Amministrativo

Beni culturali privati, la richiesta di accesso civico non può essere “soggettiva”

Il Tar per il Lazio (sent. n. 19889/2023) ha annullato la nota con cui il Ministero della Cultura aveva accordato alla trasmissione ’Report’ l’“accesso” per conoscere l’elenco delle opere d’arte appartenute a Gianni Agnelli

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di Francesco Machina Grifeo

Il Tar per il Lazio (Sez. II quater), con la sentenza del 28 dicembre 2023, n. 19889 , ha annullato la nota con cui il Ministero della Cultura - Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio aveva accordato ad un giornalista della trasmissione Rai ’Report’ il via libera all’“accesso civico generalizzato” per conoscere l’elenco delle opere d’arte appartenute a Gianni Agnelli e poi pervenute per successione ai suoi eredi. I giudici amministrativi hanno così accolto il ricorso presentato da John, Lapo e Ginevra Elkann, nipoti dell’Avvocato affermando che il Ministero non può accogliere l’istanza (formulata ai sensi del Dlgs n. 33 del 2013) poiché prevalgono le esigenze della riservatezza e della sicurezza dei proprietari.

I legali degli Elkann, fra l’altro, avevano sollevato il problema della tutela della sfera di riservatezza, oltre al fatto che la richiesta fosse “non proporzionata rispetto allo scopo tipico dell’istituto della richiesta di accesso civico generalizzato”, essendo “strumentale alla ricerca di informazioni ’soggettive’ anziché ’oggettive’”.

Una doglianza accolta dal Tar che ha stigmatizzato proprio l’impronta “soggettivistica” della richiesta. “L’accesso civico generalizzato – si legge nella decisione - è uno strumento che può astrattamente essere azionato per accertare se e come il Ministero della cultura abbia valutato il pregio artistico di un determinato bene, ad esempio nel momento in cui tale bene sia stato eventualmente fatto oggetto di una richiesta di rilascio di un attestato di libera esportazione…”. In quest’ottica, dunque, “rappresenta lo strumento accordato al quisque de populo per verificare il perseguimento delle funzioni di salvaguardia del patrimonio culturale della nazione”. Tale istituto, prosegue il Collegio, però non può tradursi in uno strumento atto ad “aggirare” le condizioni del Codice dei beni culturali sulla conoscibilità e segnatamente dei limiti frapposti alla consultazione di talune informazioni.

Ed è il Legislatore ad avere stabilito, in via generale e astratta, una limitazione alla libera consultazione del patrimonio informativo esistente presso il Ministero, e dunque alla accessibilità alle informazioni concernenti i beni culturali, considerando preminenti gli interessi alla sicurezza del bene e riservatezza del soggetto che ne è titolare. Nello stesso senso dispone anche il quadro normativo sovranazionale in materia di protezione dei dati personali.

Tornando al caso specifico, l’istanza - osserva il Tar - era stata impostata “su base esclusivamente soggettiva”, in quanto diretta ad appurare quali erano i beni originariamente di proprietà di un determinato soggetto privato e, ora, nella titolarità dei suoi eredi”, da ciò si desume che “non traspare un interesse alla conoscenza (“right to know”) di documentazione e/o informazioni concernenti le funzioni istituzionali di tutela del patrimonio culturale italiano demandate al Ministero della cultura (meritevole di soddisfazione ai sensi dell’art. 5 d. lgs. n. 33/2013)”. Infatti, un accesso civico generalizzato avrebbe potuto favorevolmente apprezzarsi, in astratto, unicamente laddove l’istanza fosse stata formulata con riferimento ad opere d’arte specificamente indicate, e dunque in chiave “oggettiva”, al fine di valutare se il Ministero ne abbia o meno correttamente apprezzato le qualità intrinseche.

Quindi sebbene non possa dirsi che l’istanza sia stata presentata al fine di soddisfare un’esigenza strettamente “personale” o “egoistica” del giornalista, neppure può sostenersi che la richiesta “è finalizzata ad accertare la sussistenza di un interesse artistico pubblico di rilievo costituzionale”.

In altri termini, “l’accesso deve avere comunque ad oggetto dati, elementi informativi o documenti che consentano di valutare, in un’ottica di trasparenza e democraticità, la correttezza dell’esercizio dei pubblici poteri e il perseguimento delle funzioni istituzionali devolute all’amministrazione, in ciò risiedendo l’interesse pubblico sotteso all’ostensione”. “Viceversa, non sarebbe ammissibile una richiesta ostensiva volta ad appurare (in una prospettiva per così dire “rovesciata” e con intento esplorativo) se, con riferimento ad un ben individuato soggetto, quelle funzioni siano state o meno esercitate, non rispondendo una siffatta istanza alle finalità per le quali l’accesso è accordato”.

Anche dunque se si riconosce come “fatto notorio” la circostanza che il defunto Avvocato fosse stato in possesso di “diverse opere d’arte, anche di Artisti di primissimo rilievo ciò non rileva minimamente ai fini dell’accesso ai sensi del d. lgs. n. 33/2013, non potendo tale elemento dare la stura ad istanze precipuamente volte ad una ricostruzione del patrimonio culturale meramente “personalizzata”, ossia “tagliata” unicamente sul soggetto privato titolare dell’opera e non improntata, come invece dovrebbe essere, allo specifico “oggetto” della tutela (e dunque al bene culturale in sé), quale elemento che legittima una conoscenza da parte del pubblico”.

Inoltre, il provvedimento è illegittimo anche perchè “si pone in frontale contrasto con il disposto di cui all’art. 17, comma 6 d. lgs. n. 42/2004, accordando un accesso a dati da mantenersi riservati”. Proprio l’impronta esclusivamente soggettiva della richiesta, conclude il Collegio, “avrebbe dovuto indurre il Ministero a negare l’accesso in base alla citata norma, che per l’appunto esclude dalla consultazione le informazioni concernenti la titolarità del bene culturale, avendo precipuo riguardo ai beni vincolati di proprietà privata. Infine, la circostanza che l’avvocato sia defunto, e pertanto i beni di cui trattasi siano caduti in successione ereditaria, non elide l’impostazione prettamente “soggettivistica” della richiesta”.

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