Lavoro

Avvocati "sotto soglia", la Consulta salva la Gestione separata ma taglia le sanzioni

La Corte costituzionale, sentenza n. 104 di oggi, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 18, comma 12, del Dl 6 n. 98/2011 nella parte in cui non esonera gli avvocati dal pagamento delle sanzioni civili

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di Francesco Machina Grifeo

È legittimo l'obbligo di iscrizione alla Gestione separata dell'Inps a carico degli avvocati del libero foro iscritti al relativo albo, ma non iscritti – né tenuti a iscriversi – alla Cassa di previdenza forense (e non obbligati, quindi, al versamento del contributo soggettivo) per mancato raggiungimento delle soglie di reddito o di volume di affari (articolo 22 della legge n. 576 del 1980). È stata invece dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 18, comma 12, del Dl 6 n. 98/2011 (convertito, con modificazioni, nella L. 111/2011), nella parte in cui non prevede che costoro siano esonerati dal pagamento, in favore dell'ente previdenziale, delle sanzioni civili per l'omessa iscrizione con riguardo al periodo anteriore alla sua entrata in vigore. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 104 depositata oggi .

L'ordinanza di rimessione è stata emessa in un giudizio in cui sono state riunite le cause di due avvocati del libero foro che avevano ricevuto dall'Inps intimazioni di pagamento di contributi dovuti alla Gestione separata in ragione del reddito da attività professionale maturato nell'anno 2010. Il primo, ha impugnato l'avviso del 22 giugno 2016, con cui l'Inps aveva richiesto il pagamento di complessivi 1.920,70 euro (di cui 1.098,46 a titolo di contributi ed 822,24 a titolo di sanzioni), in ragione del reddito imponibile di 4.111,00 euro tratto dall'attività professionale nell'anno 2010. Il secondo, a sua volta, ha impugnato l'avviso del 4 dicembre 2019 con cui l'Inps gli aveva richiesto il pagamento della somma di 2.743,35 euro (di cui 1.511,00 a titolo di contributi ed 1131,06 a titolo di sanzioni), in ragione del reddito imponibile di 5.655,00 euro tratto dall'attività professionale nell'anno 2010.

L'obbligo di iscrizione alla gestione separa, spiega la Consulta nella lunga decisione che ricapitola l'intera disciplina previdenziale, si iscrive nella tendenza dell'ordinamento verso la progressiva eliminazione delle lacune rappresentate da residui vuoti di copertura assicurativa. "Essa, pertanto, non introduce elementi di irrazionalità, incoerenza e illogicità nel sistema giuridico previdenziale – come sospetta il giudice rimettente – ma, al contrario […] assume una funzione di chiusura del sistema…".

Il rapporto tra il sistema previdenziale categoriale e quello della Gestione separata, del resto, "si pone in termini non già di alternatività, bensì di complementarità". Il legislatore della riforma del 1995, con l'introduzione della Gestione separata, non ha voluto dunque "fissare in astratto un rigido riparto di competenze tra essa e le casse professionali, ma ha attribuito un carattere elastico alla capacità di espansione del nuovo istituto, in diretta dipendenza dal concreto esercizio della potestà di autoregolamentazione della cassa professionale". Si ha quindi che, se la cassa professionale, proprio nell'esercizio del potere di autoregolamentazione riconosciutole dalla legge, decide di non includere taluni professionisti (eventualmente per mancato raggiungimento di soglie reddituali stabilite da propri organi interni) nell'obbligo di versamento di contributi utili a costituire una posizione previdenziale, l'operatività della Gestione separata, quale istituto residuale a vocazione universalistica, vede espandersi la sua sfera di operatività, sempre che, beninteso, ne ricorrano i relativi presupposti; ossia che ricorra l'esercizio abituale di un'attività professionale che abbia prodotto un reddito superiore a un determinato importo.

Inoltre, non vi è alcuna duplicità di iscrizione ai fini previdenziali a fronte dell'unicità dell'attività professionale esercitata. Il professionista con reddito (o volume di affari) "sottosoglia" non incorre in un irragionevole obbligo di duplice iscrizione in corrispondenza di un'unica attività, ma è tenuto a iscriversi unicamente alla Gestione separata proprio perché non ha l'obbligo (e neppure ha esercitato la facoltà) di iscriversi alla cassa categoriale, cui versa soltanto il contributo integrativo.

