Civile

L’errore sull’entità del contributo unificato può “costare” la compensazione delle spese

Lo ha stabilito la Terza sezione civile con l’ordinanza n. 13145 depositata oggi.

di Francesco Machina Grifeo

“La dichiarazione del difensore, attinente alla determinazione del contributo unificato, è ininfluente sul valore della domanda, in quanto è indirizzata al funzionario di cancelleria, cui compete il relativo controllo, ma, ove sia errata, può costituire una grave ed eccezionale ragione di compensazione delle spese processuali dell’impugnazione proposta dalla parte che voglia emendare l’errore in cui ha indotto il giudice adito nella determinazione dello scaglione applicabile per liquidare le spese nel provvedimento da lui emesso”. Lo ha stabilito la Terza sezione civile con l’ordinanza n. 13145 depositata oggi, affermando un principio di diritto.

La ricorrente riconosce di avere, ai fini della determinazione del contributo unificato, erroneamente indicato nell’atto di appello come valore della controversia la somma di euro 1.200,71. Afferma però che tale dichiarazione riguarda esclusivamente la determinazione del contributo unificato e non rileva sul valore della domanda giudiziale. Ragion per cui chiede di rideterminare in 484,42 euro (332, oltre accessori) le spese di lite oggetto di condanna del precedente Giudice.

La Terza Sezione civile ricorda che il valore della causa è pari: a) per il giudizio di primo grado, alla somma domandata con l’atto introduttivo, se la domanda viene rigettata; e, alla somma accordata dal giudice, se la domanda viene accolta; b) per il giudizio di appello, alla sola somma che ha formato oggetto di impugnazione, se l’appello è rigettato; e, alla maggior somma accordata dal giudice d’appello rispetto a quella ottenuta in primo grado dall’appellante, se l’impugnazione è accolta.

Il giudice di appello, prosegue la decisione, aveva condannato la ricorrente a pagare 1.378 euro, oltre accessori di legge (per un totale complessivo di euro 2.010,65), mentre avrebbe dovuto tenere conto dello scaglione sino a 1.100 € e liquidare la somma di € 332 per compensi, oltre CPA, IVA e altri accessori di legge.

L’applicazione del principio del decisum in grado di appello impone, infatti, di determinare il valore della causa, ai fini della liquidazione delle spese, in base a quella sola parte del credito ancora oggetto di contestazione. Per la Cassazione dunque la sentenza va cassata, limitatamente al capo sulle spese del grado di appello che vanno liquidate nel totale di 332 euro per compensi (per le quattro fasi considerate dal d.m.), oltre CPA, IVA e altri accessori di legge.

Nonostante l’accoglimento del ricorso, la Corte ha però compensato le spese del giudizio. La dichiarazione del difensore attinente alla determinazione del contributo unificato, spiega l’ordinanza, è ininfluente sul valore della domanda, in quanto è indirizzata al funzionario di cancelleria, cui compete il relativo controllo, sicché, non appartenendo tale dichiarazione di valore alle conclusioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio di merito, deve decisamente escludersi la possibilità di considerare la dichiarazione come parte della “domanda” nel senso cui vi allude il primo comma dell’articolo 10 c.p.c., quando dice che “il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda a norma delle disposizioni seguenti”.

Senonché, conclude la Cassazione, è di giustizia che l’errata dichiarazione del difensore non sia priva di rilievo ai fini della regolamentazione delle spese, essendo astrattamente idonea a indurre in errore il giudice che deve su di esse provvedere emanando il provvedimento conclusivo del giudizio dinanzi a lui; sicché non è equo che i costi dell’impugnazione resa necessaria dall’errore della parte ricadano sulla controparte, ove questa all’impugnazione stessa non abbia – come nella specie – neppure resistito; e quell’errata dichiarazione può, allora, integrare una grave ed eccezionale ragione di integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

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