Casi pratici

Compravendita: abitabilità, agibilità, titolo edilizio

di Laura Biarella

LA QUESTIONE
Quali sono le conseguenze della mancanza del certificato di abitabilità/agibilità nel rapporto di compravendita? E se manca il titolo edilizio? Cosa è il "certificato di stato legittimo" di un'immobile?

Il certificato di abitabilità è un documento rilasciato dal comune in cui si trova l'immobile: attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti; rientra, quindi, tra i titoli e i documenti relativi alla proprietà.
La consegna di tale documento, ove questo sia un appartamento da adibire ad abitazione, pur non costituendo di per sé condizione di validità della compravendita, integra un'obbligazione incombente sul venditore ai sensi dell'art. 1477 c.c., attenendo a un requisito essenziale della cosa venduta, in quanto incidente sulla possibilità di adibire legittimamente la stessa all'uso contrattualmente previsto. La mancanza di quel documento costituisce grave inadempimento del venditore che giustifica il rifiuto del compratore di procedere all'acquisto. L'assenza di agibilità può comunque costituire motivo di risoluzione del contratto qualora il venditore abbia dichiarato che l'immobile ne era provvisto o abbia assunto l'obbligo di ottenere il relativo rilascio.
Può altresì configurarsi la responsabilità del notaio che nell'atto di compravendita, non informi l'acquirente della mancanza di abitabilità dell'immobile oggetto di trasferimento.
Il solo fatto che il cliente sia stato in condizioni tali da dover conoscere, secondo l'ordinaria diligenza, che l'immobile era privo dell'abitabilità, non può valere di per sé a esentare il notaio da responsabilità, se la mancanza di quella caratteristica sia o debba essere conosciuta o conoscibile da parte del notaio secondo la diligenza impostagli dalla prestazione che è chiamato a rendere, specie se si tratti di una prestazione che non presenti la necessità di risolvere i «problemi tecnici di speciale difficoltà» evocati dall'art. 2236 c.c.
Occorre, in sostanza, in ottemperanza al contenuto della prestazione professionale, che il notaio acquisisca con sicurezza che la percezione di quella situazione vi sia da parte del cliente. Se egli non ha questa certezza, i doveri inerenti l'obbligo relativo alla sua prestazione d'opera gli impongono di informare il cliente. Solo a seguito dell'informativa, se il cliente insistesse per la conclusione del negozio nonostante l'avviso espressogli dal notaio, quest'ultimo potrà rogare l'atto (naturalmente se esso non è vietato dalla legge) comunque, facendosi esentare da responsabilità, cioè dando atto che esso viene concluso nella consapevolezza del cliente e in genere delle parti, che l'immobile viene trasferito privo dell'abitabilità.
Per il notaio incaricato della preparazione e stesura di un atto pubblico di trasferimento immobiliare, la preventiva verifica della libertà e disponibilità del bene e, più in generale, delle risultanze dei registri immobiliari attraverso la loro visura, costituisce, salvo espressa dispensa per concorde volontà delle parti, obbligo derivante dall'incarico conferitogli dal cliente e, quindi, fa parte dell'oggetto della prestazione d'opera professionale, poiché l'opera di cui è richiesto non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti, ma si estende a quelle attività preparatorie e successive necessarie perché sia assicurata la serietà e certezza dell'atto giuridico da rogarsi e, in particolare, la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti partecipanti alla stipula dell'atto medesimo. Conseguentemente, l'inosservanza dei suddetti obblighi accessori da parte del notaio dà luogo a responsabilità contrattuale per inadempimento dell'obbligazione di prestazione d'opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale peculiare forma di responsabilità (Cass. n. 10296/2012).


Quadro normativo: abitabilità e agibilità
Oggi, il testo normativo di riferimento in punto di disciplina del certificato di abitabilità, o più correttamente agibilità, risulta essere il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, il D.P.R. n. 380/2001, che ai suoi artt. 24 e 25 ne disciplina la natura, nonché il procedimento da seguire per ottenerne il rilascio.
Tale testo, nell'abrogare le precedenti normative, ha ricondotto a unità la diversa terminologia utilizzata in materia: abitabilità-agibilità. Precedentemente a tale norma, venivano utilizzati entrambi i termini: si usava il termine abitabilità con riferimento agli immobili a uso abitativo, e il termine agibilità veniva utilizzato per gli immobili a uso non abitativo. Le differenti terminologie riconducevano comunque a un unico dettato normativo generando confusione in ordine all'applicazione dell'istituto.
Il D.P.R. n. 380 /2001 è intervenuto a semplificare la materia facendo riferimento esclusivamente al concetto di "agibilità". Dunque, seppur comunemente si continua ad adottare il termine "abitabilità", il testo unico parla di « certificato di agibilità » anche in riferimento agli immobili a uso abitativo.


