento della sopravvenuta insussistenza del diritto a percepire l'assegno mensile, sarà sufficiente dimostrare l'instaurazione di una stabile convivenza dell'ex coniuge con un nuovo partner, integrando tale prova una presunzione idonea a desumere la formazione di una nuova famiglia di fatto, mentre sul beneficiario dell'assegno graverà l'onere di provare che la convivenza in essere non integri nel caso concreto la formazione di una nuova famiglia (sul punto v. F. DANOVI, Assegno di mantenimento e di divorzio e una nuova convivenza, tra onere della prova, discrezionalità giudiziale e adeguato supporto motivazionale, in Corriere giur., 2021, 1, 17).

Secondo gli Ermellini, dunque, stante l'orientamento di cui sopra, la Corte di Appello ha correttamente negato l'assegno divorzile alla ricorrente, ricavando la prova dell'esistenza di una sua stabile nuova convivenza con un terzo valorizzando due elementi indiziari: da un lato, la più volte ricordata, pretesa garanzia personale a decorrere dal 2007 e, dall'altra, la frequentazione ammessa dalla donna.

A nulla, quindi, è valsa la doglianza con cui la ricorrente contestava la suddetta valutazione indiziaria come effettuata dal giudice di secondo grado, esaurendosi la stessa, in realtà, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui la ricorrente avrebbe voluto opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione, che, certamente, non ha trovato luogo in Cassazione, non essendo quest'ultimo giudizio un terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata e non condivisi (per un approfondimento v. M. GARAVAGLIA, Il controllo in cassazione sulla violazione della regola dell'onere della prova, in Riv. dir. proc., 2019, 6, 1499)

Nell'esaminare il ricorso, la Suprema Corte si è in principio soffermata sul primo motivo e ha ricordato come la formazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, determina la perdita definitiva dell'assegno divorzile, di cui il medesimo benefici, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza (che può terminare con la fine della convivenza), ma resta definitivamente escluso.

Il parametro dell'adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale da uno dei partner, non può che venir meno di fronte all'esistenza di una vera e propria famiglia, assimilabile all'unione coniugale: infatti, la formazione di un nucleo familiare, costituzionalmente tutelato ai sensi dell'art. 2 Cost., come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell'individuo, è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l'assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto (cfr. ex multis Cass. civ., 4 luglio 2018, n. 17453; Cass. civ., 08 febbraio 2016, n. 2466 e Cass. civ., 03 aprile 2015, n. 6855).

Pertanto, solo l'instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, esclude ogni residua solidarietà postmatrimoniale con l'altro coniuge, il quale non può che confidare nell'esonero definitivo da ogni obbligo, di guisa che la convivenza di altra natura (come quella con un parente o un amico) non rileva al fine di escludere in radice il riconoscimento dell'assegno, anche se è vero che, laddove i presupposti per il riconoscimento dell'an dell'assegno divorzile siano ravvisabili, ai fini della sua quantificazione si deve tenere conto delle complessive ed effettive condizioni economiche delle parti, e, quindi, anche del fatto che la parte beneficiata si avvantaggi in qualche misura di una convivenza parentale o amicale (sul punto v. Cass. civ.,12 novembre 2019, n. 29317).

A fronte di quanto appena ricordato, quindi, per l'obbligato, che chiede l'accertamento della sopravvenuta insussistenza del diritto a percepire l'assegno mensile, sarà sufficiente dimostrare l'instaurazione di una s tabile convivenza dell'ex coniuge con un nuovo partner, integrando tale prova una presunzione idonea a desumere la formazione di una nuova famiglia di fatto, mentre sul beneficiario dell'assegno graverà l'onere di provare che la convivenza in essere non integri nel caso concreto la formazione di una nuova famiglia (sul punto v. F. DANOVI, Assegno di mantenimento e di divorzio e una nuova convivenza, tra onere della prova, discrezionalità giudiziale e adeguato supporto motivazionale, in Corriere giur., 2021, 1, 17).

