Autofattura tardiva sanzionata come un omesso/tardivo versamento, anche in assenza di un debito d'imposta non assolto
L'autofattura omessa o tardiva sconta la sanzione dell'omesso versamento, anche se l'imposta nel reverse charge è soltanto virtuale e di fatto non si verifica alcun danno erariale. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la recentissima sentenza n. 8283/2022
LA VICENDA
L'Agenzia delle Entrate rilevava nei confronti di una società, e per diverse annualità di imposta, la "mancata" o "tardiva" emissione e registrazione di autofatture (in reverse charge esterno) relative a pagamenti effettuati a soggetti esteri. Segnatamente trattavasi di dodici omesse autofatturazioni (per gli anni 2002 e 2003) e numerose tardive autofatturazioni per le stesse annualità di imposta.
L'Ufficio delle Entrate irrogava la sanzione ex art. 13, c. 1 d.lgs 47197 (per omesso/tardivo versamento), oltre a recuperare l'Iva il cui pagamento era stato presuntivamente "omesso" ed irrogava le conseguenti ulteriori sanzioni per violazione dell'obbligo di autofatturazione e per infedele dichiarazione.
La società si difendeva con successo dinanzi ai giudici tributari, argomentando di aver omesso soltanto la registrazione delle fatture, che aveva comunque provveduto ad "integrare" per il meccanismo del reverse charge. Tale irregolarità, secondo l'assunto difensivo, costituiva una violazione "meramente formale" e pertanto non punibile. La pronuncia favorevole in CTP era confermata anche in CTR ove in particolare la decisione era corroborata dall'avvenuto abbandono, da parte dell'Ufficio dell'Agenzia delle Entrate, della pretesa erariale diretta al recupero dell'Iva, nonché dall'abbandono della sanzione irrogata per "dichiarazione infedele".
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto tali circostanze non rilevanti ed ha ravvisato la correttezza della sanzione per omesso/tardivo versamento anche in assenza di un effettivo danno erariale.
LA PRONUNCIA DELLA CORTE
Con articolata sentenza, la Corte ha preliminarmente messo in luce le caratteristiche del regime di reverse charge, la distinzione tra violazioni sostanziali, formali e meramente formali, nonché la specificità della disciplina sanzionatoria in materia di autofatturazione.
• In estrema sintesi, il meccanismo dell'inversione contabile sposta sul concessionario l'onere di versare l'Iva: in particolare, chi effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi non espone l'Iva in fattura e non è debitore verso l'erario.
Mentre chi riceve la fattura emessa in regime di reverse charge (oppure chi autofattura) è tenuto ad integrarla con l'Iva dovuta e a provvedere alla relativa annotazione nel registro delle vendite.
Per consentire, poi, il sorgere e l'esercizio del diritto di detrazione, la norma prevede l'annotazione della stessa operazione nel registro degli acquisti, così da riequilibrare il sistema in coerenza con i principi di neutralità.
In termini essenziali «il regime in questione addossa ai destinatari della fattura, ossia ai committenti/cessionari (che diventano soggetti passivi dell'imposta) l'onere di pagare l'Iva sull'operazione e, attraverso un meccanismo contabile (di doppia registrazione), riconosce agli stessi il diritto di detrazione per un pari importo».
La peculiarità del meccanismo, precisa la Corte, «non interferisce con l'obbligatorietà e tempestività dell'emissione dell'autofattura che -come la fattura- deve essere emessa, ai sensi dell'art. 21, quarto comma, d.p.r. n. 633/72 "al momento di effettuazione dell'operazione».
• Circa il secondo profilo, relativo alla distinzione tra le diverse tipologie di violazioni , la Corte ha dato atto che le violazioni sono "sostanziali" se incidono sulla base imponibile o sull'imposta o sul versamento; sono "formali" se pregiudicano l'esercizio delle azioni di controllo pur non incidendo sulla base imponibile, sull'imposta o sul versamento; sono "meramente formali" se non influiscono sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul versamento del tributo, né arrecano pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo.
• Infine, in relazione alla peculiarità della disciplina sanzionatoria in materia di autofatturazione e reverse charge, la Corte ha ripercorso dettagliatamente l'evoluzione normativa, fino al d.lgs 158/2015 che ha rafforzato la ratio originaria di « prevenire la violazione della procedura di inversione contabile, sì da evitare un evidente pregiudizio all'esercizio dell'attività di controllo anche quando l'inosservanza degli adempimenti non abbia in concreto inciso sui versamenti -e sulla regolarità e tempestività degli stessi- e sulla determinazione dell'imponibile ».
