Bancarotta, il Gup che decide il fallimento non è ricusabile
Per ricusare il giudice dell’udienza preliminare relativa a reati di bancarotta fraudolenta non basta che sia lo stesso magistrato che ha concorso a deliberare il fallimento dell’impresa. Nè é una giusta causa il suo ruolo di relatore nel procedimento di opposizione alla dichiarazione di insolvenza proposta dall’imputato, se in tali pronunce non ha fatto valutazioni di merito sui fatti addebitati.
La Cassazione (sentenza 17180) applica un principio utile a respingere un’istanza di ricusazione per incompatibilità nei confronti del giudice chiamato a presiedere il collegio del Tribunale che doveva decidere sulle imputazioni di bancarotta e truffa aggravata a carico dei ricorrenti. Ad avviso della difesa, la toga doveva fare un passo indietro perché aveva rivestito il ruolo di presidente del collegio civile sull’opposizione allo stato passivo proposta da uno dei ricorrenti e l’aveva rigettata dichiarando l’inammissibilità della domanda riconvenzionale. A rendere ancora più inopportuna la presenza del magistrato c’era anche la circostanza che questo si era avvalso della consulenza tecnica della pubblica accusa.
La Suprema corte nega però l’incompatibilità e lo fa mettendosi sulla scia di quanto affermato dalla Consulta con la sentenza 283/2000. I giudici delle leggi avevano affermato l’incostituzionalità della norma del Codice di rito penale (articolo 37, comma 1) per la parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che deve decidere sulla responsabilità dell’imputato, se ha espresso in un altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto. Per la Cassazione non è questo il caso. Nell’ordinanza di rigetto dell’opposizione allo stato passivo si era fatto cenno al delitto di bancarotta, ma solo per ricordare l’annullabilità dei negozi stipulati in frode ai creditori e dunque senza entrare nel merito e decidendo su fatti diversi. Per la stessa ragione non c’è pregiudizio per l’uso della consulenza tecnica.
Corte di cassazione – Sentenza 17180/2019