Assicurazioni captive, quali prospettive per il mercato europeo e italiano
Con la recente approvazione della proposta di modifica della Solvency II, la UE mira a rendere il quadro legislativo più proporzionato e adatto alle caratteristiche peculiari delle imprese captive
Le imprese di assicurazione e riassicurazione “captive” stanno diventando uno strumento sempre più utilizzato per la gestione dei rischi da parte di grandi gruppi industriali e multinazionali.
Le imprese captive sono compagnie assicurative o riassicurative il cui capitale sociale è detenuto da una società operante in diversi settori industriali o finanziari e il cui scopo è principalmente quello di coprire i rischi della stessa società controllante e delle altre società appartenenti al gruppo.
In Europa, la crescita delle captive è stata incentivata dall’aumento dei premi assicurativi sul mercato e dalla riduzione della capacità di copertura offerta dagli operatori tradizionali, accentuati dalle recenti crisi geopolitiche, che hanno reso più difficile e costoso per le aziende assicurarsi sui mercati tradizionali, soprattutto per settori ad alto rischio come l’energia e l’informatica. Le società captive consentono alle imprese di ottenere coperture assicurative personalizzate per rischi anche complessi (ad es. cyber, supply chain, calamità naturali), che spesso non rientrano nelle polizze standard di mercato, e a costi inferiori.
Il modello delle assicurazioni captive, nato negli anni ’50 negli Stati Uniti con l’obiettivo di ridurre i costi assicurativi interni delle grandi aziende, si è sviluppato in una prima fase in giurisdizioni internazionali con normative favorevoli sotto vari profili, come le Isole di Bermuda, la Svizzera e Guernsey. Bermuda è infatti il leader globale per numero di captive domiciliate. In Europa, il Lussemburgo è il primo centro per la riassicurazione captive anche grazie all’approccio pragmatico e flessibile dell’autorità di vigilanza di settore, mentre la Francia ha recentemente introdotto un regime dedicato con incentivi, come le riserve di resilienza per la gestione del rischio a lungo termine.
Le imprese captive hanno il vantaggio di consentire un controllo diretto e un risparmio sui costi assicurativi da parte delle società assicurate, eliminando l’intermediazione e riducendo i premi pagati al mercato tradizionale.
Consentono inoltre una gestione trasparente dei sinistri e permettono di personalizzare le coperture in base ai rischi specifici dell’azienda, spesso non assicurabili con polizze standard, favorendo così pratiche di gestione del rischio più efficaci. In alcune giurisdizioni, inoltre, le captive possono beneficiare di agevolazioni fiscali che ne riducono gli oneri complessivi.
Tale modello non è tuttavia privo di criticità. La creazione di una captive richiede infatti un elevato investimento iniziale e la necessità di ottenere l’autorizzazione da parte dell’autorità di vigilanza del settore assicurativo che valuta una serie di complessi requisiti regolamentari, compreso l’obbligo di mantenere parametri prudenziali e di conformità alle norme comparabili a quelli delle compagnie tradizionali. Inoltre, le captive affrontano rischi operativi e finanziari, poiché devono avere risorse sufficienti per gestire sinistri importanti senza compromettere la propria stabilità.
A livello europeo, le imprese di assicurazione e di riassicurazione captive sono soggette alle disposizioni della Direttiva Solvency II (Direttiva 2009/138/CE), che disciplina l’accesso e l’esercizio dell’attività di assicurazione e riassicurazione all’interno dell’Unione Europea, la vigilanza dei gruppi assicurativi e riassicurativi nonché il risanamento e la liquidazione delle imprese di assicurazione.
La suddetta direttiva definisce l’impresa di (ri)assicurazione captive come “un’impresa di (ri)assicurazione detenuta da un’impresa finanziaria diversa da un’impresa di assicurazione o di riassicurazione o da un gruppo di imprese di assicurazione o di riassicurazione […], oppure da un’impresa non finanziaria, il cui scopo è fornire copertura (ri)assicurativa esclusivamente per i rischi dell’impresa o delle imprese cui appartiene o di una o più imprese del gruppo di cui fa parte”.
La costituzione e la gestione di un’impresa captive è attualmente disciplinata dalle stesse norme applicabili alle imprese di assicurazione e di riassicurazione non captive, fatta eccezione per alcune semplificazioni previste in relazione ai requisiti di capitale e all’informativa di vigilanza dalla Direttiva Solvency II (recepita in Italia con Decreto Legislativo 12 maggio 2015, n. 74 che ha modificato il Codice delle Assicurazioni Private), che ha riconosciuto la natura specifica del loro business.