Secondo gli Ermellini, dunque, stante l'orientamento di cui sopra, la Corte di Appello ha correttamente negato l'assegno divorzile alla ricorrente, ricavando la prova dell'esistenza di una sua stabile nuova convivenza con un terzo valorizzando due elementi indiziari: da un lato, la più volte ricordata, pretesa garanzia personale a decorrere dal 2007 e, dall'altra, la frequentazione ammessa dalla donna.

A nulla, quindi, è valsa la doglianza con cui la ricorrente contestava la suddetta valutazione indiziaria come effettuata dal giudice di secondo grado, esaurendosi la stessa, in realtà, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui la ricorrente avrebbe voluto opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione, che, certamente, non ha trovato luogo in Cassazione, non essendo quest'ultimo giudizio un terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella
decisione impugnata e non condivisi (per un approfondimento v. M. GARAVAGLIA, Il controllo in cassazione sulla violazione della regola dell'onere della prova, in Riv. dir. proc., 2019, 6, 1499).

La valutazione degli elementi indiziari ai fini del raggiungimento della prova. Nel caso in esame l'assegno divorzile è stato negato alla ricorrente in quanto, per la Corte di Appello, il quadro desumibile dalla complessiva istruttoria in atti, valutato in ciascun elemento e nel suo complesso, era idoneo a far ritenere raggiunta la prova della stabilità della nuova convivenza intrapresa dalla donna. Orbene, al riguardo, occorre ricordare come la scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione ed il giudizio logico con cui dagli stessi si può dedurre l'esistenza del fatto ignoto rappresentano un apprezzamento di fatto che, ove sorretto da una motivazione adeguata e logicamente non contradditoria, sfugge al controllo da parte della Cassazione (per un approfondimento v. R. POLI, Logica e razionalità nella ricostruzione giudiziale dei fatti, in Riv. dir. proc., 2020, 2, 515).

Del resto, affinché sia rispettata la prescrizione desumibile dagli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell'esito dell'avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata alla decisione che intende adottare, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse (sul punto cfr. Cass. civ., 8 maggio 2017, n. 11176 e Cass. civ., 3247793).

Nel quadro, poi, del principio, espresso nell'art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), la S.C., in un suo lontano arresto a Sezioni Unite, e a cui l'ordinanza in commento intende dare continuità, ha da tempo affermato che il giudice può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, decidere di attribuire ad essi valore preminente ed escludere implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti. Il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, a patto che risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati (cfr. Cass. civ., sez. un., 14 dicembre 1999, n. 898). Quanto, poi, all'obbligo di motivazione previsto , in via generale, dalla disposizione di cui all'art. 111, comma 6, Cost., e dall'art. 132 c.p.c., esso risulta oggi violato nell'ipotesi in cui la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione, per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché obiettivamente incomprensibile.

In quest'ottica, quindi, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, richiamato dalle disposizioni di cui agli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell'apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità; ragion per cui la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dalla novella n. 134 del 2012 (recante "Misure urgenti per la crescita del Paese").

Conclusioni. Nel caso di specie, secondo gli Ermellini, la Corte distrettuale ha, ancorché succintamente, descritto gli elementi istruttori che l'hanno indotta a ritenere raggiunta la prova della stabilità della nuova relazione intrapresa dalla donna; il corrispondente accertamento integra una valutazione fattuale, a fronte della quale la ricorrente ha tentato di opporre alla ricostruzione del giudice di seconde cure una propria alternativa interpretazione, ancorché sotto la lamentela del vizio di violazione di legge e ciò al fine di ottenerne una rivisitazione di certo non consentita nel giudizio di legittimità. Ne consegue, quindi, che, non risultando utilmente contestata, alla stregua di quanto sopra ricordato, l'effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, la S.C. ha ritenuto superfluo l'esame del secondo motivo. Il ricorso è stato, pertanto, dichiarato inammissibile e la ricorrente è stata condannata al pagamento del spese del giudizio.


*a cura di Francesca Ferrandi, Dottore di ricerca presso l'Università di Roma "Tor Vergata"

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