Banche: la commissione di massimo scoperto è fuori dal calcolo del Teg fino al 2009
La commissione di massimo scoperto non deve essere tenuta in considerazione per i rapporti bancari esauritisi prima del 1° gennaio 2010 al fine di valutare il superamento del tasso soglia, in quanto la previsione contenuta nell'articolo 2-bis della legge 2/2009 (che stabilisce l'inclusione degli interessi, delle commissioni, e delle provvigioni dipendenti dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente) non è norma di interpretazione autentica bensì disposizione con portata innovativa dell'ordinamento.
Sono questi i principali contenuti di una recente sentenza con cui la Prima Sezione della Suprema Corte di Cassazione (sentenza 22 giugno 2016 n. 12965) è tornata sul tema della verifica dell'usurarietà delle aperture di credito in conto corrente e sulla rilevanza della commissione di massimo scoperto, offrendo alcune rilevanti indicazioni su una questione tradizionalmente piuttosto controversa anche nella giurisprudenza di merito.
E' altresì precisato, aspetto non marginale, che l'articolo 1815, comma 2, del codice civile, che esplicitamente stabilisce che «se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi», per quanto incardinato in un capo che esplicitamente è intestato al mutuo, trova applicazione con riferimento a tutti i contratti bancari, compresa l'apertura di credito in conto corrente.
La questione maggiormente rilevante è, però, certamente quella dell'inclusione della commissione di massimo scoperto nella formula di determinazione dell'onerosità del rapporto di finanziamento ed a partire da quale data, su cui si sofferma in larga misura la pronuncia anche allo scopo di offrire un quadro sistematico dell'evoluzione normativa intervenuta nel corso del tempo.
I precenti - Tra l'altro, in proposito, è interessante altresì ricordare che la stessa Cassazione, seppure in sede penale (si veda la pronuncia n° 12028/2010), aveva stabilito in precedenza che la disposizione di cui all'articolo 2 bis della legge 2/2009 può essere considerata norma di interpretazione autentica dell'articolo 644 del codice penale «in quanto puntualizza cosa rientra nel calcolo degli oneri ivi indicati, correggendo una prassi amministrativa difforme». Mentre in sede civile (sentenza n° 4518/2014) era comunque stato affermato, in passato, che «la natura e la funzione della commissione non si discosta da quella degli interessi anatocistici, essendo entrambi destinati a remunerare la banca dei finanziamenti erogati».
Con la nuova e recente pronuncia, invece, la Corte dei Cassazione non ritiene, come anticipato, la disposizione recata dal comma 2, dell'articolo 2 bis della legge 2/2009 (secondo cui, testualmente, «gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente … sono comunque rilevanti ai fini dell'applicazione dell'articolo 1815 del codice civile, dell'articolo 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7 marzo 1996, n. 108») di interpretazione autentica.
Da un lato, rileva la circostanza che essa non contiene un chiaro regime di diritto intertemporale rivolto al periodo precedente alla sua entrata in vigore e, dall'altro assume importanza proprio la precisazione, contenuta nell'ultima parte dello stesso comma 2, secondo cui il limite oltre il quale gli interessi sono usurari resta regolato dalla disciplina vigente fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni.
L’interpretazione autentica - Inoltre, sempre secondo la sentenza, in termini più generali, la qualificazione di una disposizione di legge come norma di interpretazione autentica – al di là del carattere effettivamente interpretativo della previsione – deve esprimere in modo univoco l'intento del legislatore di imporre un determinato significato a precedenti disposizioni di pari grado, così da far regolare dalla nuova norma fattispecie sorte anteriormente alla sua entrata in vigore e, nella fattispecie, nessun dato testuale spinge in tale direzione.
Ne consegue, pertanto, che la decretazione d'urgenza del 2009 ha inteso introdurre un nuovo assetto specifico e più severo per le commissioni di massimo scoperto e per le commissioni di affidamento, che fosse vincolante per le banche e per i clienti soltanto al termine del periodo transitorio, fissato al 31 dicembre 2009.
Per corroborare ulteriormente tale conclusione la Cassazione ricorda ancora che, nelle prime istruzioni diramate dalla Banca d'Italia dopo la pubblicazione della legge 2/2009, era stato esplicitamente riportato che, fino al 31 dicembre 2009, la commissione di massimo scoperto non concorreva alla determinazione del TEG, dovendovi entrare – invece – a far data dal 1° gennaio 2010.
Tale aspetto non risulta banale considerando che sussiste un'indubbia l'esigenza di garantire una “simmetria” tra la metodologia di calcolo del TEGM (fissato trimestralmente dal Mef sulla base della rilevazioni della Banca d'Italia) e la metodologia di calcolo dello specifico TEG contrattuale (ossia delle condizioni di onerosità caratterizzanti il singolo rapporto di finanziamento). Ciò in quanto, il giudizio di usurarietà si fonda proprio sul raffronto tra il primo (che è un dato astratto) ed il secondo (che è un dato concreto) che, se eseguito non utilizzando il medesimo criterio, deve ritenersi in principio viziato.
Corte di Cassazione – Sezione I – Sentenza 22 giugno 2016 n. 12965