Il certificato di agibilità
Secondo la definizione di cui all'art. 24 del D.P.R. n. 380/2001, modificata dalla L. 11.11.2014, n. 164, il certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente.
Il certificato di agibilità viene rilasciato dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale con riferimento ai seguenti interventi:
a) nuove costruzioni;
b) ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali;
c) interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati.
L'art. 17, D.L. del 12.09.2014, n. 133, convertito in legge dalla L. 11.11.2014, n. 164, ha modificato il comma 3 dell'art.24 in commento, che pertanto nella novellata formulazione statuisce: "Con riferimento agli interventi di cui al comma 2, il soggetto titolare del permesso di costruire o il soggetto che ha presentato la segnalazione certificata di inizio attività o la denuncia di inizio attività, o i loro successori o aventi causa, sono tenuti a chiedere il rilascio del certificato di agibilità. La mancata presentazione della domanda comporta l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da 77 a 464 euro".
Si rileva, infine che l'art. 30 del D.L. 21.06.2013, n. 69, convertito in L. 09.08.2013, n. 98, ha aggiunto il comma 4 all'art. 24 in commento, il quale pertanto dispone che alla domanda per il rilascio del certificato di agibilità deve essere allegata copia della dichiarazione presentata per la iscrizione in catasto, redatta in conformità alle disposizioni dell' articolo 6 del regio decreto legge 13 aprile 1939, n. 652, e successive modificazioni e integrazioni: «a) per singoli edifici o singole porzioni della costruzione, purché funzionalmente autonomi, qualora siano state realizzate e collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative all'intero intervento edilizio e siano state completate e collaudate le parti strutturali connesse, nonché collaudati e certificati gli impianti relativi alle parti comuni; b) per singole unità immobiliari, purché siano completate e collaudate le opere strutturali connesse, siano certificati gli impianti e siano completate le parti comuni e le opere di urbanizzazione primaria dichiarate funzionali rispetto all'edificio oggetto di agibilità parziale».


Procedimento di rilascio del certificato di agibilità
Secondo quanto disposto dall'art. 25 del D.P.R. n. 380/2001, modificato dal D.L. 21.06.2013, n. 69, convertito in L. 09.08.2013, n. 98, nonché dal D.L. 12.09.2014, n. 133, convertito in L. 11.11.2014, n. 164, entro quindici giorni dall'ultimazione dei lavori di finitura dell'intervento, il soggetto titolare del permesso di costruire o il soggetto che ha presentato la denuncia di inizio attività, è tenuto a presentare allo sportello unico la domanda di rilascio del certificato di agibilità, corredata della seguente documentazione:
a) richiesta di certificato di agibilità, che lo sportello unico provvede a trasmettere al catasto;
b) dichiarazione sottoscritta dallo stesso richiedente il certificato di agibilità di conformità dell'opera rispetto al progetto approvato, nonché in ordine alla avvenuta prosciugatura dei muri e della salubrità degli ambienti;
c) dichiarazione dell'impresa installatrice che attesta la conformità degli impianti installati negli edifici adibiti a uso civile alle prescrizioni di cui agli artt. 113 e 127, nonché all'art. 1 della legge 9 gennaio 1991, n. 10, circa l'uso razionale dell'energia e del risparmio energetico, ovvero certificato di collaudo degli stessi, ove previsto, ovvero ancora certificazione di conformità degli impianti prevista dagli artt. 111 e 126 del Testo unico.
Lo sportello unico comunica al richiedente, entro dieci giorni dalla ricezione della domanda, il nominativo del responsabile del procedimento ai sensi degli artt. 4 e 5 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Entro trenta giorni dalla ricezione della domanda, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, previa eventuale ispezione dell'edificio, rilascia il certificato di agibilità verificata la seguente documentazione:
a) certificato di collaudo statico di cui all'articolo 67 del Testo unico;
b) certificato del competente ufficio tecnico della regione, di cui all'art. 62 del Testo unico, attestante la conformità delle opere eseguite nelle zone sismiche alle disposizioni di cui al capo IV della parte II;
c) la documentazione allegata alla domanda;
d) dichiarazione di conformità delle opere realizzate alla normativa vigente in materia di accessibilità e superamento delle barriere architettoniche di cui all'art. 77, nonché all'art. 82.
Trascorso inutilmente il termine di 30 giorni, l'agibilità si intende attestata nel caso sia stato rilasciato il parere dell'ASL di cui all'art. 5, comma 3, lett. a). In caso di autodichiarazione, il termine per la formazione del silenzio assenso è di sessanta giorni.
Il termine di 30 giorni cui al comma 3 dell'art. 25 può essere interrotto una sola volta dal responsabile del procedimento, entro quindici giorni dalla domanda, esclusivamente per la richiesta di documentazione integrativa, che non sia già nella disponibilità dell'amministrazione o che non possa essere acquisita autonomamente. In tal caso, il termine di trenta giorni ricomincia a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa.
Le succitate modifiche hanno inoltre statuito che se il soggetto interessato non proponga domanda ai sensi del comma 1, fermo restando l'obbligo di presentazione della documentazione sopra elencata, presenta la dichiarazione del direttore dei lavori o, qualora non nominato, di un professionista abilitato, mediante la quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato e la sua agibilità, corredata dalla seguente documentazione:

a) richiesta di accatastamento dell'edificio che lo sportello unico provvede a trasmettere al catasto;

b) dichiarazione dell'impresa installatrice che attesta la conformità degli impianti installati negli edifici alle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico valutate secondo la normativa vigente. L'articolo in commento precisa infine, al comma 5-ter, che le Regioni a statuto ordinario disciplinano con legge le modalità per l'effettuazione dei controlli.
L'effetto principale della novella è quello che a seguito della sua presentazione e della dichiarazione del direttore dei lavori o del professionista abilitato l'agibilità si dovrebbe intendere come immediatamente rilasciata senza la necessità di dover attendere il termine di 30 o 60 giorni per la formazione del relativo silenzio-assenso. La verifica dell'agibilità sarà demandata a eventuali controlli successivi. A tale proposito le Regioni a statuto ordinario disciplinano con legge le modalità per l'attuazione delle disposizioni di cui al comma 5 bis e per l'effettuazione dei controlli. Il rilascio del certificato di agibilità non impedisce l'esercizio del potere di dichiarazione di inagibilità di un edificio o di parte di esso ai sensi dell'art. 222 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265.


La mancanza del certificato di abitabilità nella compravendita e l'eccezione di inadempimento
Opinione prevalente nella giurisprudenza della Suprema Corte, già consolidata dalla sentenza 12 marzo 2014, n. 5778, era quella secondo la quale nella vendita di immobile destinato ad abitazione, il certificato di abitabilità costituisse requisito giuridico essenziale del bene compravenduto (la cui consegna, pur non rappresentando di per sé condizione di validità della compravendita, integra un'obbligazione primaria incombente sul venditore ai sensi dell'art. 1477 c.c.), andando a incidere sull'attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico-sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità.
Conseguentemente il mancato rilascio riconducibile a vizi igienico-sanitari dell'immobile, integrava inadempimento del venditore per consegna di aliud pro alio , adducibile da parte del compratore in via di eccezione, ai sensi dell'art. 1460 c.c., a norma del quale nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempier e contemporaneamente la propria.
L'inadempimento si addebitava esclusivamente a quel contraente che, con il proprio comportamento prevalente, avesse alterato il nesso di interdipendenza che lega le obbligazioni assunte mediante il contratto e perciò dato causa al giustificato inadempimento dell'altra parte. L'eccezione d'inadempimento era quindi invocabile, oltre che per paralizzare la domanda di adempimento, anche al fine di escludere il diritto della controparte di far accertare e richiedere la risoluzione del contratto.
Sezioni Unite: compravendita valida pure se l'immobile è difforme al titolo
Il contratto di compravendita dell'immobile che risulti difforme, rispetto al permesso di costruire, è valido, a condizione che nell'atto sia riportata la dichiarazione della parte venditrice, con gli estremi del titolo urbanistico. In particolare, la nullità ricorre solamente qualora:
- non esista un titolo che ne abbia fondato la costruzione,
- oppure nell'atto sia falsamente dichiarato il rilascio di un titolo edilizio di fatto irreale.
Interpellato il massimo consesso civile della Cassazione, ha composto il contrasto, già rinvenibile nella giurisprudenza di legittimità, concernente l'ermeneutica della sanzione di nullità prevista dagli articoli:
- 17 e 40 della Legge n. 47/1985,
- 46 del TU di cui al DPR n. 380/2001.
La nullità riguarda atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, relativi a edifici, o loro parti, ove dagli stessi non risultino, per espressa dichiarazione dell'alienante, gli estremi della concessione ad edificare ovvero della concessione in sanatoria. I giudici ermellini (Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, Sentenza n. 8230 del 22 marzo 2019) dopo aver argomentato intorno alle due teorie sulla nullità, una cosiddetta "formale", l'altra "sostanziale", hanno rilevato che, nella specie sottoposta al loro vaglio, la nullità andasse catalogata sotto l'articolo 1418 c.c., comma III, in linea con quanto ritenuto dalla teoria cd. formale, al contempo precisando che la stessa ne costituisce una specifica declinazione, e va definita "testuale", essendo preordinata a colpire gli atti in essa contemplati. Sempre in linea col dictum in questione, il dettato normativo indica che il titolo debba effettivamente sussistere e, quale conseguenza, che l'informazione che lo concerne, oggetto della dichiarazione, deve esser reale. Per l'effetto, la dichiarazione mendace deve essere equiparata all'omessa dichiarazione, e l'indicazione degli estremi dei titoli abilitativi in seno agli atti dispositivi previsti dalla norma non ne costituisce un requisito meramente formale, bensì venendo in considerazione quale mezzo per:
- la comunicazione di notizie,
- la conoscenza di documenti.