Le imprese captive, infatti, essendo generalmente esposte a un numero limitato di rischi riferibili al gruppo industriale o commerciale cui appartengono, possono beneficiare di alcune esenzioni e semplificazioni in applicazione del principio di proporzionalità, considerando la limitata portata e complessità della loro attività rispetto ad un’impresa di assicurazioni tradizionale. In particolare, sono previste semplificazioni con riguardo a talune informazioni da fornire a fini di vigilanza, per il calcolo del requisito patrimoniale di solvibilità (SCR) e, limitatamente alle riassicurazioni captive, un inferiore importo del requisito patrimoniale minimo (MCR). Sono inoltre previste semplificazioni nella reportistica di sostenibilità per le captive, in quanto è ad esse consentito di limitarsi a informazioni essenziali, riducendo così gli oneri di compliance rispetto alle grandi imprese.
A tal riguardo, il 2 luglio scorso, l’EIOPA ha pubblicato un parere in merito alla vigilanza delle imprese di assicurazione e riassicurazione captive. Il parere è rivolto alle autorità competenti degli Stati membri e delinea le aspettative di vigilanza tenendo conto delle specificità del modello di business di un (ri)assicuratore captive, mirando a facilitare una vigilanza proporzionata e basata sul rischio e a sostenere la creazione di un level playing field all’interno dell’UE, anche al fine di evitare fenomeni di arbitraggio normativo tra le varie giurisdizioni europee. Il parere definisce le aspettative di vigilanza con riferimento a diverse aree, tra cui le operazioni infragruppo (con particolare riferimento agli accordi di cash pooling) e l’applicazione coerente del principio della persona prudente e gli aspetti di governance in relazione alle funzioni fondamentali e all’esternalizzazione, segnando un passo significativo verso una vigilanza più armonizzata e proporzionata delle imprese di assicurazione e riassicurazione captive a livello europeo.
Con la recente approvazione da parte delle istituzioni europee della proposta di Direttiva chemodifica la Direttiva Solvency II, il settore delle assicurazioni captive si trova di fronte a un’importante occasione per un’evoluzione normativa della materia.
Tra gli altri aspetti, la revisione di Solvency II mira a rendere il quadro legislativo più proporzionato e adatto alle caratteristiche peculiari delle imprese di assicurazione e riassicurazione captive. La riforma introduce pertanto norme che riducono gli obblighi di compliance e semplificano alcuni requisiti per le imprese captive, considerando il particolare profilo di rischio che le connota.
Ad esempio, tali imprese saranno esentate dalla presentazione di informazioni periodiche a fini di vigilanza, quando i periodi predefiniti entro cui le imprese sono di norma tenute a presentarle sono inferiori a un anno, purché soddisfino determinate condizioni. Una delle novità più rilevanti riguarda poi la frequenza della valutazione interna del rischio e della solvibilità (cd. Own Risk and Solvency Assessment - ORSA), la cui periodicità viene ridotta da un anno a due anni per le captive che soddisfino talune condizioni. Inoltre, con riguardo alla Relazione relativa alla Solvibilità e alla Condizione Finanziaria (SFCR) è previsto che le imprese di assicurazione captive al ricorrere di determinati requisiti non siano tenute a pubblicare la parte destinata ai contraenti e ai beneficiari e debbano soltanto includere nella parte destinata ai professionisti del mercato i dati quantitativi richiesti dalle norme tecniche di attuazione adottate dalla Commissione Europea. Infine, qualora le imprese di (ri)assicurazione captive siano classificate come imprese “piccole e non complesse” potranno beneficiare di alcune ulteriori misure di proporzionalità specificamente individuate in materia di informativa, comunicazione, governance, revisione delle politiche scritte, calcolo delle riserve tecniche, valutazione interna del rischio e della solvibilità e piani di gestione del rischio di liquidità.
La revisione della Direttiva Solvency II rappresenta pertanto un importante passo verso una regolamentazione più adeguata a disciplinare il fenomeno delle imprese captive. Tuttavia, l’effettiva applicazione di queste misure dipenderà in larga parte dalle linee guida che l’EIOPA emanerà e da come i singoli Stati membri recepiranno le modifiche sopra descritte (avranno 24 mesi di tempo per farlo) al fine di garantire una valutazione accurata del profilo di rischio delle captive e la corretta implementazione del principio di proporzionalità.
In Italia, abbiamo assistito recentemente ad un’espansione del numero delle assicurazioni captive, con gruppi come Enel, Prysmian ed Eni che hanno ottenuto l’autorizzazione dall’IVASS per domiciliare in Italia le loro attività di assicurazione e riassicurazione captive finora gestite all’estero.
Questo interesse da parte dei grandi gruppi industriali ad una gestione “interna” del rischio riflette anche la volontà di centralizzare tale attività sul territorio nazionale, nonostante l’assenza di un quadro normativo dedicato e competitivo rispetto a Paesi come il Lussemburgo e l’Irlanda.
Con le modifiche previste alla Direttiva Solvency II, che introducono requisiti semplificati e proporzionali per le captive, si auspica che anche l’Italia adotterà una normativa meno stringente di quella attuale, incentivando la domiciliazione delle captive e potenziando così il mercato assicurativo nazionale e la competitività all’interno della UE.
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*A cura di Silvia Lolli (counsel) e Davide Valloni (associate), Hogan Lovells