Comunitario e Internazionale

Cedu e violenza domestica, condannata l'Italia per inerzia delle autorità

Inquirenti colpevoli di non aver adottato tempestive misure finalizzate a fronteggiare il rischio di violenza nei contronti della ex moglie e dei figli

di Valeria Cianciolo

Con la recente sentenza del 16 giugno 2022 (Corte EDU, Sez. I, 16 giugno 2022 n. 23735 – AFFAIRE DE GIORGI c. ITALIE), la Cedu ha condannato il nostro Paese per la condotta inerte tenuta dalle autorità inquirenti colpevoli di non aver adottato tempestive misure finalizzate a fronteggiare il rischio concreto di episodi di violenza domestica posti in essere da un uomo nei confronti dell'ex moglie e dei figli.
La vicenda ricorda il triste caso Talpis (Cedu, Sez. I, 02 marzo 2017, n. 412379, dove per la prima volta la Cedu ha condannato l'Italia per la violazione del diritto alla vita (articolo 2) e del divieto di trattamenti inumani e degradanti (articolo 3), riconoscendo alla ricorrente di essere stata discriminata, sulla base del genere (articolo 14).
L'obbligo derivante dall'art. 2 della Convenzione di adoperare strumenti di prevenzione per difendere un individuo la cui vita è minacciata da crimini altrui è stato affermato per la prima volta nel caso CEDU Osman c. Regno Unito, 28 ottobre 1998, n. 23452/94, §§ 115-116.

Il ruolo delle autorità
In questa sentenza, si è affermato che le autorità qualora sappiano o avrebbero dovuto sapere l'esistenza di un pericolo reale e immediato per la vita di una persona a seguito di atti criminali di un terzo, esse devono adottare, in aderenza alle loro competenze e ai loro poteri, tutte le misure che ci si può ragionevolmente aspettare per scongiurare questo rischio.
La portata e il contenuto di questo obbligo nel contesto della violenza domestica sono stati di recente spiegati nel caso CEDU Kurt c. Austria [GC], 15 giugno 2021, n. 62903/15, §§ 157-189 e possono essere riassunti come segue:
1) le autorità devono reagire immediatamente alle accuse di violenza domestica;
2) quando tali accuse sono portate alla loro attenzione, le autorità devono stabilire se esiste un rischio reale e immediato per la vita delle vittime di violenza domestica che sono state identificate e devono, per fare ciò, effettuare una valutazione del rischio che sia autonoma, proattiva ed esauriente. Devono tenere in debita considerazione il contesto particolare, che è quello dei casi di violenza domestica, nella valutazione del carattere di rischio reale e immediato;
3) quando tale valutazione evidenzi l'esistenza di un rischio reale e immediato per la vita degli altri, le autorità sono obbligate ad adottare misure operative preventive. Queste misure dovrebbero essere adeguate e proporzionate al livello di rischio individuato.

Il caso esaminato
Nell'Affaire De Giorgi dello scorso 16 giugno, la donna aveva presentato sette denunce tra il 2015 e il 2019, affermando che il suo ex marito aveva minacciato di ucciderla, l'aveva colpita con un casco da motociclista, aveva posizionato di nascosto dei dispositivi di videoregistrazione all'interno della sua abitazione, l'aveva perseguitata e monitorato i suoi movimenti, molestata davanti a casa sua, si era intromesso illegalmente nella sua vita privata, le aveva rubato la posta, non le aveva pagato il mantenimento ed aveva maltrattato i loro figli.
Il caso prospettato verte sulla violazione degli articoli 3 e 8 della Cedu in quanto, alcune delle denunce presentate dalla ricorrente non avevano avuto alcun seguito perché i pubblici ministeri avevano ritenuto da un lato, che non fossero sufficientemente dettagliate e dall'altro, che le dichiarazioni della donna non erano sufficientemente attendibili.
Strasburgo dunque, afferma che: "E' responsabilità delle autorità tenere conto della situazione di precarietà e particolare vulnerabilità, sia morale che fisico e/o materiale della vittima e arginare la situazione, il prima possibile.
Le autorità italiane non hanno tenuto conto seriamente della successione di incidenti violenti accaduti nella vicenda, così come richiesto nei casi di violenza domestica. I pubblici ministeri titolari delle indagini non hanno mostrato alcuna consapevolezza delle caratteristiche specifiche tipiche dei casi di violenza domestica."

La posizione della Corte
Secondo la Corte di Strasburgo, lasciare la ricorrente abbandonata a sè stessa in una situazione di provata violenza domestica equivale alla rinuncia da parte dello Stato al suo obbligo di indagare su tutti i casi di maltrattamenti.
La Corte ricorda su questo punto che il mero trascorrere del tempo è in grado di danneggiare l'indagine, ma anche di compromettere permanentemente ogni possibilità di successo. Si cancellano le prove e la mancanza di diligenza mette in dubbio la buona fede con cui vengono svolte le indagini.
Viene sottolineata ancora una volta la particolare diligenza richiesta nell'affrontare le denunce di violenza domestica posto che la specificità degli atti di violenza domestica come riconosciuto nello stesso preambolo alla Convenzione di Istanbul, deve essere presa in considerazione nell'ambito delle procedure interne.
I giudici di Strasburgo sottolineano come nella Raccomandazione Rec(2002)5 del Comitato dei Ministri del 30 aprile 2002 sulla protezione delle donne contro la violenza, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha invitato gli Stati membri a introdurre, sviluppare e/o migliorare, ove opportuno, politiche nazionali di lotta alla violenza basate sulla massima sicurezza e protezione delle vittime, sostegno e assistenza, adeguamento del diritto penale e civile, sensibilizzazione dell'opinione pubblica, formazione dei professionisti che si occupano di violenza contro le donne e prevenzione. La Corte ribadisce che l'obbligo di svolgere un'indagine efficace su tutti gli atti di violenza domestica è un elemento essenziale degli obblighi che l'articolo 3 della Convenzione impone allo Stato. Per essere efficace, tale indagine deve essere tempestiva e approfondita; tali requisiti si applicano all'intero procedimento, anche nella fase processuale.
Strasburgo ha dunque, condannato l'Italia ritenendo che il nostro Paese sia venuto meno al suo dovere di indagare sui maltrattamenti subiti dalla ricorrente e dai suoi figli e che il modo in cui le autorità nazionali hanno condotto il procedimento penale nel caso esaminato rifletta anche la "passività giudiziaria" violando così, i requisiti dell'articolo 3 della Convenzione.
Non è sotto processo il nostro sistema normativo, ma il sistema giustizia. La stessa Corte EDU afferma che il quadro normativo italiano era idoneo a fornire protezione contro atti di violenza che potrebbero essere commesso da individui in un caso particolare. Il sistema legislativo italiano (cfr. paragrafi 35-36) offerto alle autorità riguardava una gamma sufficiente di possibilità adeguate e proporzionate dato il livello di rischio del caso.
Adesso il nostro Paese ha tre mesi di tempo per chiedere il rinvio alla Grande Camera della questione.

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