Pertanto, la stessa dichiarazione riveste valenza essenzialmente informativa verso la parte acquirente. Inoltre, in quanto la presenza ovvero la mancanza del titolo abilitativo non possono essere affermate in astratto, piuttosto devono esserlo in relazione all'immobile cui l'atto si riferisce, la dichiarazione oltre che veritiera, deve esser riferibile allo specifico immobile in questione nella fattispecie concreta. In tal modo, in presenza di una dichiarazione reale e riferibile all'immobile, il contratto sarà valido, e tanto a prescindere dall'aspetto della conformità ovvero della difformità della costruzione realizzata al titolo nello stesso richiamato. Tale profilo esula dal perimetro della nullità poiché non è previsto dalle disposizioni che la dispongono, e tenuto conto del principio generale, secondo cui le norme che, ponendo limiti all'autonomia privata e divieti alla libera circolazione dei beni, sanciscono la nullità degli atti, debbono ritenersi di stretta interpretazione, di conseguenza esse non possono essere applicate, estensivamente o per analogia, a fattispecie differenti da quelle esplicitamente previste. Le Sezioni unite della Cassazione, con la Sentenza del 22 marzo 2019 hanno quindi risolto il contrasto sulla nullità per mancata menzione, negli atti tra vivi di trasferimento di edifici, dei titoli edilizi in forza dei quali sono stati costruiti. Tale nullità è pertanto testuale, ex comma III dell'articolo 1418 c.c., e non virtuale secondo il comma I: in "presenza della dichiarazione dell'alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all'immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato". Ai fini della validità del contratto è necessaria e sufficiente la menzione del titolo edilizio "a monte", a condizione che sia:
- esistente,
- riferibile all'immobile negoziato.
La funzione della menzione richiesta dalla legge, secondo le Sezioni Unite, non è vietare la «stipulazione di atti aventi a oggetto immobili abusivi al fine di renderli giuridicamente inutilizzabili», bensì solo «la comunicazione di notizie e (...) la conoscenza di documenti». In definitiva, la menzione riveste "valenza essenzialmente informativa" dell'acquirente in merito all'esistenza del titolo edilizio richiamato. Nella pronuncia de qua sono stati enunciati ben due principi di diritto:
«La nullità comminata dall'art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della L n. 47 del 1985 va ricondotta nell'ambito del comma 3 dell'art 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità "testuale", con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un'unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell'immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell'immobile».
"In presenza nell'atto della dichiarazione dell'alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all'immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato".
All'indomani della pubblicazione di tale pronuncia prestigiosi Autori (Di Sapio, Muritano) hanno posto un quesito fondamentale: «Ma valenza informativa in che senso? Basta davvero l'indicazione dei soli estremi del titolo edilizio?» e ciò evidenziando che "l'acquirente, utilizzando la diligenza dovuta in rebus suis, è in grado di svolgere le indagini più opportune per appurare la regolarità urbanistica del bene, e così valutare la convenienza dell'affare, anche in riferimento ad una eventuale mancata rispondenza della costruzione al titolo dichiarato". Gli stessi autori hanno infine rilevato che, in effetti, l'articolo 47 della legge 47/1985 riconosceva all'acquirente, pure sulla base di preliminare di vendita con sottoscrizioni autenticate, il «diritto di prendere visione presso gli uffici comunali di qualsiasi documento relativo all'immobile stesso e di ottenere ogni certificazione relativa», ma nel 2001 tale disposizione è stata abrogata dal Testo unico dell'edilizia.


La tutela risarcitoria
La mancanza del certificato di abitabilità/agibilità può essere altresì fonte di pretesa risarcitoria per la ridotta commerciabilità del bene, a meno che il compratore non abbia espressamente rinunciato al requisito dell'abitabilità o esonerato comunque il venditore dall'obbligo di ottenere la relativa licenza (cfr. Cass. n. 1991/1987; Cass. n. 8880/2000; Cass. n. 2729/2002; Cass. n. 1514/2006 e Cass. n. 9253/2006), salva, ovviamente, la rilevanza in senso contrario del successivo rilascio di detto certificato (Cass. 12 marzo 2014, n. 5778).
Il venditore-costruttore di un bene immobile ha l'obbligo non solo di trasferire all'acquirente un fabbricato conforme all'atto amministrativo d'assenso della costruzione e, dunque, idoneo a ottenere l'agibilità prevista, ma anche di consegnargli il relativo certificato, curandone la richiesta e sostenendo le spese necessarie al rilascio. L'inadempimento di quest'ultima obbligazione è ex se foriero di danno emergente, perché costringe l'acquirente a provvedere in proprio ovvero a ritenere l'immobile tal quale, cioè con un valore di scambio inferiore a quello che esso diversamente avrebbe, a prescindere dalla circostanza che il bene sia alienato o comunque destinato all'alienazione a terzi (Cass. n. 23157/2013).
Il diritto al risarcimento del danno da mancato rilascio del certificato di abitabilità si prescrive nel termine di dieci anni, poiché detta omissione costituisce non già un illecito, ma un inadempimento dell'obbligazione derivante dal contratto di vendita, connaturale alla destinazione abitativa dell'immobile alienato; tale termine decorre dalla stipula del contratto o dal diverso termine indicato dal giudice per l'adempimento (Cass. 21 settembre 2011, n. 19204).


