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Casa ammobiliata? Il trasloco non è necessario

Nota a Ordinanza del 23 agosto 2023, Corte d'Appello di Roma

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Annunziata Farro*

La Corte d'Appello di Roma, con ordinanza in data 23 agosto 2023, nel decidere su un'istanza di inibitoria ex art. 373 c.p.c., conseguente a Sentenza di condanna per rilascio d'immobile ha statuito rigettando l'istanza, ed aderendo totalmente alla teoria prospettata dalla parte resistente, che - dato che l'appartamento di cui la Sentenza aveva disposto il rilascio era ammobiliato -il trasloco non era necessario!

E, pertanto, quanto lamentato dall'istante circa l'aggravio economico da questo derivante, non aveva ragion d'essere.

L'ordinanza in esame, a parte che per la involontaria ed intrinseca boutade di cui sopra, merita attenzione per il fatto che in controtendenza rispetto alla giurisprudenza maggioritaria, che distingue tra gravità ed irreparabilità del danno, nei sensi che preciseremo appresso, esamina congiuntamente i due aspetti, e sempre e solo relativamente all'aspetto economico della vicenda, non prendendo per nulla in esame l'irreparabilità del danno sotto il profilo della non ripristinabilità del contratto di locazione conseguente alla "risoluzione", per effetto dell'esecuzione di una sentenza non definitiva, profilo pure sollevato da parte istante.

Peraltro, anche con riguardo alla portata dell'inadempimento la Corte sembra contraddirsi nel valutare dapprima grave l'inadempimento del conduttore istante e, dipoi, nel valutare "di ammontare non cospicuo", il medesimo inadempimento sotto l'aspetto della insussistenza del pericolo d'insolvibilità dell'accipiens, in caso di accoglimento del proposto gravame in cassazione (profilo- quello della irrecuperabilità delle somme- peraltro, a tenore della stessa ordinanza, non sollevato dall'istante).

La dottrina e la giurisprudenza sono oramai concordi- come ricordato anche nella ordinanza in esame- nell'identificare il danno grave con quello che ecceda il "necessario" pregiudizio derivante dall'esecuzione della sentenza, ed il danno irreparabile in quello che si produce con esclusione della possibilità di recupero o reintegrazione in caso di accoglimento del ricorso per cassazione.

E, per quanto si diceva sopra, seppur non v'è dubbio che per accedere al rimedio in esame le due qualificazioni del danno debbano coesistere - peraltro, osta ad una diversa conclusione, la "e" di congiunzione usata dal legislatore – tale coesistenza, però, non deve necessariamente sussistere con riguardo a tutti i danni prospettati nell'istanza, ben potendo essere che per alcuni di essi possa ravvisarsi solo la gravità, per altri solo l'irreparabilità e, per altri ancora, ambedue.

Peraltro, infatti, il legislatore nel dettato normativo, considera debba essere grave ed irreparabile "il danno" derivante dall'esecuzione nel suo complesso, e non con riferimento ai singoli aspetti di cui questo si compone.

Conclusivamente, l'ordinanza in discorso appare essere un po' un'occasione persa da parte della Corte romana per contribuire, come con altre pronunzie della stessa Corte, a "segnare la strada" e dare consistenza alle scarne disposizioni codicistiche.

Ricordiamo, brevemente, che l'istanza ex art. 373 c.p.c. è il rimedio previsto dal codice di rito, per richiedere la sospensione dell'esecutività della Sentenza di secondo grado, "qualora dall'esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno", ed è rimedio che, diversamente da quello previsto dall'art. 283 c.p.c., si propone al Giudice a quo .

Ciò, a parere di chi scrive, in perfetta coerenza giuridica con il fatto che la Corte di Cassazione, competente per le impugnazioni delle sentenze emesse in grado d'appello, sia giudice di legittimità e non di merito.

Unica condizione per la proposizione della suddetta istanza, a norma dell'art. 131 bis delle disposizioni di attuazione del c.p.c., è che la parte istante dia dimostrazione di aver effettivamente depositato il ricorso per cassazione avverso la sentenza della cui esecutività si chiede la sospensione.

Non è, invece, condizione per la proposizione dell'istanza in discorso, il fatto che l'esecuzione sia già iniziata, ben potendosi - anzi per la maggior parte della dottrina – dovendosi, di preferenza, esperire tale rimedio quando l'esecuzione non abbia avuto ancora inizio, ma la parte vittoriosa abbia dato contezza di voler procedere in tal senso.

Altra particolarità che distingue il rimedio di cui all'art. 373 c.p.c. da quello esperibile ex art. 283 citato codice, è l'area entro la quale può esplicarsi la valutazione del giudice, al quale - nel rimedio per primo citato - è interdetta ogni valutazione rispetto al "fumus" della proposta impugnazione.

Da ultimo giova ricordare che l'ordinanza che si pronuncia sull'inibitoria ex art. 373 c.p.c. non è impugnabile, né suscettibile di passare in giudicato, e che l'istanza può essere riproposta qualora le condizioni che ne avevano suggerito la proposizione mutino, o sopraggiungano fatti nuovi.

Sulle spese dell'istanza ex art. 373 c.p.c. si pronuncia non la Corte adita, ma la Cassazione con la stessa Sentenza che decide il ricorso.

*di Annunziata Farro, avvocato in Roma

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