Iure sanguinis per il minore il cui genitore ha perso la cittadinanza per naturalizzazione, rinvio alle SS.UU.
Al vaglio delle Sezioni Unite i rapporti fra art. 12 comma 2 e art. 7 della l. n. 555/1912, oltre alla questione della retroattività del D.L. 36/2025 e legge 74/2025
Le vicende al vaglio della Corte di Cassazione
Le due ordinanze interlocutorie della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, n. 20122 e n. 20129 del 18 luglio 2025, riguardano entrambe questioni di riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis in casi caratterizzati da situazioni di bipolidia dalla nascita e successiva naturalizzazione del genitore durante la minore età del figlio.
Nel primo caso (ordinanza n. 20122), la controversia origina dalla domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana presentata da discendenti di una cittadina italiana emigrata negli Stati Uniti d’America, il cui figlio era nato negli Stati Uniti prima che la madre si naturalizzasse Statunitense. Il Tribunale di Roma aveva rigettato la domanda ritenendo che il figlio avesse perso la cittadinanza italiana a seguito della naturalizzazione della madre avvenuta nel 1940, quando egli era ancora minorenne, applicando l’articolo 12, comma 2, della legge 555/1912. La Corte d’Appello di Roma aveva confermato tale orientamento.
Fattispecie del tutto speculare quella del secondo caso (ordinanza n. 20129), dove è emersa la medesima problematica interpretativa relativa all’applicazione dell’articolo 12, comma 2, della legge 555/1912 ai casi di bipolidia dalla nascita.
Il contrasto interpretativo
Il nucleo della controversia risiede nell’interpretazione dell’articolo 12, comma 2, della legge 555/1912 e nel suo coordinamento con l’articolo 7 della medesima legge. La Prima Sezione ha correttamente inquadrato i due orientamenti interpretativi contrapposti che si sono consolidati nella giurisprudenza di merito e di legittimità.
Il primo orientamento, fondato su decisioni di merito confermate dalla Corte di Cassazione con le sentenze n. 454/2024 e dalla n. 23212/2024, ritiene che l’articolo 12, comma 2, si applichi anche ai bipolidi dalla nascita, determinando la perdita della cittadinanza italiana del figlio minore quando il genitore esercente la patria potestà si naturalizzi straniero. Questo orientamento si fonda sulla ratio della norma, volta a preservare l’unità di cittadinanza all’interno del nucleo familiare secondo la concezione dell’epoca.
Il secondo orientamento, invece, sostiene che per i bipolidi dalla nascita operi un regime speciale disciplinato dagli articoli 7 e 8, n. 2, della legge 555/1912, che prevede la perdita della cittadinanza italiana solo per rinuncia volontaria una volta raggiunta la maggiore età. Questo orientamento valorizza l’elemento letterale dell’articolo 12, comma 2, che utilizza il verbo “acquistino” in riferimento alla cittadinanza straniera, ritenendo che tale formulazione non possa riferirsi a chi già possiede la cittadinanza straniera per nascita (in quanto, ad esempio, nato in paese di ius soli, come gli Stati Uniti).
Particolarmente significativa appare la valorizzazione dell’elemento letterale operata dalla Suprema Corte nelle ordinanze. L’utilizzo del verbo “acquistino” nell’articolo 12, comma 2, assume infatti rilevanza interpretativa cruciale nel contesto normativo che riconosce espressamente la bipolidia di diritto per nascita. Come correttamente osservato dalla Cassazione, tale formulazione dimostra la consapevolezza del legislatore del 1912 circa la differenza tra l’acquisto della cittadinanza straniera per nascita e quello conseguente alle scelte del genitore.
Le ordinanze fanno altresì opportuno riferimento alla prassi amministrativa consolidata, citando la nota circolare del Ministero dell’Interno K 28.1 del 1991 e la circolare del Ministero degli Affari Esteri n. 9 del 2011, nonché al parere del Consiglio di Stato n. 1820 del 1975, tutti univoci nell’interpretare uniformemente le norme in parola. Questa prassi ha costantemente chiarito che la naturalizzazione del genitore italiano successiva alla nascita del figlio non comporta(va) la perdita della cittadinanza italiana da parte del figlio doppio cittadino nato e residente in uno Stato estero da cui sia ritenuto proprio cittadino per nascita.
La menzione della nuova legge sulla cittadinanza
Un aspetto di particolare interesse nelle ordinanze è il riferimento effettuato dalla Suprema Corte al decreto legge del 28 marzo 2025, n. 36, che ha introdotto modifiche alla disciplina della cittadinanza italiana. Le ordinanze evidenziano come sia necessario verificare se tale decreto, poi convertito con modificazioni dalla legge 23 maggio 2025, n. 74, regoli anche la fattispecie in esame, pur dovendo rilevare che le fattispecie dedotte in giudizio si collocano temporalmente prima della novella legislativa (che tra l’altro prevede una specifica eccezione di applicabilità nel caso in cui la richiesta giudiziale di riconoscimento sia stata presentata entro le 23:59 ora di Roma del 27 marzo 2025).