La mancanza dell'abitabilità e il contratto preliminare
Anche in sede di stipula del contratto preliminare la mancanza del certificato di abitabilità può costituire fonte di responsabilità contrattuale. Nell'ipotesi di contratto preliminare di vendita di un appartamento con consegna dello stesso prima della stipula dell'atto definitivo, la presenza di vizi nella cosa consegnata abilita il promissario acquirente, senza che sia necessario il rispetto del termine di decadenza di cui all'art. 1495 c.c. per la denuncia dei vizi della cosa venduta, a opporre l' exceptio inadimpleti contractus al promittente venditore, che gli chieda di aderire alla stipulazione del contratto definitivo e di pagare contestualmente il saldo del prezzo, e lo abilita altresì a chiedere, in via alternativa, la risoluzione del preliminare per inadempimento del promittente venditore ovvero la condanna di quest'ultimo a eliminare a proprie spese i vizi della cosa (Cass. 11 ottobre 2013, n. 23162).


La legittimità del diritto di recesso
Una sentenza della Corte di Cassazione del 14 gennaio 2014, n. 629, aveva affermato la legittimità del recesso dell'acquirente dal preliminare di compravendita se il venditore non rilasciasse il certificato di abitabilità dell'immobile, in quanto si trattava di un requisito essenziale del bene idoneo a incide re sulla sua funzione economico-sociale. L'assenza del certificato di abitabilità dell'appartamento legittimava l'aspirante acquirente a recedere dall'affare e a chiedere la restituzione del doppio della caparra versata (Cass. 14 gennaio 2014, n. 629). Del resto già in precedenti pronunce era stato considerato inadempimento di non scarsa importanza, tale da giustificare il recesso dal contratto del promittente acquirente e la restituzione del doppio della caparra versata, il comportamento del promittente alienante che avesse promesso in vendita un immobile abusivo e privo dei requisiti richiesti per la sua commerciabilità (Cass. 19 dicembre 2006, n. 27129).
Frequentemente le parti al momento della conclusione del contratto preliminare concordano il versamento di una somma di denaro a titolo di caparra. In caso di adempimento la caparra viene imputata in conto prezzo dell'immobile (art. 1385, comma 1, c.c.).
Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra (art. 1385, comma 2, c.c.).
Se però la parte che non è inadempiente preferisce domandare l' esecuzione o la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali (art. 1385, comma 3, c.c.).
Quindi il promissario acquirente al quale il venditore non ha consegnato il certificato di abitabilità può recedere dal contratto e pretendere il doppio della caparra versata. Gli è concessa la facoltà ulteriore di conseguire un più cospicuo risarcimento qualora il danno superi quello preventivamente determinato in sede di pattuizione di una caparra confirmatoria.
Qualora il contraente rinunci al diritto a trattenere la caparra confirmatoria versata, o a richiederne il doppio, allo scopo di ottenere un risarcimento del danno da inadempimento contrattuale svincolato dai limiti imposti dal meccanismo della caparra confirmatoria stessa, la somma versata a titolo di caparra diviene un acconto sul prezzo e la parte che assume di aver subito il danno avrà diritto al risarcimento se e nei limiti in cui riesca a provarne l' esistenza e l' ammontare, sottostando alle normali regole probatorie (Cass. 13 maggio 2004, n. 9091).
Le circostanze del caso concreto possono tuttavia concorrere a mitigare la responsabilità del venditore: ciò avviene nei casi in cui il promissario acquirente è comunque a conoscenza perché edotto dal venditore, del mancato rilascio del certificato di abitabilità dell'immobile. A tale proposito si ritiene che l'eccezione di inadempimento basata sulla mancanza del certificato di abitabilità dell'immobile o della presenza di difformità edilizie sanabili non può essere proposta (cfr. Cass. n. 16024/2002); oltretutto, presupposto dell'obbligo che l'art. 1477, ultimo comma, c.c., pone a carico del venditore (e non del promittente venditore) di consegnare i documenti relativi all'uso della cosa venduta è che tali documenti siano necessari per l'uso della medesima e si trovino in possesso del venditore. Se questi non ne è in possesso dovrà curarne la formazione al momento della conclusione del contratto, cosicché, in caso di preventiva conclusione di contratto preliminare, è necessario che tali documenti siano acquisiti e consegnati al promissario acquirente all'atto della stipula del contratto definitivo di vendita (Cass. 12 novembre 2013, n. 26427). Solo da quel momento potrà valutarsi un'eventuale responsabilità del venditore.


