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Banche, legittimo proporre la polizza insieme al finanziamento

La Corte Ue, sentenza nella causa C-646/22, non ritiene che la proposta simultanea ma non condizionante costituisca una pratica commerciale aggressiva o sleale

 

La Corte Ue salva la pratica della Finanziarie di abbinare ad un finanziamento un contratto di assicurazione in modo rafforzare le garanzie a favore degli istituti di credito. Con la sentenza nella causa C-646/22 depositata oggi, AGCM contro Compass Banca, i giudici di Lussemburgo hanno infatti chiarito che la pratica commerciale in cui, a un consumatore, viene proposto simultaneamente un finanziamento personale e un prodotto assicurativo non collegato al prestito non costituisce né una pratica commerciale in ogni caso aggressiva né una pratica commerciale considerata in ogni caso sleale, ai sensi del diritto Ue.

Il caso - Tra il gennaio 2015 e il luglio 2018, Compass Banca ha offerto in vendita ai propri clienti, in aggiunta a varie tipologie di finanziamenti personali, polizze assicurative che fornivano una copertura per determinati eventi personali scollegati dal finanziamento. La sottoscrizione di una polizza assicurativa non era una precondizione per la concessione del finanziamento, ma veniva offerta in abbinamento. Inoltre, i contratti per i due prodotti venivano sottoscritti contemporaneamente.

Per l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) si trattava di una pratica commerciale «aggressiva», e quindi «sleale», per cui ha irrogato alla Banca una sanzione pecuniaria. Compass infatti avrebbe condizionato e limitato considerevolmente la libertà di scelta dei clienti, in particolare non chiarendo il carattere opzionale della polizza. Sempre secondo l’AGCM, la pratica sarebbe stata «aggressiva» se la sottoscrizione fosse stata separata da un periodo di riflessione di sette giorni. Il Consiglio di Stato, affrontando il giudizio, ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte alcune questioni pregiudiziali relative all’interpretazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori.

La motivazione - In primo luogo, il giudice di rinvio, si chiede, se la nozione di «consumatore medio», attribuisca sufficiente importanza alla teoria della «razionalità limitata», secondo la quale i consumatori spesso sarebbero soggetti a distorsioni, dette di «incorniciamento» (framing). In particolare, i consumatori potrebbero modificare le loro preferenze secondo le modalità di presentazione delle offerte contrattuali che vengono loro fatte. La Corte, nella sua sentenza, precisa che la nozione di «consumatore medio», ai sensi della direttiva, deve essere definita con riferimento a un consumatore normalmente informato nonché ragionevolmente attento ed avveduto. Questa definizione non è statica, e non esclude che la capacità decisionale di un individuo possa essere falsata da limitazioni, quali distorsioni cognitive. Spetta agli organi giurisdizionali determinare la reazione tipica del consumatore medio in una determinata situazione.

In secondo luogo, il giudice di rinvio si chiede se una pratica come quella della Compass Banca debba essere considerata una pratica commerciale «aggressiva» e, quindi, «sleale», quando le offerte commerciali fatte ai consumatori per un contratto di finanziamento e un prodotto assicurativo siano presentate con la distorsione dell’«incorniciamento» (framing), in modo da far credere loro che la concessione di un finanziamento personale sia subordinata alla sottoscrizione di un’assicurazione. La corte ritiene che non siamo davanti né una pratica commerciale in ogni caso aggressiva né una pratica commerciale considerata in ogni caso sleale. La direttiva infatti prevede un allegato in cui vengono elencate tutte le pratiche commerciali sleali, tra le quali non compare la fattispecie in esame.

Tuttavia, l’articolo 8 della direttiva riconosce come aggressiva la pratica commerciale che, mediante indebito condizionamento, limiti la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Non è necessariamente un condizionamento illecito, bensì un condizionamento che, fatta salva la sua liceità, comporta in modo attivo, attraverso una certa pressione, il condizionamento forzato della volontà del consumatore.

Tornando al caso in esame, presentare simultaneamente un’offerta di finanziamento personale e un’offerta di un prodotto assicurativo non collegato, senza che gli venga lasciato un periodo di riflessione tra la sottoscrizione dei contratti relativi a tali offerte, non implica, di per sé, l’esistenza di atti di pressione, quand’anche tale prassi possa generare una distorsione di incorniciamento. Di conseguenza, una siffatta prassi non può caratterizzare, da sola, un «indebito condizionamento».

Per quanto concerne poi la possibilità per un’autorità nazionale di poter imporre al professionista di concedere al consumatore un periodo di riflessione ragionevole tra le date della firma del contratto di assicurazione e del contratto di finanziamento, una volta accertato il carattere «aggressivo» o, «sleale», di una pratica commerciale, la Corte considera che, conformemente al principio di proporzionalità, un’autorità nazionale può ricorrere a una siffatta misura solo se è dimostrato che non esistono altri mezzi altrettanto efficaci per porre fine a tale pratica che siano meno lesivi della libera prestazione di servizi e della libertà d’impresa del professionista interessato.

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