Autoriciclaggio, sufficiente il deposito delle somme illecite in banca
Per la Cassazione, sentenza n. 25348 depositata oggi, la natura fungibile del denaro ne provoca automaticamente la ripulitura
Scatta il reato di autoriciclaggio ogni volta che i beni frutto del delitto presupposto non siano utilizzati in modo diretto o vengano compiute operazione idonee a celarne la matrice delittuosa. In questo senso, rientra nella fattispecie dell’articolo 648-ter.1 del Cp anche la condotta di chi deposita in banca denaro di provenienza illecita. Infatti, considerata la natura fungibile del bene, esso viene automaticamente sostituito con denaro pulito, essendo l’istituto di credito obbligato a restituire al depositante il mero tantundem. Ugualmente per qualsiasi trasferimento di fondi da un conto corrente bancario a un altro. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 25348 depositata oggi, con la quale ha respinto il ricorso di un uomo condannato a 3 anni di reclusione e 7mila euro di multa per autoriciclaggio.
Nel ricorso, l’imputato ha sostenuto la piena tracciabilità degli investimenti fatti tramite il proprio conto corrente. Per cui, anche la successiva collocazione in un conto deposito titoli non avrebbe comportato alcun mutamento della formale titolarità né una reimmissione nel circuito economico con conseguente inidoneità a ostacolarne l’identificazione.
Per la Suprema corte, però, le “plurime e articolate” movimentazioni finanziarie, con l’intento di ricavarne profitto (acquisto di titoli azionari, trasferimento da un conto deposito ad altro, utilizzo dei profitti per compravendita immobiliare) risultano, “connotate dalla sistematica e sempre più sfuggente trasformazione della iniziale e consistente somma di denaro attraverso una sostanziale reimmissione del denaro di provenienza delittuosa nel circuito economico-finanziario finalizzata a ottenere quel concreto effetto dissimulatorio che differenzia la semplice condotta di godimento personale (non punibile) da quella di nascondimento del profitto illecito (e perciò punibile)”. “Ne consegue – sottolinea la Corte - l’irrilevanza dell’identità soggettiva del titolare del denaro e della mancanza di dispersione o spendita dello stesso segnalate dalla difesa”.
È dunque destituita di fondamento, l’affermazione difensiva per cui la tracciabilità delle operazioni bancarie e il mancato mutamento della titolarità formale escluderebbero l’idoneità delle condotte a rendere più difficile l’identificazione del denaro. La Suprema corte, infatti, ribadisce che, ai fini dell’integrazione del reato di autoriciclaggio, “non occorre che l’agente ponga in essere una condotta di impiego, sostituzione o trasferimento del denaro, beni o altre utilità che comporti un assoluto impedimento alla identificazione della provenienza delittuosa degli stessi, essendo, al contrario, sufficiente una qualunque attività, concretamente idonea anche solo ad ostacolare gli accertamenti sulla loro provenienza, e ciò anche attraverso operazioni o flussi finanziari che risultino pienamente tracciabili”.
Depone per questa lettura, prosegue la Corte, anche l’ampia formulazione del testo dell’art. 648 ter-l cod. pen., dove si parla di attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative. In tal modo, il Legislatore ha inteso perseguire “qualsiasi forma di reimmissione delle disponibilità di provenienza delittuosa all’interno del circuito economico legale attuata mediante condotte che, come nel caso di specie, ostacolino concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa”.
II riferimento all’attività speculativa - espressione che il legislatore ha intenzionalmente lasciato priva di una definizione rigidamente tipizzata - ricomprende “una vasta gamma di comportamenti, accomunati dalla volontà di conseguire un profitto attraverso un’analisi razionale e consapevole delle variabili economiche in gioco, secondo una logica costi/benefici, tale da determinare un’alterazione del normale funzionamento del mercato e un’infiltrazione dell’economia legale attraverso la pulitura di capitali dei quali il reo vuole rendere non più riconoscibile la provenienza delittuosa”.
“Di conseguenza – conclude la Corte -, l’agente può andare esente da responsabilità penale solo e soltanto se utilizzi o goda dei beni provento del delitto presupposto in modo diretto e senza che compia su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”.
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di Fabio Fiorentin - Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Venezia