Civile

Azienda con avviamento escluso: non c’è plusvalenza in caso di eredità

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di Alessandro Borgoglio

Un rilevante valore di avviamento, escluso da ammortamento, non fa scattare la plusvalenza sul trasferimento d’azienda. Il caso è quello del passaggio mortis causa di un’azienda dal padre al figlio. In particolare, secondo la Ctr Bologna (sentenza 2061/8/2018, presidente e relatore Alessandrini), l’inserimento ex novo di un cospicuo valore d’avviamento nel bilancio della ditta individuale “trasferita” non fa venire meno il regime di neutralità fiscale (valori contabili invariati), a patto che tale avviamento sia escluso da ammortamento. Quindi non c’è plusvalenza tassabile con l’Irpef.

La norma e la vicenda

Secondo l’articolo 58, comma 1, del Tuir, il trasferimento di azienda per causa di morte o per atto gratuito non costituisce realizzo di plusvalenze dell’azienda stessa; l’azienda è assunta ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa. Inoltre, tali criteri si applicano anche qualora, a seguito dello scioglimento, entro cinque anni dall’apertura della successione, della società esistente tra gli eredi, la stessa azienda resti acquisita da uno solo di essi.

Quest’ultima situazione è proprio quella verificatasi nel caso oggetto della sentenza, in cui una farmacia era passata dal padre deceduto ai figli eredi, che avevano continuato a gestirla da subito con una società di fatto, per poi effettuare un trasferimento notarile di quote a favore di uno soltanto degli eredi; la situazione contabile della nuova ditta, però, presentava un cospicuo valore di avviamento, che in precedenza non era presente.

Secondo il Fisco, ciò costituiva una modifica dei valori fiscalmente rilevanti e, quindi, il trasferimento non poteva dirsi realizzato nel regime di neutralità fiscale previsto dall’articolo 58 del Tuir, sicché veniva recuperata a tassazione la plusvalenza emergente.

Gli eredi, invece, contrapponevano il fatto che tale iscrizione contabile riguardava un “avviamento escluso”, come espressamente specificato nel documento fiscale, tant’è che tale avviamento non era mai stato ammortizzato ed era stato indicato soltanto per garantire i crediti degli altri coeredi verso quello che aveva acquisito la farmacia.

La sentenza Ctr

I giudici di merito hanno dato ragione ai contribuenti, stabilendo che erano state rispettate le condizioni previste dall’articolo 58, ovvero lo scioglimento, entro cinque anni dall’apertura della successione, della società esistente tra gli eredi e l’attribuzione a uno solo di essi; e sempre in base all’articolo 58 nessun effetto avrebbe potuto produrre, ai fini dell’ammortamento, l’iscrizione dell’avviamento, come in effetti era avvenuto. Da qui l’annullamento dell’atto impositivo del Fisco.

Il precedente di Cassazione

Nella recente giurisprudenza di legittimità è stato esaminato un caso analogo, ma l’erede che aveva “ritirato” la farmacia aveva iscritto in bilancio il valore di avviamento derivante dall’acquisto delle quote dei coeredi e lo aveva ammortizzato e portato in deduzione.

In questo caso – ha stabilito la Cassazione – il pagamento dei conguagli costituisce un costo sostenuto allo scopo di acquisire la piena proprietà dell’azienda e continuare in via esclusiva l’attività imprenditoriale e, quindi, l’iscrizione in bilancio della quota di ammortamento dell’avviamento e la deducibilità della relativa posta sono legittime, stante l’evidente inerenza del costo (Cassazione, sentenze 949 e 954 del 2018).

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