Per la Consulta è invece fondata, nei limitati termini di cui si dirà, la questione sollevata in via subordinata, per effetto della quale è sospettata di illegittimità costituzionale la norma interpretativa introdotta dall'articolo 18, comma 12, del Dl n. 98 del 2011, come convertito, nella parte in cui non prevede che l'obbligo degli avvocati del libero foro (non iscritti alla cassa di previdenza forense per mancato raggiungimento delle soglie di cui all'articolo 22 della legge n. 576 del 1980) di iscriversi alla Gestione separata istituita presso l'Inps decorra dalla data della sua entrata in vigore.

Il giudice rimettente richiama infatti l'iniziale orientamento della giurisprudenza di legittimità, che aveva sposato un'interpretazione restrittiva della disposizione successivamente oggetto di interpretazione autentica (l'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995), nel senso che il suo ambito soggettivo di applicazione sarebbe stato limitato ai professionisti esercenti attività per le quali non era prevista l'iscrizione in albi professionali. In seguito all'introduzione, nel 2011, di tale disposizione di interpretazione autentica l'orientamento giurisprudenziale di legittimità è mutato, così estendendosi l'obbligo di iscrizione nella Gestione separata anche ai lavoratori autonomi iscritti agli albi professionali, ma non iscritti alla relativa cassa previdenziale.

Una doglianza condivisa dalla Consulta che ricorda come la Corte di cassazione – in alcune pronunce precedenti alla censurata disposizione di interpretazione autentica (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 19 giugno 2006, n. 14069, 16 febbraio 2007, n. 3622 e 22 maggio 2008, n. 13218), pur rese con riferimento all'ipotesi dell'esercizio di attività di lavoro autonomo in assenza dell'obbligo di iscrizione ad albi o elenchi abilitanti – è apparsa univocamente orientata ad affermare un'interpretazione restrittiva dell'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, secondo la quale l'obbligo di iscrizione alla Gestione separata non avrebbe trovato applicazione nel caso di attività professionale forense, sussistendo già una specifica cassa di previdenza con una relativa regolamentazione speciale dell'obbligo di iscrizione e di pagamento dei contributi.

L'affidamento in questa interpretazione, prosegue la Consulta, trovava quindi l'avallo della giurisprudenza di legittimità e, in ragione di ciò, "assumeva una connotazione più pregnante, raggiungendo un livello di maggiore significatività, di cui il legislatore non poteva non tener conto nel momento in cui ha introdotto la disposizione di interpretazione autentica in esame".

Prima di quest'ultima, il comportamento dell'avvocato con un reddito (o un volume d'affari) "sottosoglia", che ometteva di iscriversi alla Gestione separata e che poi sarebbe risultato essere "inadempiente" per effetto della disposizione di interpretazione autentica censurata, trovava però una scusante proprio nei primi arresti della giurisprudenza di legittimità, maturati peraltro in un contesto in cui il regime previdenziale di categoria, centrato sulla regolamentazione della cassa di previdenza forense, aveva carattere di specialità.

Il legislatore, dunque, pur fissando legittimamente, con l'articolo 18, comma 12, del Dl n. 98 del 2011, come convertito, un precetto normativo che la disposizione interpretata era fin dall'inizio idonea ad esprimere, avrebbe dovuto comunque tener conto, in questa particolare fattispecie, di tale già insorto affidamento in una diversa interpretazione; ciò, peraltro, in sintonia con un criterio destinato ad affermarsi nell'ordinamento previdenziale.

Ma la Consulta offre anche una soluzione. La reductio ad legitimitatem della norma censurata, afferma, "può, quindi, essere operata mediante l'esonero dalle sanzioni civili per la mancata iscrizione alla Gestione separata Inps relativamente al periodo precedente l'entrata in vigore della norma di interpretazione autentica.

"In tal modo – conclude la Corte - è soddisfatta l'esigenza di tutela dell'affidamento scusabile, ossia con l'esclusione della possibilità per l'ente previdenziale di pretendere dai professionisti interessati, oltre all'adempimento dell'obbligo di iscriversi alla Gestione separata e di versare i relativi contributi, anche il pagamento delle sanzioni civili dovute per l'omessa iscrizione con riguardo al periodo intercorrente tra l'entrata in vigore della norma interpretata e quella della norma interpretativa".

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