La mancata conformità urbanistica e catastale
Ogni edificio deve essere munito di titolo abilitativo, cioè di quel provvedimento autorizzatorio concesso dalla Pubblica amministrazione in occasione della realizzazione di nuove costruzioni. L'opera compiuta in assenza di titolo abilitativo viene definita "abusiva" ed è suscettibile di demolizione ove tale rimedio rappresenti l'unico idoneo a tutelare i beni giuridici costituzionalmente garantiti (ambiente e paesaggio). L'esigenza di verificare l'impiego edificatorio dei suoli viene esplicato tramite l'attività dei Comuni, chiamati ad appurare la regolarità dei progetti presentati e, in seguito, la conformità fra tali progetti e lo stato fattuale della costruzione realizzata in base al progetto. La disciplina impone il rilascio del titolo abilitativo, non solo in ipotesi di nuova opera, bensì pure ove vengano effettuate trasformazioni strutturali su un immobile già esistente e non ricomprese nel provvedimento autorizzatorio anteriormente rilasciato. Le sanzioni per le difformità sono sancite all'articolo 31, commi II e III del Tu Edilizia. Si osserva che l'abuso è concepito quale fattispecie di illecito permanente. L'acquirente di un immobile abusivo, per l'effetto, rischia di perdere la proprietà dell'immobile, una volta emesso l'ordine di demolizione dello stesso. Infatti, l'articolo 46 del Tu Edilizia, statuisce la sanzione della nullità per i contratti di costituzione, trasferimento o scioglimento della comunione di diritti reali (tranne per i diritti di servitù e i diritti di garanzia), relativi a edifici o a loro porzioni, laddove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno qualificato la sanzione prevista dall'articolo 46 del Tu Edilizia quale ipotesi di nullità testuale, in forza della quale elemento condizionante la validità del contratto deve essere considerato unicamente la dichiarazione che l'alienante presta, circa la sussistenza del titolo abilitativo (che deve in ogni caso risultare reale e riferibile all'immobile) con contestuale indicazione dei relative estremi. In presenza di tale dichiarazione il contratto risulta, per l'effetto, valido, a prescindere dal profilo della conformità o meno della costruzione realizzata al titolo menzionato. Quindi, l'acquirente, per confezionare un atto valido, dovrà prestare ogni dichiarazione relativa all'immobile, prescritta dalla normativa, a nulla rilevando, l'effettiva regolarità urbanistica dell'atto. Quanto al profilo civilistico il legislatore ha previsto la sanzione della nullità per l'atto di compravendita immobiliare dal quale non risultino gli estremi urbanistici dell'immobile oggetto del contratto: l'articolo 46 del Tu Edilizia, in continuità con le disposizioni di cui all'articolo 40 della legge n. 47 del 1985, dispone che gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi a edifici, o loro parti, la cui costruzione sia iniziata dopo la data del 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù. Per gli immobili costruiti in epoca anteriore al 1° settembre 1967 opera una regola in parte differente, stante le difficoltà che l'acquirente potrebbe riscontrare, nel reperimento della documentazione urbanistica, presso gli uffici comunali. In tale ipotesi l'atto è considerato valido ove sia allegata al contratto una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario dell'immobile, ove si attesta che la costruzione dell'opera è iniziata anteriormente a tale data. La dichiarazione viene resa dal venditore sotto la propria responsabilità, dopo essere stato ammonito da parte del notaio in ordine alle conseguenze penali e civili (in termini di responsabilità contrattuale) cui incorrerebbe in ipotesi di falsa dichiarazione. La sanzione di nullità in parola, proveniente dall'omessa indicazione del titolo edilizio, non trova applicazione con riguardo ai preliminari di vendita, in quanto contratti a efficacia obbligatoria (in tal senso Cass., n. 6685 del 7 marzo 2019).