Questa menzione assume particolare rilevanza perché dimostra l’attenzione della Cassazione verso uno dei temi più “caldi” legato alla nuova normativa, ossia la sua applicabilità ratione temporis. Sin dall’approvazione del decreto legge e della successiva legge di conversione, infatti, gli interpreti e gli operatori del diritto si sono interrogati sulla retroattività o irretroattività delle nuove norme, la cui formulazione – che lascia ampio spazio interpretativo - appare difficilmente riconciliabile con una serie di principi costituzionali, tra cui quello di irretroattività della legge. Il punto è quantomai rilevante per la platea di potenziali aventi diritto alla richiesta di riconoscimento della cittadinanza per diritto di sangue, in quanto dalla decisione sulla retroattività o meno delle nuove norme dipende sostanzialmente la possibilità di ottenere il riconoscimento, fortemente ristretto dalle nuove norme.
La giurisprudenza di merito ha già iniziato a prendere posizione sul tema, ad esempio il Tribunale di Campobasso con la recente sentenza n. n. 375/2025 del 2 maggio 2025 ha affermato che le disposizioni del Decreto Legge 36/2025 non hanno natura retroattiva e ciò non solo nel caso di domanda giudiziale di riconoscimento presentata in data antecedente alla sua entrata in vigore, ma soprattutto per un argomento generale e sistematico dell’ordinamento italiano. Sostiene infatti il Tribunale che “la normativa sopravvenuta richiamata dalla parte convenuta non sia applicabile al caso di specie, e ciò non solo in ragione di quanto espressamente ivi previsto e sopra riportato, ma anche in considerazione del generale principio dell’irretroattività della legge, che “non dispone che per l’avvenire” (art. 11 Preleggi)”.
Il fatto che anche la Corte di Cassazione ritenga indispensabile che le Sezioni Unite verifichino “se il disposto dell’art. 3-bis l. 91/92 […] regoli anche la fattispecie in esame, pur dovendosi rilevare che la fattispecie dedotta in giudizio si colloca temporalmente ante novella […]” è particolarmente significativo, in quanto a parere di chi scrive tale verifica deve logicamente intendersi come avente ad oggetto non solo la posizione di coloro che avevano già promosso un procedimento giudiziale di riconoscimento prima del 27 marzo 2025 e quindi ancora in vigenza della vecchia normativa, ma anche di coloro che erano già nati al momento dell’entrata in vigore del decreto legge e della legge ma che non avevano promosso il procedimento giudiziale prima di esse.
L’impatto della decisione della Corte di Cassazione
La decisione di rimettere la questione alle Sezioni Unite costituisce l’approdo di un periodo di oltre due anni di incertezza giurisprudenziale sul tema in oggetto, che ha portato alla pendenza di una molteplicità di procedimenti innanzi alla Suprema Corte. La decisione di rinviare alle Sezioni Unite appare pienamente condivisibile per diverse ragioni. In primo luogo, la questione presenta indubbiamente carattere di particolare importanza e rilevanza, investendo principi fondamentali del diritto alla cittadinanza italiana per nascita e interessando un numero particolarmente elevato di contenziosi e quindi di posizioni giuridiche soggettive che necessitano del chiarimento interpretativo per essere risolti.
In secondo luogo, il contrasto interpretativo che si è sviluppato negli ultimi due anni nella giurisprudenza di merito e – ora - di legittimità, richiede un definitivo chiarimento per garantire uniformità di orientamenti e certezza del diritto. La coesistenza di orientamenti contrapposti ha generato infatti inevitabile incertezza per i cittadini e per gli operatori del diritto.
Da ultimo, ma non meno importante, è il riconoscimento da parte della Suprema Corte della rilevanza della questione circa la retroattività o meno (in senso assoluto) dello ius superveniens costituito dal Decreto legge 36/2025 e dalla legge di conversione n. 74/2025, sulla quale le Sezioni Unite sono chiamate ad esprimersi: la nuova normativa è già oggetto di rinvii alla Corte Costituzionale affinché ne vengano valutati i profili potenzialmente contrari alla Costituzione, e pertanto la Suprema Corte ha la possibilità, nell’ambito della sua funzione normofilattica, di chiarire questo aspetto fondamentale della nuova normativa, ponendo rimedio alla situazione di grave incertezza giuridica venutasi a creare a causa dell’interferenza giuridica tra “vecchio” e “nuovo” regime di riconoscimento della cittadinanza per diritto di sangue.