Famiglia

Assegno di divorzio, va provata l'impossibilità di procurarsi mezzi di sostentamento

di Matteo Santini

Il riconoscimento dell'assegno di divorzio, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto.

L'assegno divorzile ha natura assistenziale, ma anche perequativo-compensativa, discendente direttamente dal principio costituzionale di solidarietà, che conduce al riconoscimento di un contributo volto non a conseguire l'autosufficienza economica del richiedente sulla base di un parametro astratto, bensì un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella vita familiare in concreto, tenendo conto in particolare delle aspettative professionali sacrificate, fermo restando che la funzione equilibratrice non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.
Ciò non significa che l'assegno divorzile sia diretto a costituire una forma di "vitalizio" ne' esso deve in alcun modo incoraggiare un disincentivo all'impegno lavorativo dell'avente diritto o ancor peggio una fonte di rendita parassitaria.

La sentenza n. 18522 del 4 settembre 2020 - La Suprema Corte è stata adita in quanto la Corte d'appello di L'Aquila, aveva rigettato una domanda di revoca dell'assegno divorzile. Il ricorrente lamentava la «violazione e falsa applicazione degli artt. 156- 2697 c.c., in relazione all' art. 710 c.p.c. e all' art. 9 della legge n. 898 del 1970».

La Corte di Appello avrebbe omesso di valutare la possibilità dell'avente diritto di reperire un lavoro, essendone abile, nonchè di valutare la condizione dell'obbligato, «aggravata dall'esistenza di figli con altra donna».

La funzione dell'assegno divorzile non è' certamente quella di garantire un "un beneficio a vita" e non può tramutarsi in un'entrata economica di privilegio, ove l'ex coniuge beneficiario sia in grado di lavorare, comunque incombendo in capo a quest'ultima l'onere di provare l'impossibilità di trovare un'occupazione lavorativa. A tal proposito il ricorrente richiamava la sentenza della Cassazione n. 789/2017, asserendo che la Corte d'appello avesse disatteso i principi ivi affermati.

La Corte di Cassazione ha dichiarato il motivo infondato in quanto il ricorrente ha allegato fatti sopravvenuti alla sentenza divorzile, con cui era stato disposto l'assegno mentre la resistente ha dimostrato di essersi «attivata in questi anni, ma senza successo, nella ricerca di un lavoro stabile (accettando lavori a termine e partecipando a concorsi) al fine di raggiungere l'autosufficienza economica» .

Il ricorrente assumeva, invece, che detta prova fosse mancata, "ammettendo", però, che fossero preesistenti i fatti riguardanti la sua condizione di coniugato con altra donna e con figli, e limitandosi a svolgere astratte considerazioni circa l'impossibilità di configurare l'assegno divorzile come "un beneficio a vita", senza specificare quali fossero i parametri di legge, dettati in tema di assegno divorzile, asseritamente violati. Sotto la denuncia apparente del vizio di violazione legge si chiedeva, in realtà, una rivisitazione del merito.

Anche il richiamo alla sentenza n. 789/2017 non appariva pertinente in quanto in essa si afferma che il diritto alimentare del coniuge beneficiario non è recessivo rispetto a quello dei nuovi figli e che «l'attitudine del coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva sopravvenuta possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte e ipotetiche».

Nella specie, la valutazione di merito in ordine all'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive era già stata effettuata dalla Corte territoriale.

Le doglianze, relative al vizio di violazione di legge, sono state così ritenute prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata (Cass. n. 4036/2011) in quanto incentrate su argomentazioni inconferenti rispetto al caso concreto, in base a quanto accertato dai Giudici d'appello, e neppure riguardanti gli altri parametri di legge, individuati ed interpretati dalla dalla Corte di Cassazione, secondo la quale l'assegno di divorzio ha una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell' art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970 (Cass. sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287; Cass., 23 gennaio 2019, n. 1882).

Autosufficienza e obbligo di reperire un'occupazione
- Il riferimento all'obbligo di reperire un'occupazione che incombe sul coniuge debole deve sempre essere contestualizzato al caso concreto e valutato unitamente a tutti gli altri elementi che concorrono a far sorgere l'eventuale diritto e a determinarne l'effettiva portata.

Peraltro i termini di riferimento non sono solo quelli indicati dalla legge ma anche quei principi elaborati nel tempo dalla Corte di Cassazione frutto di evoluzioni giurisprudenziali che hanno portato a qualificare la funzione dell'assegno divorzile come contemporaneamente assistenziale, compensativa e perequativa rendendo così ancora più complesso l'ambito di applicazione della norma.

In ogni caso il fulcro centrale è rappresentato sempre dall'articolo 5 della legge numero 898 del 1970 che al sesto comma stabilisce che «Il tribunale … dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive».

Il che significa che innegabilmente esiste un obbligo per il coniuge debole di attivarsi al fine di procurarsi i "mezzi adeguati" e che tale impegno non solo deve essere reale, concreto ed effettivo ma deve essere provato "processualmente".

Al contrario sarà chi deduce l'avvenuta inerzia dell'altro coniuge, a dover provare i fatti che ne costituiscono il fondamento ovvero l'eventuale rifiuto ad accettare proposte lavorative o la mancata attivazione nel reperire un lavoro.

Tali circostanze coordinate con altri importanti elementi quali l'età del coniuge debole, lo stato di salute, il contesto sociale di riferimento, l'apporto fornito alla costruzione del patrimonio familiare ed in particolare dell'altro coniuge dovranno essere valutate caso per caso dal giudice di merito ai fini della determinazione e quantificazione dell'eventuale assegno .

Corte di cassazione – Sentenza 4 settembre 2020 n. 18522

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