In base all'analisi della Corte c'è quindi compatibilità del meccanismo reverse charge con l'art. 13 d.lgs 471/97 con cui viene sanzionata la condotta di omesso o tardivo versamento dell'imposta dovuta. Precisando tuttavia che l'art. 13 va disapplicato nella parte relativa al quantum della sanzione, che, di volta in volta, va determinato dal giudice tributario nel rispetto del principio di proporzionalità della sanzione con la condotta illecita.
Pertanto, secondo la Cassazione, nel caso di specie la CTR ha errato nel ritenere "meramente formali" le violazioni contestate. La CTR aveva infatti basato la propria decisione sulle circostanze che la condotta non avrebbe "pregiudicato le operazioni di controllo che sono state puntualmente eseguite" e non avrebbe "inciso né sulla base imponibile né sull'imposta dovuta".
Ed invece, secondo gli Ermellini, innanzitutto il giudice tributario di secondo grado non poteva apprezzare le condotte della contribuente come non idonee a pregiudicare l'azione di controllo con una "valutazione ex post". Bensì avrebbe dovuto valutarle in astratto "ex ante". In secondo luogo ha omesso di valutare se il «ritardo delle autofatturazioni fosse temporalmente anteriore o posteriore alle liquidazioni periodiche riferibili alle medesime operazioni ove tempestivamente fatturate». Infine, sempre secondo l'interpretazione dei giudici del Palazzaccio, la CTR ha erroneamente «ritenuto che l'abbandono da parte dell'ufficio della ripresa sull'imposta comportasse il venir meno delle sanzioni ancorché i due profili (...) dovessero essere oggetto di separata ed indipendente considerazione». Per queste ragioni la Corte ha cassato con rinvio la sentenza, rimettendo al giudice di secondo grado il compito di esaminare tali aspetti e valutare l'entità della sanzione edittale alla stregua delle concrete circostanze del caso «tra cui anche l'entità del ritardo» nelle autofatturazioni.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Secondo la Suprema Corte, la tardività o omissione nell'autofatturazione sono equiparate, a livello sanzionatorio, a omessi/tardivi versamenti di cui all'art. 13 d.lgs 471/1997, ancorché, per le particolari modalità di assolvimento dell'imposta nel reverse charge, non vi sia un vero e proprio debito Iva non assolto.
Nel caso concreto, sia il contribuente che il Procuratore generale avevano correttamente prospettato l'esclusione della configurabilità della sanzione atteso l'esito del regime di inversione contabile: accanto all'Iva dovuta sorge, con l'iscrizione nel registro degli acquisti, un diritto di detrazione per un importo equivalente. Sicché, compensandosi le poste, non si assiste ad alcun effettivo versamento e, comunque, l'omissione o il ritardo (dell'autofattura) non può avere alcuna incidenza ai fini della liquidazione periodica. Trattandosi di fatto di una fictio iuris resa necessaria dal particolare meccanismo del "reverse charge".
Ciò malgrado, la Corte ha irragionevolmente optato per la sussunzione della condotta nella fattispecie di omesso/tardivo versamento.
Il che, a nostro avviso, conduce anche ad una sottesa palese violazione della capacità contributiva e pertanto non sanzionabile in assoluto.
Si annota che nella giurisprudenza europea più recente in materia di IVA il principio generale immanente è quello secondo cui, in assenza di un danno erariale attuale o potenziale, occorra sempre garantire al soggetto inciso dall'accertamento la neutralità dell'imposta con l'applicazione di una sanzione lieve. Sanzione che non deve finire con il ledere tale ultimo principio integrando altrimenti una risposta "non proporzionale al disvalore della violazione commessa".
La Corte di Giustizia Europea è infatti ripetutamente intervenuta a contenere, nel rispetto dei succitati principi, la portata delle sanzioni applicate in ipotesi (come nel caso esaminato dalla Cassazione) in cui vi è assenza di danno erariale (causa C-712/17; causa C-524/15; causa C-564/15; causa C-183/14; causa C-424/12; causa C-518/14).
Il motivo è che una sanzione eccessiva contrasta in modo diretto con il principio generale di proporzionalità contenuto nell'art. 5, p. 4 Trattato unione Europea. Principio che ha assunto rilevanza nel diritto tributario con la giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia. Ed inoltre una sanzione sproporzionata finisce pure con il ledere, sia pur indirettamente, la stessa neutralità dell'imposta per il soggetto passivo prevista e disciplinata dalla Direttiva Iva europea.
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*A cura degli Avv.ti Giuseppe Ciminiello, founding associate - Luca Cellamare, counsel "Studio Legale di Consulenza Tributaria Ciminiello" in Bari