Il certificato di stato legittimo dell'immobile
Dal 17 luglio 2020 è possible, anche se non rappresenta un adempimento obbligatorio, allegare non solo in sede di rogito di compravendita, bensì anche al preliminare, il cd. "certificato di stato legittimo", cioé una dichiarazione asseverate, rilasciata da un tecnico abilitato, nel quale viene attestata l'assenza di violazioni alla disciplina edilizia e urbanistica, oppure la presenza delle cd. tolleranze costruttive. La disciplina normativa di riferimento è rintracciabile nel combinato disposto dell'articolo 9-bis e 34-bis del Dpr 380/2001 (T.U. dell'edilizia), come risultanti a seguito della novella di cui decreto legge 16 luglio 2020 n. 76 (cd. Semplificazioni). Con la decretazione d'urgenza del 2020 è infatti stato inserita, all'interno dell'ordinamento giuridico, la nozione di "stato legittimo" di un edificio. Più in particolare, si tratta del risultato costruttivo a seguito dei lavori effettuati in conformità a un titolo edilizio, sia quello abilitante i lavori originari di costruzione sia quello in base al quale siano stati effettuati interventi edilizi successivi rispetto a quello originario. Quanto ai manufatti posti in essere in epoca ove gli interventi edilizi non necessitavano di un titolo edilizio, lo "stato legittimo" risulterà desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto ovvero da ulteriori documenti probanti, come riprese fotografiche, estratti cartografici, documenti d'archivio, e via dicendo. Consapevole che una costruzione di mattoni difficilmente potrà essere sovrapponibile al progetto su carta, il legislatore ha pure concesso quelle che vengono definite tolleranze "costruttive" ovvero "esecutive". Per l'effetto, non potrà configurarsi una situazione di abusività qualora sussistano situazioni quali il mancato rispetto dell'altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro inerente alle singole unità immobiliari contenuto entro il limite del 2% delle misure previste nel titolo abilitativo, oppure irregolarità geometriche, modifiche alle finiture di minima entità, diversa collocazione di impianti e opere interne (ad eccezione dei fabbricati gravati dal vincolo storico-artistico) che siano avvenuti nel corso dei lavori eseguiti per l'attuazione di titoli edilizi, ed a condizione che non risulti pregiudicata l'agibilità dello stabile. Pertanto il certificato di stato legittimo si dimostrerà utile ogni qualvolta sussista la necessità di comprovare che si interviene su una situazione legittima (per il Tar Puglia, n. 434/2019, per conseguire un titolo edilizio finalizzato a intervenire su un fabbricato esistente occorre che questo sia stato realizzato in conformità a titoli edilizi legittimanti) ovvero si intenda dotare il fabbricato, che si intende vendere, di un "certificato" che attesti il relativo stato di conformità alla disciplina edilizia e urbanistica oppure, viceversa, si voglia accertare la legittimità del fabbricato che si intende comprare. E ciò per eveitare, fin dall'origine, ogni questione che possa insorgere in merito alla "scoperta" di abusi edilizi avvenuta in epoca posteriore al preliminare ovvero al rogito. Inoltre, tale certificazione può dimostrarsi utile anche nelle fattispecie ove si intenda beneficiare un'agevolazione fiscale. Nelle ipotesi succitate, tramite l'ausilio di un tecnico abilitato, è possible ottenere una certificazione "ufficiale" dello "stato legittimo" dell'immobile, attestante la relativa conformità ai titoli edilizi nonché l'assenza di variazioni eccedenti le tolleranze costruttive. In epoca precedente rispetto all'introduzione della novella in comment (2020), per raggiungere i predetti obiettivi, si ricorreva alla "dichiarazione di conformità edilizia e urbanistica", parimenti rilasciata da un tecnico, tuttavia con mera natura di certificazione privata, prodotta sotto la responsabilità civile dello stesso tecnico. Al contrario, dalla decretazione del 2020, tale certificazione tecnica assume un rilievo pubblicistico poichè non solo comporta, risultando "asseverata", la responsabilità penale in ipotesi di dichiarazioni false, bensì viene pure ad assumere la veste di certificazione ufficiale di conformità edilizia, nonostante sia prodotta da un soggetto privato. Per quanto concerne i contratti di compravendita, o i relativi preliminari, il "certificato di stato legittimo", si ribadisce, non risulta obbligatorio al pari del CDU (certificato di destinazione urbanistica), dell'APE (attestato di prestazione energetica), come pure della certificazione di conformità dello stato di fatto alla rappresentazione catastale. Più in dettaglio, anche a seguito della novella in comment, i diritti sugli immobili possono continuarsi a cedere ed acquistare pure in assenza del certificato in questione, ma al contempo deve essere rilevato che, se al rogito o al preliminare risulta allegato il certificato di stato legittimo, scatta la certezza (ad eccezione delle ipotesi ove il certificato risulti sbagliato ovvero fraudolento) che in futuro non insorgeranno questioni in merito alla conformità dell'edificio ai titoli edilizi, e cioè quando si tratterà di effettuare un nuovo intervento, un cambio di destinazione d'uso ovvero un'ulteriore passaggio di proprietà. Mediante l'utilizzo del certificato in questione potrebbe vanificarsi la litigation in cui l'acquirente, a seguito della compravendita, scopra la sussistenza di opere abusive e quindi attivi contestazioni nei confronti dell'alienante, attivando giudiziariamente istituti giuridici come la messa in pristino, la riduzione del prezzo, il risarcimento del danno, la risoluzione del contratto. In relazione all'incidenza degli abusi edilizi sul contratto di compravendita, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in occasione della pronuncia della Sentenza n. 8230 del 22 marzo 2019, hanno chiarito che la commerciabilità di uno stabile risulta compromessa solamente in relazione a manufatti prodotti in totale assenza di titoli edilizi. Al contrario, qualora un titolo edilizio risulti essere stato rilasciato, ed il medesimo sia stato richiamato sul contratto, la compravendita sarà valida pur se la costruzione risulti eseguita in difformità rispetto al titolo medesimo. Ancor più in dettaglio, la nullità comminata dall'art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della L. n. 47 del 1985, secondo la pronuncia richiamata, va ricondotta nell'ambito del comma III dell'art. 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità "testuale", con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un'unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell'immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve essere riferibile, proprio, a quell'immobile. In definitiva, sempre secondo il tenore della pronuncia del massimo consesso della Cassazione, in presenza nell'atto della dichiarazione dell'alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all'immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato.


