C’è reato di turbata libertà del procedimento anche se il bando non viene modificato
Il reato di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, previsto dall'articolo 353-bis del Cp, integra un reato di pericolo, che si consuma indipendentemente dalla realizzazione del fine di condizionare le modalità di scelta del contraente, onde, per il relativo perfezionamento non è necessario che il contenuto del bando venga effettivamente modificato in modo tale da condizionare la scelta del contraente, né, a maggior ragione, occorre che la scelta del contraente venga effettivamente condizionata.
Nella specie, peraltro, la Corte di cassazione, con la sentenza 1/2015, ha annullato con rinvio la decisione cautelare che aveva ravvisato il reato rispetto a una delibera di proroga di un contratto in essere, asseritamente finalizzata a evitare l'espletamento di una nuova gara d'appalto, evidenziando un carente approfondimento della circostanza fattuale che tale delibera era risultata esente da censure sul piano amministrativo e comunque quasi doverosa.
L'ambito di applicazione dell'articolo 353-bis del Cp - La Cassazione ricostruisce la portata e l'ambito di applicazione dell'articolo 353-bis del Cp, introdotto dalla legge 13 agosto 2010 n. 136.
Si tratta, puntualizza la Cassazione, di un nuovo reato di pericolo che, affiancando l'originario modello tipizzato dall'articolo 353 del Cp, tende a reprimere le condotte di turbativa poste in essere «antecedentemente» alla pubblicazione del bando di gara, che finora sfuggivano alla sanzione penale, così da reprimere con maggiore efficacia il fenomeno della turbativa d'asta che può investire, nelle sue multiformi manifestazioni, anche il procedimento formativo del bando di gara, condizionandone il contenuto in modo tale che un determinato soggetto possa essere favorito nell'aggiudicazione ancor prima della sua apertura, mettendo in pericolo, da un lato, il buon andamento della pubblica amministrazione e, dall'altro, la libera concorrenza tra i partecipanti alla gara.
La norma incriminatrice, in particolare, punisce chiunque, con atti tassativamente specificati (violenza, minaccia, doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti), «turba il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione».
Poiché, quindi, il condizionamento del contenuto del bando è il fine dell'azione, il reato (appunto di pericolo) si consuma indipendentemente dalla realizzazione del fine medesimo, onde, per l'integrazione, non è necessario che il contenuto del bando venga effettivamente modificato in modo tale da condizionare la scelta del contraente, né, a maggior ragione, occorre che la scelta del contraente venga effettivamente condizionata (in termini, sezione VI, 22 ottobre 2013, Franceschi).
Quando scatta il “turbamento” - Invece, è sufficiente che si verifichi un turbamento del processo amministrativo, ossia che la correttezza della procedura di predisposizione del bando sia messa concretamente in pericolo, attraverso l'alterazione o lo sviamento del suo regolare svolgimento, e ciò con la presenza di un dolo specifico qualificato dal fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione.
Quanto poi all'ambito di applicazione della norma, ragione ancora la Corte, il riferimento alla nozione di «atto equipollente» (al bando di gara) e la ratio della previsione incriminatrice inducono a farvi rientrare qualunque provvedimento alternativo al bando di gara, adottato per la scelta del contraente, ivi inclusi, pertanto, quelli statuenti l'affidamento diretto: in altri termini, la norma si estende a qualsiasi forma di aggiudicazione che prescinda dalla celebrazione di una gara e alla stessa fase di selezione dello strumento di aggiudicazione, oltre che a tutte quelle situazioni in cui l'attività illecita si risolva nella stessa elusione del rispetto di una regolata procedura concorrenziale.
Corte di cassazione - Sezione VI penale - Sentenza 2 gennaio 2015 n. 1