Famiglia

Assegno di divorzio, giudice vincolato al petitum

Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 11795 deposita oggi, affermando un principio di diritto

di Francesco Machina Grifeo

Nella quantificazione dell'assegno di divorzio il giudice non può spingersi oltre la richiesta dell'ex coniuge, giustificando il maggior importo con ragioni compensative - la perdita della casa familiare -, se non espressamente domandato dalla parte. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 11795 depositata oggi, che ha parzialmente accolto, con rinvio, il ricorso di un ex marito contro la decisione della Corte di Milano che invece aveva negato di aver disposto ultra petita.

Per la Prima Sezione civile è incontroverso che il Tribunale abbia riconosciuto, a titolo di assegno divorzile, un importo superiore a quello richiesto (1.000 euro) e che la Corte d'appello, "in buona sostanza", ha confermato la statuizione, con una decisione condizionata a un evento futuro, l'uscita dalla casa familiare, a seguito della quale sarebbe scattato il superiore importo di 1800 euro.

A differenza delle condizioni patrimoniali che riguardano la prole, spiega però la decisione,
le condizioni che regolano gli aspetti patrimoniali tra i coniugi rientrano nell'area dei diritti a cd. disponibilità attenuata e soggiacciono alle regole processuali ordinarie, con il corollario del limite invalicabile della domanda. In altre parole, la domanda a contenuto patrimoniale concernente i rapporti tra i coniugi, quale è quella di assegno divorzile, "deve contenere, a pena di inammissibilità, il petitum richiesto al giudice, atteso che tutto ciò che riguarda direttamente i rapporti economici di dare ed avere tra coniugi presuppone l'iniziativa della parte interessata, potendo rivestire carattere di diritto indisponibile solo quello relativo alla parte del contributo economico connotata dalla finalità assistenziale".

Nel caso affrontato, esclusa la connotazione assistenziale della parte di assegno eccedente il petitum, che non risulta attribuita con quella finalità dalla Corte di merito, (peraltro non compatibile con la quantificazione dell'assegno stesso, 1.800 euro), non è stata proposta dall'ex moglie una domanda subordinata, correlata alla revoca dell'assegnazione della casa familiare o al venir meno di altri benefici economici.

I Giudici di merito hanno, dunque, proceduto ad aumentare d'ufficio l'importo dell'assegno divorzile, rimarcando che l'aumento "compensava benefici economici venuti meno, poiché a suo carico era stato posto il contributo del 10% per le spese straordinarie per la figlia" e inoltre avrebbe subito la "perdita, futura ed eventuale, del godimento della casa familiare, di cui è comproprietaria".

Ebbene, per quanto tali circostanze rappresentino "in linea astratta un valore economico", non potevano però essere prese in considerazione "ufficiosamente, senza che vi fosse allegazione e domanda sul punto da parte dell'ex coniuge beneficiario, con una pronuncia esorbitante dal petitum azionato".

In definitiva la Suprema corte esprime il seguente principio di diritto: "In tema di soluzione giudiziale della crisi familiare, le statuizioni che regolano gli aspetti economico-patrimoniali tra i coniugi incidono nell'area dei diritti a cd. disponibilità attenuata e soggiacciono alle regole processuali ordinarie con il corollario del limite invalicabile della domanda, in quanto presuppongono l'iniziativa della parte interessata e l'indicazione, a pena di inammissibilità, del "petitum" richiesto al giudice, potendo configurarsi come diritto indisponibile solo quello relativo alla parte del contributo economico connotata dalla finalità assistenziale».

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