Compravendita: niente mediazione per la risoluzione del contratto di un immobile ammalorato
La recente ordinanza della Cassazione n. 22736 ha dichiarato inammissibile la tesi della venditrice
Il principio della conservazione del negozio giuridico traslativo immobiliare trova il suo limite nel vizio grave dell’immobile che ne impedisca, da parte dell’acquirente, il normale utilizzo: il rimedio è l’istituto della risoluzione del contratto, azionabile nell’ipotesi dell’articolo 1455 del Cc. È il caso trattato dalla Corte di cassazione (ordinanza n. 22736/2021) che ha dichiarato inammissibile, con condanna al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, il ricorso di una venditrice avverso la sentenza che aveva dichiarato la risoluzione del contratto di compravendita immobiliare e l’aveva condannato al risarcimento del danno a favore degli acquirenti.
Il caso trattato
Gli acquirenti di un appartamento avevano chiesto la risoluzione del contratto di compravendita, poiché la venditrice dichiarava, contrariamente al vero, che fosse in possesso dell’agibilità, mentre il Comune precisava che nello stesso appartamento, in cui era intervenuta una ristrutturazione edilizia, mancavano il certificato di agibilità, la denuncia dei cementi armati, il certificato di collaudo, la relazione tecnica prevista dall’articolo 28 della legge n. 10/1991. Gli acquirenti, con il rito sommario di cognizione, chiedevano la risoluzione del contratto, la restituzione del prezzo ed il risarcimento del danno, poiché affermavano che il bene non fosse regolarizzabile per la presenza di umidità nelle murature e per la mancanza di qualità essenziali.
L’acquirente si costituiva in giudizio affermando che la ristrutturazione edilizia era stata disposta da suo padre che non aveva comunicato il fine lavori e non aveva richiesto il sopralluogo all’uffici tecnico comunale e che si stava adoperando per ottenere il certificato di agibilità.
Dopo avere disposto la consulenza tecnica il Tribunale accoglieva la domanda di risoluzione del contratto proposta dagli attori e condannava la parte venditrice alla restituzione del prezzo ed al risarcimento del danno.
La venditrice ricorreva alla Corte di appello lamentando che il suo inadempimento fosse di scarsa importanza e l’ingiustizia dell’entità del risarcimento in cui, a suo dire, erano ricompresi gli interessi del mutuo e le spese della mediazione. La Corte di appello respingeva la domanda e spiegava le ragioni del mancato accoglimento della mediazione proposta dall’appellante e la non scarsa importanza dell’inadempimento, riguardante l’irregolarità urbanistica dell’immobile, la presenza di vizi dell’edificazione e la correttezza dell’entità della somma stabilita per il risarcimento del danno, comprensiva degli interessi corrisposti peri l mutuo contratto per l ‘acquisto del bene e rilevante quale danno emergente.
La sentenza della Corte di Cassazione
La venditrice ricorreva avverso la sentenza di appello affermando che il giudice non aveva disposto la mediazione delegata, mentre sosteneva la non obbligatorietà della stessa, in quanto il procedimento non avrebbe riguardato la materia dei diritti reali. Inoltre, la ricorrente riteneva che la mancata consegna del certificato di agibilità non avrebbe reso l’immobile non commerciabile e che gli inconvenienti, lamentati nello stesso, non giustificavano la risoluzione del contratto e la sua condanna al risarcimento del danno.
La Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il primo motivo, in quanto rilevava che la ricorrente non indicava di avere eccepito, come previsto a pena di decadenza dall’articolo 5, comma 1-bis, del Dlgs n. 28/2010, avanti al primo giudice, il mancato esperimento della mediazione. Inoltre, il giudice di appello, con un giudizio non sindacabile in sede di legittimità, aveva affermato che la causa non fosse mediabile a causa della sua natura, non consistente nella materia dei diritti reali, ma nella risoluzione contrattuale, non compresa nei procedimenti indicati dalla norma. Anche il secondo motivo era dichiarato inammissibile in quanto la valutazione della gravità dell’inadempimento, ai fini della risoluzione del contratto a prestazione corrispettive per l’art. 1455 c.c., è un giudizio di merito insindacabile nel giudizio di legittimità, se sorretto da una motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cassazione, sentenze n. 6410/2015; n. 12182/2020).
La Corte di appello ha giustificato la risoluzione del contratto di compravendita, poiché accertava da parte della venditrice, attraverso la consulenza tecnica, un grave inadempimento risultante dalla riscontrata irregolarità urbanistica, la quale giustificava opere di ristrutturazione edilizia di tale entità da attentare notevolmente al sinallagma contrattuale. La Corte di Cassazione sosteneva che tale apprezzamento di fatto è insindacabile in cassazione nei limiti previsti dall’articolo 360, comma 1 n. 5, del Cpc (Cassazione, sezioni Unite n 8053/2014) quale omesso esame di fatto decisivo e pertanto rigettava tale motivo di ricorso.