Considerazioni conclusive
Da quanto sopra argomentato può evidenziarsi che la presenza del certificato di agibilità/abitabilità riveste particolare importanza nel regime della circolazione degli immobili. Se è pur vero che il trasferimento di un immobile privo dei requisiti di igiene e di sicurezza previsti dalla legislazione vigente non pare costituire motivo di nullità del contratto, questo può costituire fonte di responsabilità contrattuale per le parti coinvolte nelle trattative negoziali: appare quindi opportuna una specifica regolamentazione degli adempimenti e degli oneri connessi al negozio posto in essere, facendo espresso riferimento a tale requisito; ciò può contribuire a fare chiarezza tra le parti e a evitare inutili contenziosi. Nel risolvere un contrasto ermeneutico insorto tra le sezioni semplici, le Sezioni Unite della Cassazione (Sentenza 22 marzo 2019) hanno chiarito che, in presenza nell'atto della dichiarazione dell'alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all'immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato. Le cose si atteggiano in modo diverso per la conformità edilizia: l'articolo 46 del Tu Edilizia statuisce la sanzione della nullità per i contratti di costituzione, trasferimento o scioglimento della comunione di diritti reali (tranne per i diritti di servitù e i diritti di garanzia), relativi a edifici o a loro porzioni, laddove dagli stessi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno qualificato tale sanzione come ipotesi di nullità testuale, in forza della quale elemento condizionante la validità del contratto deve essere considerato solo la dichiarazione che l'alienante presta, circa la sussistenza del titolo abilitativo con contestuale indicazione dei relativi estremi. In presenza di tale dichiarazione il contratto risulta, per l'effetto, valido, a prescindere dal profilo della conformità o meno della costruzione realizzata al titolo menzionato. Quindi, l'acquirente, per confezionare un atto valido, dovrà prestare ogni dichiarazione relativa all'immobile, prescritta dalla disciplina, a nulla rilevando l'effettiva regolarità urbanistica dell'atto. Quanto al profilo civilistico, il legislatore ha previsto la sanzione della nullità per l'atto di compravendita immobiliare dal quale non risultino gli estremi urbanistici dell'immobile oggetto del contratto: l'articolo 46 del Tu Edilizia dispone che gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi a edifici, o loro parti, la cui costruzione sia iniziata dopo la data del 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù. Infine, il d.l. cd. "semplificazioni, del luglio 2020, ha introdotto la dichiarazione asseverata rilasciata da un tecnico abilitato, dove si attesta l'assenza di violazioni alla disciplina normativa urbanistica e edilizia, oppure la presenza delle tolleranze costruttive, o meglio quelle che non oltrepassano il 2% delle misure e delle cubature previste dal titolo abilitativo o differenti difformità di poca entità e che non compromettono l'agibilità dell'immobile. Il certificate in questione, il quale garantisce che l'immobile sia effettivamente "a norma", è utile, principalemnte, in tre fattispecie (così Angelo Busani, Il Sole 24 Ore, 31 agosto 2020):
1. Intervento edilizio, cioè quando si intenda procedure a un'operazione edilizia ed occorra comprovare che si interviene su una situazione legittima. Il Tar Puglia (sentenza n. 434 del 2019) ha chiarito che, per ottenere un titolo edilizio finalizzato a intervenire su un edificio esistente, è necessario che lo stesso sia stato realizzato in modo conforme ai titoli edilizi;
2. Compravendita, cioé per scongiurare contenziosi collegati all'eventuale individuazione successiva al preliminare o al rogito, di abusi edilizi;
3. Agevolazioni fiscali, per beneficiarne in sicurezza, quindi senza rischiare l'eventuale revoca.